Dopo oltre vent’anni di attività e impegno, Medici Senza Frontiere ha deciso di lasciare la Somalia. Troppi rischi, in sostanza. Paradossale che l’organizzazione medico-umanitaria sia giunta nel Paese nel 1991, nel pieno di una guerra civile che neanche le diverse operazioni di peacekeeping dell’ONU sono riuscite a domare. Da allora MSF ha avviato ben 13 programmi di assistenza, portando avanti attività sanitarie legate all’emergenza continuata, campagne di vaccinazione, interventi nutrizionali e piani di assistenza ai rifugiati somali nei campi di Dadaab in Kenya e Dolo Ado in Etiopia.
La nuova disfatta invece è in ambito “solidale”: dalcomunicato stampa emesso da MSF alla vigilia di Ferragosto emergono stanchezza e sfiducia. Nelle autorità locali innanzitutto. “La chiusura […] è il risultato dei gravi attacchi al proprio personale in un contesto dove gruppi armati e autorità civili sempre più sostengono, tollerano, o assolvono l'uccisione, l’aggressione e il sequestro degli operatori umanitari. In alcuni casi, gli stessi attori - soprattutto ma non esclusivamente nel centro sud della Somalia - con i quali MSF deve negoziare le garanzie minime per il rispetto della sua missione medico umanitaria, hanno svolto un ruolo negli abusi contro il personale di MSF, attraverso il coinvolgimento diretto o la tacita approvazione”. Le autorità (ufficiali o meno) con cui si tratta di giorno nel tentativo di portare aiuto umanitario a centinaia di migliaia di civili somali sono dunque le stesse che poi tramano alle spalle dell’organizzazione, prendendola di mira con attacchi al personale o manipolandola per i propri fini. Non si tratta di presentimenti o di minacce vacue. Solo lo scorso luglio sono state liberate dopo 21 mesi di prigionia due cooperanti di MSF, Montserrat Serra e Blanca Thiebaut, rapite nell’ottobre 2011 nei campi profughi di Dadaab in Kenya ma trattenute nel centro sud della Somalia. Mai dimenticata è stata inoltre la brutale uccisione di due operatori di MSF a Mogadiscio nel dicembre 2011, seguita dalla successiva liberazione anticipata dell’omicida condannato. In totale sono 14 gli altri membri del personale di MSF uccisi dal 1991, e l'organizzazione ha registrato decine di attacchi contro il personale, le ambulanze e le strutture mediche. Condivisibile allora che il presidente di MSF, Unna Karunakara, abbia parlato di “squilibrio insostenibile tra i rischi e i compromessi che il nostro personale deve prendere, e la nostra capacità di fornire assistenza alla popolazione somala”.
Ma la sfiducia generale dell’organizzazione è diretta anche verso le istituzioni multilaterali, in primis l’ONU. Sulla base dei “principi operativi di indipendenza e imparzialità” di MSF, l’assistenza umanitaria deve rimanere una priorità e restare completamente indipendente da qualsiasi agenda politica. Un’impostazione ben diversa da quanto sta profilando il Consiglio di Sicurezza nell’intento di rendere il sistema degli aiuti umanitari uno strumento al servizio delle azioni di peacekeeping internazionale contro i gruppi di opposizione armata in un’ottica di stabilizzazione. In un Paese in cui molti cittadini continuano a lottare per il minimo necessario alla sopravvivenza, come cibo, cure mediche, protezione dalla violenza, una scelta di questo genere appare a Jerome Oberreit, il segretario generale di MSF, pura follia. O meglio, è il segno che si intende prediligere il raggiungimento di obiettivi politici e di sicurezza senza tenere in alcuna considerazione la legittimazione degli gli operatori umanitari, a partire dal personale medico-sanitario, impedendo loro di raggiungere le popolazioni intrappolate nel conflitto. Un percorso già seguito anche in Afghanistan, Iraq, Sierra Leone e Angola, con risultati quantomeno opinabili.
Le violenze e l’instabilità del Paese appaiono evidenti. Solo il 19 giugno scorso sono morte 5 persone nell’attacco alla sede ONU di Mogadiscio. I combattimenti tra le milizie dei signori della guerra somali che rispettivamente controllano varie porzioni di territorio continuano a mietere vittime, anche fra i civili. In due scontri a fine giugno sono rimaste uccise almeno 12 persone. Il 17 agosto è stato invece assassinato un tecnico della radio pubblica somala, Radio-Mogadiscio. Sono così sei i giornalisti uccisi in Somalia dall'inizio dell'anno; 18 lo scorso anno. L’ONU ha lanciato inoltre in questi giorni l’allarme su un’epidemia di poliomelite: sono 105 i casi rilevati sinora, nonostante 5 anni fa nel Paese la malattia fosse considerata debellata.
A fronte di questa situazione di perenne instabilità ed emergenza sotto molteplici profili, nutrizionale e sanitario, ma anche politico e sociale, appare forse poco accorta la decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di sospendere l’embargo sulla vendita delle armi leggere al Paese (Ris. 2093 del 6 marzo 2013). Che una Somalia pacificata e in cui lo spinoso tema della sicurezza sembrava essere stato risolto siano solo, purtroppo, un’illusione passeggera?
Nessun commento:
Posta un commento