sabato 13 dicembre 2025

Graziella Campagna

 


La trascinarono via, in preda al panico. Poi arrivati in un prato, le spararono cinque colpi di fucile in piena faccia. Infine, una volta rovinata a terra, le si accanirono contro sferrandole altri colpi alla testa. 


Graziella Campagna aveva solo diciassette anni quando venne uccisa dai mafiosi. Era una lavoratrice, aveva dovuto abbandonare gli studi per vivere, lavorando in nero in una lavanderia a Messina per una miseria. E lì, in quel posto di lavoro, trovò la sua condanna a morte: una piccola agendina caduta da una camicia che stava lavando. L’agendina di un boss, con informazioni sensibili per i mafiosi. 


Dalla lavanderia, qualcuno fece il suo nome; dissero che aveva visto quell’agenda. 


Pochi giorni dopo, dei mafiosi la fermarono mentre tornava a casa, la sera. La caricarono su una macchina, la portarono in un prato e la giustiziarono in quel modo orrendo. Accanendosi su di lei che non aveva colpe, che non aveva fatto del male a nessuno. 


Era ieri, il 12 dicembre, quando l'uccisero così brutalmente. 


Nel suo ricordo, non dimentichiamo mai cos’è la mafia e di cosa è capace. 


Non ha onore, non ha dignità. È solo morte, dolore, ignoranza e vigliaccheria.

Leonardo Cecchi 

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La Melona sogna il ritorno del fascismo

 


La libertà di stampa è sotto attacco. Il diritto alla protesta è sotto attacco. Querele temerarie, intimidazioni, repressione. Violazioni su violazioni delle più elementari regole dello Stato di diritto


Contro giornalisti e attivisti, il governo sta dando il peggio di sé. 


È questo il quadro che esce dall’ultimo rapporto del Civicus Monitor, che ogni anno fa il punto sulle condizioni della democrazia a livello globale. Non ci possiamo sorprendere. Meloni è una leader fortissima sui social ma che non sa affrontare un contraddittorio. Per questo l’Italia deve assomigliare sempre di più a lei, alla sua propaganda. Dove ci sono delle promesse mancate, deve regnare il silenzio. Dove sono più evidenti i danni della destra, calare la censura.  


E così perdiamo pezzi su pezzi della nostra democrazia. 


Finché non ne rimarrà nient’altro che l’ombra

Ilaria Cucchi

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Francesco Valeriano

 


Immediatamente dopo aver saputo del pestaggio, avevo contattato la direzione del carcere. Avevo chiesto come potesse essere accaduto. Ho recuperato quello scambio. 


La direttrice parlava di una “violenta ed imprevedibile aggressione”. 


Si era verificato l’esatto opposto di ciò che dovrebbe accadere davanti agli occhi di uno Stato consapevole, vigile. Che cura, e che non abbandona. Ma Francesco Valeriano e la sua famiglia sono stati abbandonati. Alla sofferenza, a un calvario durato sei mesi, alla morte arrivata ieri 11 dicembre


L’ultimo giorno di una vita che doveva essere recuperata, salvata. 


Il carcere dovrebbe essere una scuola, un luogo in cui si impara a vivere in libertà e con gli altri. Oggi invece è una camera di tortura, alimentata a indifferenza. 


E ne siamo tutte e tutti responsabili

Ilaria Cucchi

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I FALISCI: IL POPOLO ITALICO CHE MINACCIO' LA SOPRAVVIVENZA DI ROMA

 


Nelle terre aspre e vulcaniche a nord di Roma, incastonato tra profonde forre di tufo che tagliano il paesaggio come ferite millenarie, fioriva un tempo il popolo dei Falisci. Questa stirpe italica rappresenta uno dei capitoli più affascinanti e tragici dell'espansione romana nell'Italia centrale.


