I perché senza risposta del «suicidio» di Alighiero Noschese
A cura di Giuseppe Ardagna
Il 3 Dicembre del 1979 si suicida l’attore imitatore Alighiero Noschese, iscritto P2 col numero di tessera 343. Sulle liste di aderenti alla loggia sequestrate ad Arezzo al maestro venerabile della P2, di fianco al numero del Noschese compare la dicitura: “morto”[1].
Il suicidio di Alighiero Noschese genera numerosi dubbi soprattutto per la dinamica dell’accadimento e per le circostanze che lo accompagnarono.
Non di meno il contesto in cui questo suicidio avvenne desta molto più di un dubbio.
Il suicidio di Alighiero Noschese genera numerosi dubbi soprattutto per la dinamica dell’accadimento e per le circostanze che lo accompagnarono.
Non di meno il contesto in cui questo suicidio avvenne desta molto più di un dubbio.
Innanzitutto parve (allora come oggi) assai strano che all’artista, ricoverato alla clinica Stuart di Roma per un fortissimo esaurimento nervoso e crisi depressive, fosse permesso di girare per il nosocomio privato con una pistola “Smith e Wesson calibro 38 tenuta comodamente in una fondina sotto la giacca (sic!)[2]. Uno dei medici che lo aveva in cura dichiarerà di aver dato la concessione all’imitatore perché “si sentiva più sicuro così”[3]. Ma sicuro da che cosa? Di che cosa aveva paura l’imitatore napoletano da necessitare della compagnia di un “cannone” di quelle dimensioni per sentirsi rassicurato all’interno di un perimetro privato e soprattutto sorvegliato? E poi perché il medico ha acconsentito a questa richiesta? Perché il medico non ha chiesto quali fossero le motivazioni alla base di una paura così forte, qualunque essa fosse? Ed anche se, ipoteticamente, gliele avesse chieste, quali paure possono essere così grandi da convincere il primario di una clinica a far girare un suo paziente armato per il perimetro del proprio nosocomio?
Altra coincidenza strana è data dal fatto che il giorno del suicidio dell’attore fosse ricoverato nella stessa clinica l’onorevole Giulio Andreotti per un intervento alla cistifellea, e che l’intera area del giardino della clinica fosse presidiata dai reparti speciali dei carabinieri nessuno dei quali vide o sentì nulla[4].
Ma com’è possibile? Il suicidio avvenne nella piccola cappella della clinica. I reparti dei carabinieri, ipotizziamo, anche se non avessero circondato l’intero edificio avrebbero certamente quantomeno piantonato gli ingressi ed il piano in cui l’onorevole era ricoverato.
E’ mai possibile che nessuno si sia accorto di nulla? E c’è un’altra cosa: possibile che chi dirigeva la clinica non abbia avvisato il capo reparto dei carabinieri che per la clinica girava un uomo armato? C’era l’effettiva possibilità che un rappresentante delle forze dell’ordine avrebbe potuto accorgersi di un uomo dotato di armi nella clinica ed avrebbe potuto pensare ad un attentatore nel qual caso, è facile prevederlo, la tragedia sarebbe potuta scoppiare. Perché nessuno ha detto nulla ai carabinieri? Ed anche se i carabinieri, per assurdo, avessero saputo della presenza di un uomo armato nella clinica, perché non hanno provveduto a disarmarlo almeno per il periodo di degenza dell’onorevole Andreotti?
Ma com’è possibile? Il suicidio avvenne nella piccola cappella della clinica. I reparti dei carabinieri, ipotizziamo, anche se non avessero circondato l’intero edificio avrebbero certamente quantomeno piantonato gli ingressi ed il piano in cui l’onorevole era ricoverato.
E’ mai possibile che nessuno si sia accorto di nulla? E c’è un’altra cosa: possibile che chi dirigeva la clinica non abbia avvisato il capo reparto dei carabinieri che per la clinica girava un uomo armato? C’era l’effettiva possibilità che un rappresentante delle forze dell’ordine avrebbe potuto accorgersi di un uomo dotato di armi nella clinica ed avrebbe potuto pensare ad un attentatore nel qual caso, è facile prevederlo, la tragedia sarebbe potuta scoppiare. Perché nessuno ha detto nulla ai carabinieri? Ed anche se i carabinieri, per assurdo, avessero saputo della presenza di un uomo armato nella clinica, perché non hanno provveduto a disarmarlo almeno per il periodo di degenza dell’onorevole Andreotti?
