“UN PREMIERATO DEL GENERE È ROBA DA STATO AUTORITARIO” – ROMANO PRODI RILASCIA UN’INTERVISTA CHILOMETRICA ALLA “STAMPA” E RIESCE A PARLARE DI TUTTO, TRANNE CHE DI ELLY SCHLEIN: “SE NON GARANTIAMO UN SALARIO MINIMO DI SEI EURO NETTI ALL’ORA SIAMO UN PAESE CHE DEVE VERGOGNARSI DI SE STESSO” – “RENZI? NON FA PARTE DEL CENTROSINISTRA” – “STIAMO ANDANDO VERSO UN LIVELLO DI DEFICIT CHE ALTRO CHE PATTO DI STABILITÀ. STIAMO ESAGERANDO E NON SI PUÒ DARE LA COLPA AL COMMISSARIO GENTILONI”
Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocrea per “La Stampa”
[…] Romano Prodi […] Il governo è alle prese con la difficoltà della manovra. Una delle speranze è che l’Europa non torni alle vecchie regole del patto di stabilità. È giusto cambino radicalmente?
«Durante la mia presidenza della Commissione europea ho avuto problemi per aver definito il patto di stabilità stupido, perché poco flessibile. Ma […] stiamo andando verso un livello di deficit che altro che patto di stabilità! Dobbiamo fare un salto come quello di Gianmarco Tamberi ai mondiali per farcela. Ci stiamo allontanando dalla logica dei parametri che servono a lavorare insieme. Stiamo esagerando e non è che si possa dare la colpa al nostro commissario».
Secondo il vicepremier Salvini il commissario Gentiloni lavora contro il suo Paese. Lo ritiene credibile?
«Il leader della Lega strumentalizza a uso politico qualsiasi cosa gli sembra possa essere gradita al palato di chi deve ingoiare le sue parole, ma dimentica due cose: nessuno può accusare il nostro commissario di non essere attento agli interessi degli italiani e di non prendere in considerazione il nostro punto di vista.
Allo stesso tempo, un commissario giura fedeltà all’Europa, non è un avvocato prezzolato del governo. Gentiloni dev’essere un serio arbitro e come tale si sta comportando. Se non fosse così avrebbe tutti contro e non sarebbe certo questo l’interesse dell’Italia. Ma poi le pare si possa considerare Gentiloni squilibrato?».
mario draghi ai funerali della moglie di romano prodi flavia franzoni 1
L’uscita di Salvini rivela il persistente scetticismo della destra nei confronti delle istituzioni europee?
«È quella che si definirebbe un’uscita di copertura. Di fronte a una situazione di difficile controllo, intanto si dà un calcio sugli stinchi all’arbitro […]».
Ha ragione Draghi, senza una maggiore sovranità condivisa, senza un rafforzamento del centro mentre la periferia si allarga, l’Europa non può reggere?
«Le tesi di Draghi sono le fondamentali tesi di sopravvivenza dell’Europa, piene di serietà e buon senso. Se torniamo alla “non condivisione” è inutile credere ancora nell’Europa. Aggiungo che bisogna presto, presto, presto arrivare a una riforma sostanziale del modo di procedere nell’Ue. E su alcuni temi fondamentali, come sicurezza e politica estera, lavorare con la maggioranza qualificata. È tragico pensare come ormai nessuno consideri più l’Europa in nessuna delle grandi controversie internazionali. Nessuno la considera attrice di una pace possibile in Ucraina. Né un arbitro rispetto alla frattura tra Brics e G7. Purtroppo è considerata una realtà in decadenza».
Secondo lei c’è la speranza che qualcuno, magari dalle parti di Francia e Germania, ascolti questo tipo di appelli?
«Ormai siamo in fase preelettorale e sono molto pessimista, perché sta diventando interesse generale, per riprodurre gli attuali equilibri nel dopo elezioni, fare il meno possibile. Potrebbe agire Macron, ma è in una situazione di estrema difficoltà interna. La coalizione tedesca ha troppi punti di divergenza e si dedica soprattutto ad una azione di mediazione […]. Non parliamo dell’Italia che […] in materia di politica europea deve ancora decidere “se andare a messa o stare a casa”. […]».
Siamo destinati a vedere l’Europa andare sempre più a destra o quel che è successo in Spagna dimostra che può nascere un argine?
«Il problema è ripensare la politica. […] In Europa abbiamo […] una separazione psicologica oltre che politica tra la parte urbana e la parte rurale. In Italia potremmo definirle la parte del centro e quella della periferia, non necessariamente rurale. Noi siamo portati a pensare che la sola differenza rilevante sia quella tra ricchi e poveri. Differenza importantissima, ma non sufficiente […]. Faccio un esempio emiliano: il voto del Pd domina fino a 4 chilometri a sud e 4 chilometri a nord della via Emilia, ma perde in città ricchissime come Carpi e Mirandola. La tesi dice: attenzione, la sinistra non ha saputo unire le due Italie. Come in Francia, anche nel nostro Paese la protesta di chi vuole il cambiamento nell’Italia periferica prende una direzione diversa rispetto a chi esprime le stesse esigenze nelle aree centrali. Il riformismo diviso non può mai vincere».