Abitanti dell'Agro Falisco, con capitale la possente Falerii Veteres, l'odierna Civita Castellana, i Falisci vivevano una peculiare contraddizione identitaria. Sebbene parlassero una lingua strettamente imparentata con il latino, tanto da poter essere compresi dai loro vicini romani, culturalmente avevano abbracciato lo stile di vita degli Etruschi.

Erano, per così dire, dei latini etruschizzati che avevano scelto di guardare verso l'Etruria piuttosto che verso il Tevere. Questa affinità li portò a stringere legami indissolubili con la vicina e potente Veio, influenzando la loro arte, le loro istituzioni e le loro alleanze politiche in modo determinante.


Questa scelta di campo condannò i Falisci a un secolare stato di belligeranza contro l'Urbe. Per tutto il V e IV secolo avanti Cristo, le legioni romane si trovarono a dover fronteggiare questo popolo fiero che, protetto dalle difese naturali delle sue rocche tufacee, minacciava costantemente i confini settentrionali del dominio romano.


Celebre è l'episodio dell'assedio del 394 avanti Cristo, narrato vividamente dagli storici antichi. Si racconta che durante l'assedio posto da Furio Camillo, un maestro di scuola falisco, con l'intento di ingraziarsi il nemico, condusse con l'inganno i figli dei nobili locali fuori dalle mura per consegnarli ai romani come ostaggi.


La reazione di Camillo fu emblematica della fides romana di quell'epoca: rifiutò il tradimento, fece legare il maestro e lo consegnò ai suoi stessi alunni affinché lo riportassero in città a suon di vergate. Questo gesto di nobiltà colpì talmente i Falisci da indurli a una resa onorevole, convinti di non potersi opporre a un nemico tanto virtuoso.

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La pace fu solo una tregua nel lungo scorrere dei secoli. L'atto finale della tragedia falisca si consumò nel 241 avanti Cristo, in un contesto storico ben diverso. Roma aveva appena concluso, vittoriosa ma esausta, la Prima Guerra Punica contro Cartagine.


Approfittando di quello che credevano essere un momento di debolezza dei dominatori, i Falisci osarono ribellarsi apertamente per l'ultima volta. Il calcolo si rivelò fatalmente errato. Il Senato inviò i consoli Quinto Lutazio Cercone e Aulo Manlio Torquato con un esercito imponente per sedare la rivolta.


La risposta romana non lasciò spazio alla clemenza dei tempi di Camillo: in soli sei giorni la rivolta fu soffocata nel sangue, con oltre quindicimila caduti tra le file dei ribelli. La punizione per aver sfidato la dea Roma fu definitiva e irreversibile.


La città roccaforte di Falerii Veteres venne rasa al suolo e abbandonata. Ai superstiti fu imposto di trasferirsi in una nuova città, Falerii Novi, costruita in una zona pianeggiante e priva di difese naturali, affinché non potessero mai più costituire una minaccia militare.


Persino la loro divinità protettrice, Giunone Curite, fu "evocata" e trasferita ritualmente a Roma, sancendo la fine spirituale e politica di un popolo che aveva osato opporsi al destino imperiale dell'Urbe. Oggi restano solo le silenziose necropoli scavate nella roccia, testimoni di una fratellanza di sangue cancellata dalla guerra.


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Le stronzate quotidiane di Cruciani

 


"Mi fa ridere l’idea che ci siano due carabinieri che fanno un inseguimento e che vengono accusati di omicidio stradale, che di solito è un’accusa rivolta ai civili, non ai militari, non agli uomini dello Stato. Ai civili che guidano magari sotto l’effetto di alcol, o comunque con eccesso di velocità.


Qui ci sono dei militari che stavano inseguendo due potenziali criminali. Questo è il punto: due gazzelle dei Carabinieri che stavano inseguendo potenziali criminali. Nessuno sapeva chi fossero questi due signori su una moto rubata. Nessuno lo sapeva. Hanno fatto un inseguimento di otto chilometri, bisogna ricordarle queste cose, otto chilometri dal centro di Milano alla periferia.