Ancora, per più di un’ora sia forze dell’ordine che addetti alla clinica impediranno ad alcuno di avvicinarsi al corpo esanime del Noschese[5].
Ma perché avrebbero dovuto “aiutare” l’imitatore a suicidarsi?
Un’ ipotesi la si potrebbe congetturare prendendo in esame il periodo degli anni di piombo e della successiva strategia dei depistaggi per le stragi della prima metà degli anni settanta. Nel giugno del 1981 il settimanale “L’Espresso” intervisterà un generale (il cui nome verrà mantenuto nell’anonimato) il quale rivelerà che per depistare le indagini sulle stragi si fece ricorso anche a telefonate affidate ad un imitatore estremamente abile nell’imitare i dialetti regionali e personaggi politici di spicco quali il presidente della Repubblica Leone e l’onorevole Giulio Andreotti. E forse Alighiero Noschese non era il miglior imitatore sulla piazza? Ed i due personaggi summenzionati non erano forse i cavalli di battaglia di Noschese? E fra le stragi della prima metà degli anni settanta non figura anche quella avvenuta sul treno Italicus del 1974? Proprio le indagini su questa strage porteranno, per la prima volta, Licio Gelli e la sua P2 agli onori delle cronache grazie al lavoro del giudice istruttore di Bologna Vella che nella sua sentenza di rinvio a giudizio per la suddetta strage non esitò a definire la P2 “Il più dotato e valido arsenale di strumenti di eversione politica e morale”[6].
E forse Noschese non era iscritto alla P2? Indubbiamente in quella famosa lista ci sarà stato chi nutriva determinate speranze per il futuro del paese (leggasi: svolta autoritaria a destra sotto il protettorato statunitense) e chi invece aderì al solo scopo di fare carriera ma, anche volendo ammettere che l’imitatore abbia aderito per quest’ultimo obiettivo, non mi sembra plausibile pensare a gente che ti aiuta nei periodi bui della professione senza pretendere nulla in cambio.Ma perché avrebbero dovuto “aiutare” l’imitatore a suicidarsi?
Un’ ipotesi la si potrebbe congetturare prendendo in esame il periodo degli anni di piombo e della successiva strategia dei depistaggi per le stragi della prima metà degli anni settanta. Nel giugno del 1981 il settimanale “L’Espresso” intervisterà un generale (il cui nome verrà mantenuto nell’anonimato) il quale rivelerà che per depistare le indagini sulle stragi si fece ricorso anche a telefonate affidate ad un imitatore estremamente abile nell’imitare i dialetti regionali e personaggi politici di spicco quali il presidente della Repubblica Leone e l’onorevole Giulio Andreotti. E forse Alighiero Noschese non era il miglior imitatore sulla piazza? Ed i due personaggi summenzionati non erano forse i cavalli di battaglia di Noschese? E fra le stragi della prima metà degli anni settanta non figura anche quella avvenuta sul treno Italicus del 1974? Proprio le indagini su questa strage porteranno, per la prima volta, Licio Gelli e la sua P2 agli onori delle cronache grazie al lavoro del giudice istruttore di Bologna Vella che nella sua sentenza di rinvio a giudizio per la suddetta strage non esitò a definire la P2 “Il più dotato e valido arsenale di strumenti di eversione politica e morale”[6].
[1] Ardagna G., La scoperta della lista P2 nella stampa italiana, Napoli, 2004
[2] Buzzari G., Trovato morto Alighiero Noschese, in <<La Repubblica>>,4 Dicembre 1979, p.18 [3] Ibidem ;[4] Ibidem;
[5] Ibidem;
[6] Bonsanti S., A Roma 400 massoni riuniti per processare Gelli e la P2, in <<La Stampa>>, 22 Marzo1981,p.6;
[2] Buzzari G., Trovato morto Alighiero Noschese, in <<La Repubblica>>,4 Dicembre 1979, p.18
[5] Ibidem;
[6] Bonsanti S., A Roma 400 massoni riuniti per processare Gelli e la P2, in <<La Stampa>>, 22 Marzo1981,p.6;
http://www.disinformazione.it/noschese.htm
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