[…] «[…] I cosiddetti riformisti vanno su due linee totalmente diverse a seconda che si sentano appartenere al nucleo centrale della società e al nucleo periferico. E invece, quel che serve è una grande ricomposizione che si compie, semplicemente, applicando la democrazia. Peccato che ormai i partiti siano finti».
In che senso finti?
«Non c’è più la gente, parlano i dirigenti fra di loro. […] Se la sinistra, se i riformisti, vogliono riprendere un ruolo, devono rimpastare l’Italia. Usando non più l’autobus, ma la rete con appelli a centinaia di migliaia di persone per discutere e poi fare sintesi. Se fanno questo, recuperano il Paese».
Sembra stia dando i compiti per casa, ma non è sicuro ci sia qualcuno in grado di svolgerli.
«Gli scontenti […] si dividono tra gli scontenti della periferia e quelli del centro. L’Italia è molto più periferia che centro e quindi è chiaro che se la sinistra non rimpasta le istanze, la destra non potrà che prevalere.
Ho in mente uno strano meccanismo. Prendere le 15 parole di cui discutiamo a tavola, droga disoccupazione pace salari e così via. Quindici parole che rappresentano le ansie di tutti. Le fai discutere in rete da persone sagge, anche non di partito. Una parola alla volta, ogni settimana. Il sabato il segretario va in una città simbolica e, in presenza, apre la discussione. Quindici settimane dopo hai pronto lo schema di programma. Questa è la democrazia, sentire il popolo […]».
Perché in mancanza di questo “rimpasto”, le ricette di destra suonano più convincenti? […]
«La criminalizzazione, i blitz, sono misure occasionali che servono a colpire l’opinione pubblica. Quando invece si tratta di fare un cambiamento di sistema, come il salario minimo, la destra arretra».
Almeno su questo il centrosinistra si è unito. A parte Renzi.
«Renzi non fa parte del centrosinistra: lui stesso si è chiamato fuori. Sul salario minimo ho letto tutti, giuristi, sindacati e faccio un ragionamento molto semplice: se noi non garantiamo sei euro netti all’ora a chi lavora, perché questo sono i 9 euro lordi, siamo un Paese che deve vergognarsi di se stesso. Siamo al di sotto del minimo vitale per una persona che deve vivere. Non tiriamo fuori finezze giuridiche o interessi particolari. Limitiamoci a constatare che con meno di così si muore».
A proposito di Renzi, che è pronto ad appoggiarla, la riforma costituzionale su cui è al lavoro il governo è stata definita da Enzo Cheli su questo giornale eversiva.
«La proposta di premierato assoluto radicale fatta in questi giorni è al di fuori del sistema democratico parlamentare e di ogni ricerca di equilibrio politico. Quel che ha detto Cheli è Vangelo […]. Il Parlamento che se vota contro il governo decade, ma ci rendiamo conto? Il suicidio delle Camere come soluzione politica. Un premierato del genere è roba da stato autoritario perché significherebbe che il Parlamento di fatto non esiste più».
[…] Per paradosso, nel momento in cui pensavamo che per quel che ha fatto la Russia sarebbe diventata una potenza paria nel mondo, i Brics di cui fa parte si espandono. E di conseguenza, sebbene siano composti da Paesi molto diversi, si rafforzano. Nel mondo stanno avanzando i regimi e retrocedendo le democrazie. Come si contrasta uno scenario di questo tipo?
«C’è un arretramento sistemico delle democrazie […] perché è lo “spirito democratico” a essersi indebolito. Lo dico da economista: quando non si fa neanche più l’antitrust con coloro che dominano nel mondo, le grandi multinazionali, è perché non c’è la forza politica per farlo. E questo fa sì che le democrazie adagio adagio cambino natura, perché gli interessi materiali prevalgono su tutto.
Quando in Cina, che è un sistema autoritario che certo a noi non piace, Xi Jinping proibisce le scommesse in rete perché gli adolescenti ne sono vittime, noi che facciamo? Nel nostro occidente i giocatori di football hanno scritto sulla maglia: “Bet, bet, bet”.
Abbiamo perso il senso di cosa dobbiamo fare nell’interesse comune. Affrontiamo i problemi che angosciano i genitori o aderiamo ai desideri dei giganti dell’economia? Lo stesso presidente cinese spezza in due Ali Baba perché è troppo grande, come noi 30 anni fa dividevamo la AT&T e la stessa Ibm. Il nostro obiettivo è la democrazia o la plutocrazia?».
[…] Un ex premier come lei, Giuliano Amato, ha parlato di uno dei misteri d’Italia, la strage di Ustica, dicendo di credere che a colpire il Dc9 sia stata la Francia con la complicità e la copertura dei Paesi Nato attraverso i servizi segreti. Cosa pensa di questa storia?
«Credo che Amato pensi che chi è stato reticente per tanti anni possa oggi trovarsi in una posizione diversa, e possa quindi parlare. Per ora, nell’intervista, non sono emersi nuovi elementi. Mi auguro che il suo tentativo possa produrre qualche risultato».
elly schlein ai funerali della moglie di romano prodi flavia franzoni
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Dalema71
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