Se ne va uno dei tre massimi protagonisti della vita politica ivoriana. Bedié in 70 anni di carriera ha ricoperto qualsiasi posto chiave, da leader del più antico partito del paese, il partito democratico della Costa d’Avorio (PDCI) a capo di Stato.
Soprannominato la Sfinge di Daoukro (la sua città natale), per le sue rare prese di parola e longevità, insieme ad Alassane Ouattara e Laurent Gbagbo ha dominato la storia del suo paese dal 1993, data della morte del padre della patria Félix Houphouët-Boigny.
Il pupillo di le Vieux
Proprio quest’ultimo l’aveva introdotto all’interno della pubblica amministrazione ivoriana, già nel 1959. Allora era un giovane laureato in economia e diritto, fresco di studi svolti in Francia. Un anno dopo, sarebbe divenuto ambasciatore negli Stati Uniti della neonata repubblica ivoriana.
Nel 1966, le Vieux (‘’il vecchio’’, come veniva soprannominato Boigny) lo richiama in patria per affidargli la guida del ministero dell’economia e delle finanze. È il periodo del ‘’miracolo ivoriano’’. La produzione del cacao gode di prezzi alti sul mercato internazionale e fa da volano allo sviluppo del paese. La crescita prende la forma di una batteria di grattacieli che riempie il quartiere amministrativo di Plateau, nella capitale economica Abidjan.
In quei tempi la Costa d’Avorio è un paese che attira forza migrante da tutta la regione. I campi da coltivare sono tanti e le braccia non sembrano mai abbastanza.
Un inasprimento dei rapporti con Boigny riporta Bédié negli Stati Uniti, alla Banca Mondiale. La pausa americana dura solo 3 anni. Nel 1980 torna in patria dalla porta principale, come presidente dell’assemblea nazionale, la seconda carica dello stato.
Per 13 anni mantiene quel ruolo. Lo cambia solo nel 1993, quando le Vieux muore da capo di stato, a 88 anni. Per la Costituzione, il potere passa a Bédié, in attesa di nuove elezioni.
La torbida mossa della ivoirieté
La sua ascesa al vertice sembrerebbe incontrastata. Ma deve fare i conti con un altro giovane economista favorito da Boigny: Alassane Ouattara. Quest’ultimo era stato scelto come primo ministro nel 1990, per cercare di far fronte alla grave crisi economica che attanagliava il paese. Negli anni ‘80, il prezzo del cacao era precipitato e il miracolo ivoriano si avviava a divenire un lontano ricordo. In contemporanea, erano affiorati i primi elementi della caccia al colpevole, identificato nello straniero. La retorica anti-migranti, del genere “prima gli ivoriani”, muoveva i suoi primi pass
Come primo ministro, Ouattara dimostra competenza. In più si presenta come il volto nuovo e coltiva ambizioni presidenziali. È il nemico da abbattere per Bédié. Che non potendolo accusare di incapacità o di atti illeciti, tira fuori dal cilindro una delle mosse che definirà il suo cammino politico: la ivoirité.
Traducibile in ivorietà, è un concetto che ambisce ad identificare cosa voglia dire essere ivoriano, e per contrasto, cosa non lo sia. Pur nella sua vaghezza, è chiaro che non includa i tanti stranieri (circa un terzo della popolazione) di base in Costa d’Avorio.
Così Bédié inizia ad amplificare il risentimento sociale su base etnica, contro gli immigrati, e i residenti di lungo corso di origine straniera.
Al centro della campagna finisce il gruppo etnico dei Dioula, uno dei tre principali della Costa d’Avorio e originario del Burkina Faso. Bédié vanta invece le sue origini baoulé, come le Vieux.
In contemporanea modifica il codice elettorale: può candidarsi alla presidenza solo una persona ivoriana nata da madre e padre ivoriano. Viene così tagliato fuori Ouattara, che ha origini burkinabé.
In pratica unico candidato alle elezioni del 1995 Bédié si assicura la vittoria, ma non la stabilità. La crisi economica continua e si trasforma in crisi militare. Il 24 dicembre 1999, il generale Robert Guéï prende il potere con un colpo di stato. L’esercito francese porta in salvo Bédié in Togo, che poi si ritrova in esilio in Francia.
Intanto in Costa d’Avorio, a sorpresa il golpista Guéï perde le elezioni da lui indette per il 2000. A spuntarla è il dissidente per eccellenza, Laurent Gbagbo.
Vent’anni alla ricerca del ritorno al vertice
La reazione di Bédié è di puro pragmatismo. Conscio che da solo non potrebbe vincere le elezioni, si allea al suo arci-nemico Ouattara.
Sotto Gbagbo, il paese acuisce la sua crisi e conosce nuovi tentati colpi di stato. Il paese si ritrova spaccato in due, con la metà nord in mano ai ribelli guidati da Guillaume Soro.
Le elezioni arrivano sono nel 2010. Bédié appoggia Ouattara, che è ritenuto vincitore, ma Gbagbo rigetta i risultati.
Ne segue la cosiddetta crisi post-elettorale, che costa la vita ad almeno 3000 persone e termina nell’aprile 2011 con l’arresto di Gbagbo.
Segue una sorta di luna di miele tra i due pupilli di le Vieux per almeno 8 anni. Alle elezioni del 2015, Bédié appoggia di nuovo la candidatura di Ouattara, in cambio di vedersi ricambiato il favore alle elezioni del 2020. È il cosiddetto patto di Daoukro, nome della città in cui avevano trovato il loro gentlemen’s agreement.
Solo che nel 2018, Ouattara proprio non si ricorda di aver dato alcuna parola a riguardo. E di cedere il potere al PDCI non ne ha alcuna intenzione. Scatta una nuova faida che va avanti fino alle elezioni del 2020. Bédié le boicotta e chiama alla disobbedienza civile, così come fa quasi tutto il resto dell’opposizione. La loro ennesima crisi di coppia si risolve con l’esercito alle porte di casa della Sfinge, che torna a più miti consigli. Qualche mese dopo, i due fanno di nuovo la pace in nome della stabilità.
L’ultima scelta strategica di Bédié è di maggio. In vista delle elezioni municipale del prossimo settembre, si è alleato con il PPA-CI, il nuovo partito fondato da Laurent Gbagbo, che nel frattempo è stato scagionato da tutte le accuse all’Aia ed è tornato in patria.
Cronismo, esequie e successione
La sfinge di Daoukro ha rappresentato più di ogni altro politico, l’assenza di rinnovo ai vertici che affligge la politica ivoriana. Attualmente, alle 89 primavere di Bédié, bisogna contare gli 81 anni di Ouattara, e i 78 di Gbagbo. Tutto questo in un paese in cui l’età media è di circa 18 anni (per dare un’idea, in Italia è 48).
Passate le esequie ufficiali, all’interno del suo partito, si potrà aprire una lotta per la successione che è rimasta allo stato embrionale per anni.
Gli occhi sono già puntati sull’influente banchiere franco-ivoriano ed ex-ministro Tidjane Thiam.
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