di: Andrea Tarquini
La Sueddeutsche Zeitung: nel 1951 il leader della non violenza approvò la lotta armata. Gli Usa addestrarono per anni i guerriglieri, salvo poi sacrificare l’appoggio alla causa per la realpolitik e la normalizzazione dei rapporti con la Cina
BERLINO
– Il Dalai Lama sapeva dall’inizio dell’appoggio della Cia, i servizi
segreti americani, alla lotta armata del popolo tibetano contro
l’occupante cinese. A quanto pare approvò, pur essendo simbolo mondiale
della non violenza. Cominciò con impegni segreti Usa col legittimo
governo tibetano, dunque col Dalai Lama in persona, dal 1951 al 1956,
dopo la brutale occupazione cinese del Tibet nel 1950. La storia è
narrata dagli investigative reporters della Sueddeutsche Zeitung, e sicuramente avrà provocato salti di gioia all’ambasciata cinese a Berlino.
I primi contatti risalgono a un anno dopo l’aggressione cinese.
Sono
tra il Dalai Lama e agenti americani attraverso l’ambasciata Usa a New
Delhi e il consolato a Calcutta. Il Pentagono assicurò al Dalai Lama in
persona, scrive la Sueddeutsche, armi leggere e aiuti
finanziari al movimento di resistenza. Nell’estate 1956, l’operazione
della Cia in Tibet diventa un dossier a sé, assume il nome di “ST
Circus”.
Si
propone, dicono carte segrete e testimonianze dei veterani Cia come
John Kenneth Knaus, di “fare il possibile per tenere in vita il concetto
di un Tibet autonomo”. E “sviluppare resistenza contro sviluppi in
Tibet guidati dalla Cina comunista”. Knaus racconta il suo primo, freddo
incontro con il Dalai Lama. Washington si impegnò ad addestrare
guerriglieri tibetani nella lotta armata contro l’occupante cinese, ad
armarli, e anche a versare 180mila dollari l’anno, scrive il quotidiano
liberal di Monaco citando un presunto dossier segreto, “somme dichiarate
come aiuto finanziario al Dalai Lama”.
Ai
memorandum della Cia seguirono i fatti. I guerriglieri tibetani furono
addestrati in campi segreti prima in isole dei mari del sud, poi a Camp
Hale sulle montagne rocciose, dove le condizioni climatiche erano simili
a quelle tibetane. I contatti col Dalai Lama e col suo seguito c’erano
sempre, anche durante la sua avventurosa fuga dal Tibet occupato a
Dharamsala in India. I guerriglieri addestrati dalla Cia furono fino a
85mila, la loro organizzazione si chiamava “Chushi Gangdrug”.
Ufficiali
e istruttori tibetani formati dagli americani venivano paracadutati da
vecchi bombardieri Boeing B17 (le gloriose Fortezze volanti che
piegarono Hitler e il Giappone) in volo a bassa quota sul Tibet occupato
senza contrassegni. I guerriglieri attaccavano in piccoli gruppi.
“Uccidevamo volentieri quanti più cinesi possibile, e a differenza di
quando macellavamo bestie per cibarci, non ci veniva di dire preghiere
per la loro morte”, dice un veterano della resistenza tibetana.
Il Dalai Lama, scrive la Sueddeutsche,
non è che abbia mentito, ma certo non ha raccontato finora tutta la
verità sui suoi rapporti con la lotta armata. Lui che viene salutato
come il Papa, “Sua Santità”, nel titolo del quotidiano tedesco è
definito con un attacco malizioso “Heiliger Schein”, apparenza di
santità.
L’operazione
Cia col Dalai Lama cominciò nei Cinquanta, ma finì bruscamente. Dopo il
viaggio segreto dell’allora Segretario di Stato Usa Henry Kissinger a
Pechino, inizio della normalizzazione Usa-Cina. La causa tibetana fu
sacrificata allora alla realpolitik delle due potenze. Molti
guerriglieri tibetani si spararono in bocca o si tagliarono la gola o le
vene piuttosto che cadere in mano al Guabuo, la Gestapo cinese. Altri,
mastini della guerra, fuggirono a sud e si arruolarono nei migliori
corpi speciali indiani.
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