NEW YORK. C'è stato un momento in cui tutti abbiamo pensato, per un secondo, che William Felton 'Bill' Russell, nato il 12 febbraio del 1934 a Monroe, Louisiana, fosse diventato segretamente immortale, autorizzato dalle sue molte vite, campione di basket, attivista dei diritti civili, marito, amico, uomo d'affari, icona. Invece non era così. Il pilastro della dinastia dei Boston Celtics, l'uomo capace di vincere otto titoli Nba consecutivi e undici in tutto, al punto che le dita delle mani non bastavano per contenere tutti gli anelli Nba, se ne è andato "pacificamente" a 88 anni, la mano stretta a quello della moglie, Jeannine. L'annuncio è stato dall'account ufficiale della sua organizzazione, "TheBillRussell", che ha voluto ricordare soprattutto il lascito umano e politico e le battaglie "che hanno illuminato la sua vita".
"Da quando - si legge - decise di boicottare una partita nel 1961 per smascherare la discriminazione troppo a lungo tollerata, al guidare il primo camp di basket interazziale in Mississippi all'indomani dell'assassinio dell'attivista Medgar Evans, a decenni di attivismo che gli erano valsi la Medal of Freedom del presidente", il più alto riconoscimento per un americano, consegnato da Barack Obama. Nel 1963, da stella Nba, prese parte alla marcia a Washington per il lavoro e la libertà ed era in prima fila ad ascoltare il discorso dell'"I have a dream" di Martin Luther King. Fu tra gli atleti afroameicani che difesero Muhammad Ali quando il pugile rifiutò di arruolarsi per andare in Vietnam e nel 2017, quando Donald Trump chiese ai proprietari delle franchigie di football Nfl di cacciare i giocatori che avessero osato inginocchiarsi al momento dell'esecuzione dell'inno, come aveva fatto Colin Kaepernick in segno di protesta per le brutalità della polizia verso i neri, Russell aveva postato una foto su Twitter in cui era apparso in ginocchio mentre stringeva la Medal of Honor. "Speriamo - è l'augurio della famiglia - che ciascuno di noi trovi un modo per agire e difendere i diritti nello stesso modo in cui lo fece Bill, senza compromessi e con dignità". "Quella - conclude - sarà l'ultima, davvero l'ultima vittoria per il nostro amato numero 6".
Russell è stato molto di più di un campione, ma quello che ha mostrato in campo resta unico, fin da prima dell'epopea Celtics. Già all'Università di San Francisco, Russell divenne il miglior atleta della storia dell'università in tutti gli sport: due volte selezionato tra i migliori giocatori d'America, due volte di fila campione Ncaa, leader di una squadra che vinse 55 partite consecutive. Nel 1956 era arrivata la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Melbourne, in Australia. Poi, venne Boston: nei suoi tredici anni con i verdi, Russell guidò i Celtics a dodici finali vincendone undici. Potevano essere dodici se l'anno dell'unica finale persa, nel 1958, contro gli Hawks di St. Louis, la serie ancorata sul 2-2, Russell non si fosse fatto male.
Dodici volte miglior giocatore del campionato, il gigante americano ha rivoluzionato i concetti difensivi del gioco, a cominciare dallo stoppare il tiratore, all'uso del tiro, finendo anche per prendere 21.620 rimbalzi, media di 22.5 a partita. In una sola gara ne catturò 51. Ma anche dall'altra parte del campo il gigante della Louisiana fece sentire il suo peso con 15.1 punti e 4.3 assist a partita. Fino all'avvento di Michael Jordan, Russell è stato considerato il miglior giocatore di sempre insieme a Wilt Chamberlain. Una volta smesso di giocare, Russell aveva cominciato una nuova vita da coach vincente, commentatore vincente, e persino attore vincente, sul palco di un teatro per bambini di Seattle e in un'apparizione nella serie televisiva "Miami Vice". È stato e resta uno dei motivi di consolazione per milioni di americani che hanno superato i settant'anni e che possono ancora dire: io ho visto giocare Russell. La sua immortalità, adesso, comincerà da queste parole.
https://www.repubblica.it/sport/basket/2022/07/31/news/morto_bill_russell_nba_boston_celtic-359940815/
Previti71
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