Li hanno urtati? Probabilmente sì. A mio parere ci dovrebbe essere il diritto allo speronamento, ma non è possibile che un poliziotto, un carabiniere, una gazzella, le forze dell’ordine, non possano speronare per fermare dei delinquenti. È impensabile! Questa cosa mi fa impazzire. Da oggi in poi, dopo che dei militari sono sotto accusa e andranno probabilmente a processo per omicidio stradale, ma quale gazzella dei Carabinieri, quale volante della polizia si metterà a inseguire sapendo che un inseguimento può finire male, com’è normale che sia, e che tu puoi finire sotto processo con un avvocato da pagarti, con un risarcimento da dare, eccetera?


Io mi metto nella testa dei carabinieri e dei poliziotti che conosco: molti sicuramente faranno il loro dovere, altri, giustamente, si fermeranno. Dopo un inseguimento, invece di inseguire, si fermeranno!"

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“Il Paese non vuole più questo Governo” Maurizio Landini

 


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Le ragazze del radio

 


Quando Grace salì sul banco dei testimoni, con nemmeno la forza di alzare le braccia, forse ripensò a come sarebbe potuta essere la sua vita se non avesse lavorato per pochi mesi per quella maledetta fabbrica.

Era stata assunta nel 1917, come altri cento operai, perlopiù donne, per dipingere soprattutto i quadranti degli orologi che l’US Radium Corporation produceva nello stabilimento in New Jersey. Le lavoratrici, con pennelli sottili, avevano il compito di spargere l’undark, una speciale vernice che di notte emetteva una luce verdastra, rendendo speciali gli orologi realizzati. Tale effetto era provocato dalla presenza del radio tra i componenti della tintura.

Già allora gli studi di Marie Curie, premio Nobel nel 1911 proprio per la scoperta di questo elemento chimico, dimostravano che la lunga permanenza a contatto con il radio era profondamente pericolosa per la salute. Ovviamente anche i vertici dell’US Radium Corporation erano a conoscenza di tali effetti.

Ma per l’azienda fare profitti era più importante che salvaguardare la vita delle lavoratrici e quegli orologi che risplendevano al buio erano un successo sul mercato (specie in quello bellico). Così per anni e anni donne giovani e meno giovani passarono intere giornate a contatto col radio, inumidendo i pennelli con la propria saliva per renderli più sottili e precisi nelle applicazioni.

Dapprima si manifestarono piaghe in bocca, caduta dei denti, dei capelli e anemia cronica, poi col tempo arrivarono le malattie più gravi: tumori alle ossa, alla mascella, leucemie, sarcomi. Molte di loro morirono precocemente e tra atroci sofferenze. Quando i primi medici iniziarono ad interessarsi alle condizioni delle lavoratrici, anche su pressione di associazioni dei consumatori e dei lavoratori, la proprietà cercò di insabbiare la faccenda.

Nel 1927 Grace Fryer, ex lavoratrice, seguita da altre cinque operaie, decise di far causa all’azienda. Quello che seguì fu un processo che modificò radicalmente il mondo del lavoro negli USA. Nonostante la US Radium, attraverso dei periti di parte, cercò di sviare dal radio la responsabilità delle malattie, e nonostante avesse pagato il silenzio di alcuni lavoratori, perse il processo anche grazie all’intervento di diversi uomini e donne di scienza che supportarono la causa delle operaie.

Alle lavoratrici, che poco tempo dopo morirono, fu riconosciuto un risarcimento (molto meno di quello richiesto), il pagamento delle cure mediche e un assegno mensile. Il loro sacrificio permise di accendere l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema delle malattie professionali. E dimostrò che non tutti erano disposti a morire in silenzio per permettere alle aziende che speculavano sulla vita dei lavoratori di arricchirsi ancora di più.


Cronache Ribelli

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