sabato 5 maggio 2012

Teresio Olivelli, il ribelle beato

Nato a Bellagio (CO) nel 1916, Teresio Olivelli frequenta le ultime classi elementari a Zeme, dove la famiglia ritorna nella casa paterna. Dopo il Ginnasio a Mortara e il Liceo a Vigevano, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, come alunno del collegio Ghislieri.  Nel tempo degli studi ginnasiali, liceali e universitari, come pure nell’anno di insegnamento universitario, a Mortara, a Pavia e a Torino, partecipa intensamente alle attività di Azione Cattolica e della Fuci e della S. Vincenzo, poiché avverte l’impellente richiamo di portare i valori evangelici nei diversi ambienti sociali, specialmente del mondo universitario, non temendo di affiancarsi all’unica espressione politica consentita, il fascismo. Con il supporto di una fede intensamente vissuta, opera altresì là dove il bisogno dei più poveri lo chiama per lenire sofferenze materiali e spirituali


E’ questo il periodo in cui diventa più concreta la sua vocazione alla carità, che testimonia con crescente ardore. Realizza così nell’Azione Cattolica una feconda esperienza spirituale e formativa, prefigurante alcuni significativi tratti del suo futuro cammino. Laureatosi nel novembre 1938, si trasferisce all’Università di Torino come assistente della cattedra di diritto amministrativo. Inizia una stagione di intenso impegno socio-culturale, caratterizzato dallo sforzo incessante di inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di influirne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee ispirate alla fede cristiana. Questo tentativo di “plasmare” il fascismo è finalizzato unicamente ad affrontare un’emergenza: la costruzione di una società migliore.
Vince pure i littoriali del 1939, sostenendo la tesi che fonda la pari dignità della persona umana, a prescindere dalla razza. Chiamato a Roma presso l’Istituto Nazionale di studi e di ricerca, dove può intrattenere rapporti con personaggi autorevoli del panorama culturale e politico italiano, vi opera effettivamente per otto mesi: infatti rifiutando l’esonero decide di intraprendere il servizio militare. E’ in corso una guerra imposta al Paese, il quale deve subire; Teresio non vuole considerare dall’alto di un ufficio e con distacco la maturazione degli eventi, ma desidera inserirsi in essi, con eroica abnegazione. In particolare, è fermamente determinato a stare con i soldati, la parte più esposta e quindi più debole del popolo italiano in lotta. Nel 1940 è nominato ufficiale degli alpini: chiede di andare volontario nella guerra di Russia per stare accanto ai giovani militari e condividerne la sorte. Sopravvissuto alla drammatica ritirata, mentre tutti fuggono egli si ferma a soccorrere eroicamente i feriti, con gravissimo rischio. Rientrato in Italia nella primavera del 1943, abbandona definitivamente la brillante carriera “romana” e, all’età di 26 anni, ritorna in Provincia per dedicarsi all’educazione dei giovani come rettore del Ghislieri, avendo vinto il relativo concorso al quale si era presentato prima di partire per il fronte russo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si trova ancora sotto le armi e, non volendo farsi complice dello straniero che occupa l’Italia, non si arrende ai tedeschi, pertanto viene arrestato e deportato in Germania. Fuggito si inserisce nella resistenza cattolica bresciana. La sua è una adesione peculiare: infatti non agisce secondo criteri ideologici o di partito, ma unicamente secondo i principi della fede e della carità cristiana.
Quella di Teresio Olivelli è sì una partecipazione generosa alla lotta di liberazione con le altre forze sociali del Paese, ma più profondamente è testimonianza viva del Vangelo in tutte le espressioni della carità per l’uomo, in momento in cui si accendono i roghi dell’odio. Fonda Il Ribelle, foglio clandestino di collegamento tra i partigiani di ispirazione cattolica; in queste pagine egli esprime il suo concetto di resistenza; essa è rivolta dello spirito alla tirannide, alla violenza, all’odio; rivolta morale diretta a suscitare nelle coscienze dei sottomessi il senso della dignità umana, il gusto della libertà. Scrive la famosa preghiera Signore facci liberi, comunemente detta “Preghiera del ribelle”, perché destinata all’orazione dei partigiani, chiamati ribelli. In questo testo definisce se stesso e i suoi compagni “ribelli per amore”. La diffusione tramite il giornale Il Ribelle di questo pensiero ricco di umanità e squisitamente evangelico è considerata attività cospirativa e costituisce il motivo più profondo del suo arresto che avviene a Milano nell’aprile 1944. Segue la deportazione nei campi nazisti prima in Italia, poi in Germania: Fossoli, Bolzano-Gries, Flossenburg, Hersbruck: Teresio comprende che è giunto il momento del dono totale e irrevocabile della propria vita per la salvezza degli altri. In questi luoghi aberranti il dovere della cristiana carità portato fino all’eroismo, diventa per lui norma di vita: interviene sempre in difesa dei compagni percossi, rinuncia alla razione di cibo in favore dei più deboli e malati. Resiste con fede, fortezza e carità alla repressione nazista, difendendo la dignità e la libertà di tanti fratelli.
Questo atteggiamento suscita nei suoi confronti l’odio dei capi baracca, che di conseguenza gli infliggono dure e continue percosse. Esse non fermano il suo slancio di carità, a causa del quale è consapevole di poter morire: tuttavia sceglie di correre tale rischio. Ormai deperito, si protende in un estremo gesto d’amore verso un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato, facendo da scudo con il proprio corpo. Viene colpito con un violento calcio al ventre, in conseguenza del quale muore il 17 gennaio 1945.

(Preghiera del ribelle)
SIGNORE che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo oneroso e crudele che in noi e prima di noi, ha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione.
DIO, che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura. Noi Ti preghiamo Signore.
TU che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
NELLA tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare.
SE cadremo fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.
TU che dicesti: “Io sono la risurrezione e la vita” rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie.
SUI monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
DIO della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.
Teresio Olivelli


http://www.teresioolivelli.it

Nessun commento:

Posta un commento