sabato 30 novembre 2013

Per colpire il Brasile attacco alla Bolivia

L’agenzia internazionale dell’energia fa i complimenti al Brasile: brilla il suo futuro petrolifero ed è già leader mondiale delle rinnovabili. Un campione del modello estrattivo, forte anche nell’industria e nell’agroalimentare. Tanta crescita comincia a infastidire sul serio l’egemonia a stelle e strisce nella regione. Una delle contromisure classiche è destabilizzare i paesi frontalieri, ci pensa il Wall Street Journal. Il giornale più diffuso negli Usa scrive che la Bolivia è il “nuovo Afghanistan”, “un centro del crimine organizzato e un porto sicuro per i terroristi”, dove cresce la presenza iraniana e il governo difende i produttori di cocaina, un “narcostato” 
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di Raúl Zibechi
Il 12 novembre, a Londra, l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA, la sua sigla in lingua inglese) ha reso pubblico il rapporto sulle Prospettive per l’energia mondiale nel quale prevede che la domanda di energia crescerà di un terzo fino al 2035, a causa dell’espansione del consumo in Cina, India e Medio Oriente. Tra i molti temi trattati, il rapporto affronta quello delle differenze regionali nei prezzi dell’energia e spiega come quel fattore possa frustrare la crescita delle economie.
Il paese che maggiormente brilla nel rapporto è il Brasile, al quale viene dedicato un capitolo in cui si assicura che “è all’avanguardia per l’esplorazione nelle acque profonde” e per le energie che non provengono da idrocarburi, grazie alle sue vaste risorse idroelettriche. Il rapporto anticipa che per il 2035 il Brasile “si convertirà in un importante esportatore di petrolio e in un importante produttore mondiale di energia”, essendo responsabile “di un terzo della crescita dell’offerta mondiale per il petrolio”.
L’agenzia internazionale stima che “le risorse del Brasile sono abbondanti e diversificate”, vi convergono le energie rinnovabili e le maggiori scoperte mondiali di petrolio degli ultimi dieci anni. Secondo le stime della IEA, che coincidono con i progetti annunciati da Petrobras, la produzione di petrolio del Brasile crescerà dagli attuali 2,2 milioni al giorno ai 4,1 milioni nel 2020 e ai 6,5 milioni nel 2035, un avanzamento che renderà il Brasile il sesto produttore del mondo.
La potenzialità dell’energia brasiliana però non si ferma qui. La IEA assicura che per il 2035 il Brasile sarà responsabile del 40 per cento del commercio mondiale di bio-combustibile, perché ha terre sufficienti per espandere le sue coltivazioni di canna da zucchero destinata a produrre etanolo. Le coltivazioni copriranno un terzo della domanda interna di combustibile per il trasporto. “Il Brasile è già leader mondiale per le energie rinnovabili ed è avviato a raddoppiare la sua produzione di combustibili rinnovabili per il 2035”, dice il rapporto, fino a raggiungere l’equivalente di un milione di barili di petrolio al giorno.
Far diventare realtà queste proiezioni impone giganteschi investimenti per l’estrazione nelle acque profonde, circa 60 miliardi di dollari l’anno. Quest’anno Petrobras ha installato nuove piattaforme marittime e ha investito circa 50 miliardi di dollari. L’agenzia dell’energia calcola che per il 2035 Petrobras sarà leader globale, con il 60 per cento dell’estrazione mondiale di petrolio in acque profonde. In questo modo, il Brasile è l’unico membro dei Brics che combina una potente industria, un enorme settore agroalimentare  e un’elevata produzione di energia, fattori che lo rendono meno vulnerabile, per esempio, della Cina.
Cosa pensano di fare il Pentagono, il Comando Sud e il settore finanziario degli Stati Uniti di fronte a una situazione che diventa, di fatto, una sfida per l’egemonia della superpotenza nella regione? Non lo sappiamo con precisione, ma tutto indica una crescente destabilizzazione del Venezuela e di altri paesi che sono “chiavi” per circondare il Brasile di conflitti, allo stesso modo in cui si sta agendo per cercare di frenare la Cina e la Russia.
Un recente editoriale del Wall Street Journal rivela alcuni obiettivi non dichiarati ma plausibili. Nella sua rubrica settimanale, l’editorialista Mary Anastasia O’Grady si domanda: la Bolivia è il nuovo Afghanistan? (The Wall Street Journal, 27 ottobre 2013). L’editoriale è allucinante, risulterebbe esilarante se non fosse stato pubblicato in uno dei giornali più influenti al mondo, un giornale che riflette la visione delle élites del settore finanziario e del settore più guerrafondaio delle forze armate.
“Il paese andino si è trasformato in un centro del crimine organizzato e in un porto sicuro per i terroristi”, recita il sottotitolo. L’articolo ricorda che dopo l’occupazione sovietica, l’Afghanistan si è trasformato in “un’incubatrice del crimine organizzato”, essendo un luogo propizio per persone come Osama Bin Laden. “Qualcosa di simile sta accadendo in Bolivia. Il governo è un difensore dei produttori di cocaina. La presenza iraniana sta crescendo”. Evo Morales e Álvaro García Linera, secondo The Wall Street Journal, “hanno cominciato a costruire un narcostato quando sono arrivati al potere nel 2006”.
L’editoriale colloca presunte informazioni insieme ad affermazioni degne di un’agenzia di spionaggio: “L’Iran può aver finanziato completamente o parzialmente la costruzione di una nuova base di addestramento militare dell’Alba nella regione di Santa Cruz”. Non c’è proprio nulla che avalli quel “può”, oltre al fatto che l’ambasciata iraniana a La Paz avrebbe molti funzionari.
La rubrica della settimana successiva è stata contro il Brasile e “il suo puro teatrino” nel denunciare lo spionaggio statunitense. “L’appoggio a Cuba – sostiene O’Grady – colloca il Brasile sul lato sbagliato della geopolitica (The Wall Street Journal, 3 novembre). Si potrebbe sempre pensare che si tratti di delle affermazioni di una persona poco seria e, chissà, come suggerisce la rivista Nacla, quasi deliranti. Però O’Grady non è una persona qualunque che scrive su un piccolo giornale di provincia. Ha lavorato per decenni nella finanziaria Merrill Lynch e fa parte del selezionato consiglio di redazione del giornale più diffuso negli Stati Uniti.
Sarà delirante pensare che certi settori del potere stanno progettando operazioni molto più ambiziose di quelle che hanno abbattuto Manuel Zelaya e Fernando Lugo, ex presidenti di Honduras e Paraguay? Impossibile saperlo con precisione, ma è bene ricordare che uno dei punti fondamentali della strategia degli Usa per restare una superpotenza consiste proprio nell’impedire la nascita di potenze regionali che possano contenderle il ruolo dominante.
Gli analisti brasiliani concordano sul fatto che la strategia del Pentagono consiste nell’esercitare pressione sulle frontiere del Brasile. L’intento è di trasformare i suoi vicini in “Stati venuti meno”, una categoria nella quale possono collocare in futuro paesi come la Bolivia e forse l’Argentina, il Paraguay e perfino l’Uruguay con la scusa del transito delle droghe (Defesanet, primo di novembre). Stiamo attraversando un periodo di cambiamenti che comprende convulsioni di ogni tipo. È necessario prepararci ad affrontarle.

Fonte: la Jornada
Traduzione per Comune-info: m.c.
Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo. In Italia ha collaborato per dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. Il suo ultimo volume è uscito per ora in Messico, Cile e Colombia ed è intitolato Brasil potencia.

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