di: Sebastiano Caputo & Lorenzo Vitelli
Il caso greco:
17
giugno. La vittoria delle elezioni legislative in Grecia è assegnata al
partito Nea Dimokratia (29,66%), partito liberalconservatore. Il suo
leader Antonis Samaras, raggiunto l’accordo con il Pasok e il centro
sinistra del Dimar, ha allestito il nuovo governo. Ma la sfida che si
prospetta è difficile: risanare l’economia per ridare fiducia ai
mercati, trovare un compromesso – non troppo scomodo per l’Ue – con le
misure di austerity europee.
Ma
questo non era quello che volevano i greci. Se guardiamo a queste
elezioni lucidamente, con un sguardo che si proietti dall’alto, non
possiamo che trarne una conclusione negativa. Il Pasok, movimento
socialista pan ellenico, partito in vita dal 1981, è stato, sotto la
presidenza di Papandreou, al centro della crisi del 2008 e del disastro
della falsificazione dei bilanci di governo. Pur deludendo, finalmente, a
queste elezioni, è riuscito ad attingere il 12,28% dei consensi, anche
se parlare di consensi sembra difficile. Questo partito rimane
nell’ottica europea, credendo ancora, assieme a Nea Dimokratia, in un
possibile salvataggio in extremis della Grecia all’interno dell’Ue.
Entrambi questi due partiti appoggiano le misure della Troika, credendo
fermamente alle manovre della Commissione, e sommati, hanno raggiunto il
41,94% dei voti.
Come
spiegarsi che, dopo mesi di misure di austerità, dopo il rigore
merkeliano addossato sulle spalle di un popolo tradito dalla propria
classe dirigente, dopo i bambini svenuti sui banchi di scuola per la
malnutrizione, dopo gli accordi tra Stato ed imprese di distribuzione
energetica per tagliare luce e gas a chi non pagava le tasse, i
cittadini cadessero ancora nella trappola? Molti
hanno pensato che in Grecia non si doveva stare poi così male da
tirarsi indietro, altri dicono che la paura di rimettere in causa un
sistema come l’Ue sarebbe stato un azzardo. E adesso l’Unione Europea e
la Merkel – che finalmente è lei ad aver vinto le elezioni greche –
danno per guarita la carcassa europea, una carcassa che il voto ellenico
ha risanato, sia al suo interno, sia esternamente, grazie al vento di
fiducia che respireranno i mercati.
Ma
la situazione è diversa, e, dall’altro lato Syriza (26,89%), Alba
Dorata (6,92%), i Greci Indipendenti (7,51%) e il Partito Comunista
(4,50%), formano un’ala del parlamento che raggiunge il 45,82% dei
consensi. Poco più del 45% dei votanti ha espresso la sua opposizione,
attraverso questi partiti, nei confronti della Troika, del sistema euro,
delle politiche di austerità, della dittatura economica della Germania,
ma ancora una volta la legge elettorale ha assegnato un bonus di 50
parlamentari al primo partito, Nea Dimokratia, tradendo così,
nuovamente, le speranze di un popolo martoriato. Senza contare
l’astensionismo, superiore al 30% dei possibili votanti, disillusi dal
potere che il voto “democratico” può assegnare loro, il popolo greco ha
così espresso il suo sdegno. L’Europa e le sue democrazie, dunque,
ancora una volta e più di prima, vengono rimesse in causa dai loro
popoli.
Il caso francese:
Un
mese esatto dopo le elezioni presidenziali francesi, si concludono
anche quelle legislative. Stessi risultati, stesse sorprese, ma
rimangono tanti dubbi sulla legittimità della nuova Assemblea Nazionale.
Perché come vuole la ripartizione dei seggi su base maggioritaria, per
l’ennesima volta in quarant’anni di Quinta Repubblica, saranno la
sinistra – il partito socialista – e la destra – l’Unione per un
Movimento Popolare – a spartirsi i 577 seggi in palio al Palais Bourbon.
Con qualche differenza però, poiché rispetto agli altri anni, di voci
fuori dal coro ce ne sarà più di una. La notizia principalmente
sbandierata dai media omologati è che stando ai dati ufficiali
pubblicati ieri dal ministero dell’Interno per la Francia metropolitana e
territori d’Oltremare, dopo 17 anni di governatorato di centro-destra,
François Hollande, eletto con il 52 per cento dei consensi alle
presidenziali contro Nicolas Sarkozy, si è imposto erede indiscusso del
mitterandismo portando il Partito Socialista e i suoi alleati (il Front
de Gauche, i Verdi e indipendenti) al Parlamento con una maggioranza
assoluta, vale a dire 343 seggi. Mentre il raggruppamento di destra –
composto dall’Unione per un Movimento Popolare e i partiti satelliti di
centro – si è affermato seconda forza del Paese, conquistando 229
poltrone.
La
contro-notizia è che nonostante l’ostracismo – mediatico e
istituzionale -, gli uomini e i partiti fuori dallo status quo politico
che vige in Francia – da quando Charles De Gaulle lasciò il potere -,
sono riusciti, per la prima volta, a raccogliere almeno le briciole di
un sistema maggioritario che ha lasciato fuori dall’Assemblea Nazionale
milioni di francesi. Un
sistema maggioritario lontano dall’equità e dalla rappresentatività
reale, perché oltre al fatto di far incrementare il numero di astenuti
(durante queste elezioni legislative è stato pari al 43,7 per cento!),
imponendo all’elettore di scegliere tra i due grandi partiti del Paese
(“tra la peste e il colera”), non ha permesso al Fronte Nazionale di
Marine Le Pen – il quale aveva ottenuto il 18 per cento dei consensi un
mese fa alle presidenziali – e ad altri partiti minori di avere una
rappresentanza parlamentate proporzionale al numero di elettori.
Nonostante
alle presidenziali un francese su cinque abbia votato Front National,
le elezioni di ieri hanno sancito il ritorno del partito al Parlamento,
ma con soli 3 deputati (per 6,5 milioni di frontisti!). La leader del Fn
è stata sconfitta nella circoscrizione di Hénin-Beaumont con il 49,89
per cento dei voti – risultato per il quale è già stato presentato un
ricorso perché la Le Pen sarebbe stata distaccata dalla socialista di
soli 116 voti -, mentre la nipote di Jean-Marie Le Pen, la 22enne Marion
Maréchal-Le Pen (figlia della sorella di Marine e da oggi la più
giovane paramentare di tutti i tempi in Francia) è stata eletta e come
lei anche l’ex socialista Gilbert Collard e il presidente della Ligue du
Sud, Jacques Bompard. Queste voci sono in estrema minoranza, tuttavia
potrebbero proporre una riforma elettorale che instauri un sistema
proporzionale invece dell’attuale maggioritario. Una legge che,
finalmente, ridia al popolo il mezzo più forte per esercitare il potere:
il voto. Ma il bilancio di queste elezioni rimane catastrofico, perché a
perdere è la democrazia stessa: ci sono troppi astenuti come ci sono
troppi elettori tenuti fuori dalle mura del Palais Bourbon, in un Paese,
la Francia, che i benpensanti amano chiamare “la terre de la liberté,
de l’égalité et de la fraternité”.
Fonte: L’Intellettuale Dissidente
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