“IN MONDADORI FU BOCCIATO” - RAUL MONTANARI, STORICO TRADUTTORE DI CORMAC MCCARTHY, UN GIGANTE DELLA LETTERATURA MONDIALE, SVELA L’ACUME DEL CELEBRATO ELIO VITTORINI: “LA NOTORIETÀ IN ITALIA ESPLODE SOLO NEGLI ANNI 90, MA POTEVA ACCADERE GIÀ NEI ’60. NEL 1965 IL PRIMO ROMANZO DI MCCARTHY VIENE SUBITO BOCCIATO DA VITTORINI. NEL 1966 ORESTE DEL BUONO PROPONE DI PUBBLICARLO. IL COMITATO DI REDAZIONE SI OPPONE E FINISCE LÌ''...
Camilla Tagliabue per Il Fatto Quotidiano - Estratto
Cormac McCarthy è morto: ci lascia in un “inferno darwiniano”, come Raul Montanari, suo storico traduttore, ha definito l’opera dello scrittore americano.
Ci spiega meglio?
McCarthy ha raccontato l’inferno terreno in cui conta soltanto la lotta per la sopravvivenza, la legge del più forte: specie nella prima fase della sua produzione, quella dei romanzi più duri e difficili, scrive di violenza in modo radicale; per lui il nodo della natura umana è la ferocia, la guerra, la sopraffazione. È un autore talmente intransigente e privo di compromessi, nella rappresentazione di questi lati oscuri e inconfessabili, che è difficile trovare precedenti. È stato accostato a Melville e persino a Omero, ma è ancor più radicale.
La concezione hobbesiana dell’homo homini lupus torna nell’ultimo romanzo Il passeggero (uscito con Einaudi e primo del dittico che si chiude a settembre con Stella Maris): il protagonista compulsa Il Leviatano, è pessimista, eppure c’è Dio da qualche parte...
McCarthy poteva anche essere ateo, ma come scrittore si pone il problema teologico. Interrogarsi sul male significa interrogarsi su Dio e sul silenzio di Dio, il suo mancato intervento, il suo distacco. Nei suoi libri c’è sempre una tensione religiosa, un interesse per le domande ultime. Non a caso, il realismo di McCarthy è confinato alle descrizioni, mentre i dialoghi sono filosofici, platonici, oltretutto in bocca a pezzenti, assassini e banditi che parlano con un linguaggio altissimo, impossibile, nella realtà, per chi come loro è incolto e miserabile.
Il suo Sunset Limited per il teatro è quasi irrappresentabile tanto il dialogo è tra il bianco e il nero, il bene e il male…
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Squisitamente americano, anche l’immaginario è diverso dal nostro: i cowboy, la frontiera... Che difficoltà ha avuto nel tradurlo?
Il cinema, ma non solo, ci ha reso il west tutto sommato familiare, in primis grazie a Sergio Leone, che forse McCarthy ha visto e amato. La sua lingua invece è difficilissima: ha un lessico sterminato, influenzato da una notevole cultura scientifica. La qualità della sua sintassi è poi “dondolante”: ha un ritmo binario che sembra davvero quello del cavallo al galoppo.
Posso aggiungere una cosa legata alla sua fama?
Prego...
La sua notorietà in Italia esplode solo negli anni 90, ma poteva accadere già nei ’60. Nel 1965 il suo primo romanzo ‘Il guardiano del frutteto’ finisce in Mondadori per una eventuale pubblicazione: viene subito bocciato da Vittorini che lo giudica “troppo letterario”. Vittorini muore poco dopo, nel 1966, e la pratica passa a Oreste Del Buono, che conferma le osservazioni del predecessore – anch’egli sente l’eco di Faulkner e la grande tradizione del Sud degli States – e però lo considera un “mostro, un fuoriclasse” e propone di pubblicarlo. Il comitato di redazione, tuttavia, si oppone e finisce lì.
McCarthy in Italia ha perso così trent’anni di notorietà: molto ha fatto per lui Baricco, come divulgatore e influencer ante litteram. E poi è arrivato il cinema, con i film tratti da Non è un paese per vecchi e La strada.
Anche in patria impiegò tempo per farsi amare: gli americani lo giudicavano vecchiotto rispetto a colleghi tipo Roth... Aveva la Bibbia come fonte: come è stato possibile che una letteratura così archetipica diventasse di massa?
McCarthy fu accolto con molti dubbi negli Usa: c’è così poco in lui di newyorchese, di minimalista, di glamour... Tuttavia, quando uscì Meridiano di sangue (1985), fu talmente evidente la grandezza dell’autore che si creò un’alleanza tra docenti, critici e letterati per aiutarlo e spingerlo, trattandolo come un classico. È uno di quegli scrittori la cui attualità consiste nell’essere deliberatamente inattuale grazie alla capacità di attingere ad archetipi letterari e di coscienza collettiva come i testi sacri, l’Antico testamento più che il Vangelo. In esergo al Meridiano appunta: “Un rituale ha bisogno di sangue”. Il sangue, la violenza e il sacrificio sono in stretta relazione con l’atto religioso.
Un conservatore con il fucile e Dio: McCarthy è il Clint Eastwood della letteratura?
Lo definirei reazionario, mentre Eastwood è un vero conservatore con un’immagine edulcorata, oleografica, anche un po’ infantile del west e delle radici. La rappresentazione di McCarthy, viceversa, è talmente aggressiva e violenta che non è conciliante nei confronti del passato americano, al di là di ogni intenzione politica. Una volta dichiarò di non aver mai votato in vita sua, sostenendo addirittura che “i poeti non dovrebbero votare”; gli artisti cioè fanno già politica con il proprio lavoro, non hanno bisogno di schierarsi.
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cormac mccarthy 6 NON E UN PAESE PER VECCHI NON E UN PAESE PER VECCHI cormac mccarthy 8
https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/ldquo-mondadori-fu-bocciato-rdquo-raul-montanari-storico-traduttore-357566.htm
Bush71
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