venerdì 1 novembre 2013

Cosa farò da grande

Nel momento in cui sto scrivendo, quasi per uno strano incrocio del destino, vengono divulgati gli ultimi dati sulla disoccupazione italiana, ricavati dai rilevamenti Istat di settembre 2013: 3,2 mln. di disoccupati a settembre 2013 con il 40,4 % dei giovani tra i 15 ed i 24 anni privi di un lavoro.
Come è noto i dati sulla disoccupazione vanno ulteriormente letti sulla scorta di un elemento “mancante” legato alla quota di coloro che non cercano più lavoro e di coloro che non lavorano, non studiano e non compiono alcuna attività formativa. Disoccupati e rassegnati toccano quota 6 mln. Un dato, quindi, ancor più grave che fotografa l’istantanea di una società in forte depressione.
Al di là dei richiami al valore del lavoro come principio costituzionale e fondativo di una comunità democratica, elemento che assurge a presupposto del riconoscimento della dignità della persona come singolo e come componente della società,  fondamentale ed imprescindibile nella costruzione della sfera personale ed affettiva è l’idea di progettualità e la sua fattiva concretizzazione. Ma non se ne sottovaluti e non si taccia il rilievo dato al lavoro nella carta fondamentale di un Stato poiché è proprio il richiamo trai i diritti irrinunciabili ad elevarne e nobilitarne l’essenza.
Le tappe del percorso dell’esistenza sono scandite da momenti cruciali. L’istruzione, la ricerca di un’occupazione, il consolidamento ed il rafforzamento delle conoscenze professionali all’interno di un più ampio processo formativo della persona.
E’ un percorso imprescindibile, fondamentale quanto la stessa esistenza perché è parte dell’esistenza stessa.
L’inattività, formativa e lavorativa, svilisce e mortifica, crea uno stato di apatia interno alla persona che si rappresenta giorno dopo giorno nelle azioni che vengono compiute così come si manifesta nel rapporto con gli altri. Con il tempo trasforma la persona,  ne cambia gli atteggiamenti, cancella le aspirazioni sino a creare attorno a noi stessi una realtà parallela, una non – realtà, che non consente di misurare con l’adeguato buon senso e la dovuta razionalità azioni o fatti, giudizi personali o manifestazioni di volontà.
E’ una vera e propria malattia determinata ed alimentata da uno stato di cosciente incomprensione. Non si guarisce facilmente perché il tempo, trascorso nell’inattività, aggrava la situazione rendendo l’individuo più solo e frustrato.
Probabilmente si entra in un campo che deve essere lasciato allo studio delle patologie del carattere e della personalità. Non spetta a me dare delle ulteriori specificazioni perché non ne ho le competenze mediche.
Ciò che tuttavia mi sento di affermare è che nei prossimi anni nuove forme di patologie depressive dovute alla disoccupazione, alla povertà ed alla crescente emarginazione sociale dovranno essere riconosciute  come malattie effettive.
Come altre forme di disturbi depressivi o depressioni cliniche, la privazione cronica di un’occupazione rappresenta, per le dimensioni e la durata con cui si manifesta nella società colpendo una platea molto vasta di persone, una sindrome invalidante che incide nei sulla sfera personale come nei rapporti sociali, familiari e nelle abitudini dell’individuo.
Tra non molto tempo si parlerà di nuove forme di patologie sociali collettive poiché in una società investita da rapidi cambiamenti gli individui al suo interno vivono e subiscono una serie di mutamenti che ne radicalizzano gli stili di vita adattandoli, anche drammaticamente, alle trasformazioni  storiche.
La medicina sociale, pur mirando alla ricerca della salute psico – fisica della persona, guarda a questo scopo dall’angolo visuale della tutela dell’interesse collettivo.
L’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ), definisce la salute come “stato completo di benessere fisico, mentale e sociale” e non soltanto come stato di salute in assenza di malattia ed infermità, sancendo altresì che “ la salute è un diritto fondamentale dell’essere umano, l’accesso al più alto grado possibile di salute è un obiettivo sociale di estrema importanza che interessa il mondo intero e presuppone la partecipazione di molti altri comparti socio – economici oltre a quello sanitario. ( OMS – Alma Ata- 1978 ).
Il concetto di malattia sociale presuppone un elemento temporale ed uno quantitativo, vale a dire la persistenza nel tempo  e la diffusione su larga scala, all’interno di una fascia considerevole di persone. E ciò non ha scarso rilievo, tutt’altro, anche dal punto di vista della spesa sociale in termini di welfare state e di spesa sanitaria per predisporre i mezzi preventivi e curativi adeguati.
La legge n.296 del 1958, all’art.3, statuisce che fanno parte del Ministero della Sanità anche la Direzione Generale dei Servizi di Medicina Sociale con le sue 16 Divisioni e con previsione di legge sono state individuate nel tempo, con un’attività di aggiornamento legata all’insorgenza di nuove forme morbose, una serie di patologie definite di rilevanza sociale sui presupposti identificativi individuati dallo stesso legislatore. Al Ministero compete, infatti, un obbligo periodico di adeguamento legato, come è intuitivo, alla necessità di una rivisitazione degli elenchi sulla base dei mutamenti scientifici e tecnologici che si susseguono nelle diverse epoche.
Tumori, malattie reumatiche, cardiovascolari, diabete mellito, disturbi della funzione tiroidea, tabagismo, uso e abuso di alcol, tossicosi da stupefacenti, epilessia. Altre, poi, possono avere gravi ripercussioni sociali come l’Aids.
Parlando di malattie sociali appare evidente che, tenendo conto della multifattorialità delle stesse, il concetto di salute sociale è in divenire. E proprio questa varietà di fattori scatenanti non può non portare a riflettere sul fatto che anche una crisi occupazionale su scala mondiale, se persistente e radicata in una vastissima fascia della popolazione dei vari paesi coinvolti, rappresenta un dato sociale di incidenza collettiva con ripercussioni sugli stili di vita ed il comportamento degli individui.
Cristian Curella
 http://www.reset-italia.net/2013/11/01/cosa-faro-da-grande/#sthash.p9BiZSPm.dpuf

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