lunedì 3 gennaio 2022

Mathieu. La musica, i viaggi, il giornalismo a Repubblica e una risata piena che non sentiremo più

 

Dal 13 luglio 2017, giorno dell'ictus mentre era in motorino a Ostia, non aveva mai ripreso conoscenza. Oggi è morto al presidio San Giacomo, nella sua Torino, a 57 anni

Sono quattro anni e mezzo che aspettiamo di ascoltare ancora una volta quella sua risata. La grassa, gioiosa, vitale, inconfondibile, piena, pienissima risata di Marco Mathieu. Invece non la sentiremo più. Il miracolo non è accaduto. Marco è morto stamattina al Presidio San Giacomo di Torino, la sua città. Aveva 57 anni. Lascia i genitori Paola e Bruno, la sorella Patrizia e una marea di amici, fuori e dentro la redazione di Repubblica, che gli volevano bene.

Dal 13 luglio del 2017, il giorno in cui ha avuto un ictus mentre era in motorino ad Ostia, non aveva mai ripreso conoscenza. Per tutto questo tempo era rimasto immobile su un letto di ospedale, lui che immobile non era stato mai.

Se fosse qui adesso ci direbbe di tagliare corto con la retorica e andare dritti al punto, "perché la gente vuole sapere qual è la storia vera". Eccola, dunque, la storia vera. Marco Mathieu ha vissuto decine di vite, tutte magnifiche. È stato il bassista dei "Negazione", hardcore band torinese attiva tra il 1982 e i primi anni Novanta (sei album, più di mille concerti), ed è stato scrittore, giornalista, viaggiatore, sceneggiatore, documentarista, amante dell'esistenza, entusiasta, buddista, e - ci piace ricordare - arcigno difensore centrale nel calciotto del mercoledì a cui non mancava mai. Ti menava, ma poi ti chiedeva scusa e ci aggiungeva la famosa risata, come facevi ad arrabbiarti.

Un giorno, nei primi anni Novanta, posò il basso nella custodia e non lo riprese più. "Ho imparato a suonarlo mettendo i foglietti sulle corde per ricordarmi le note, mica ho studiato musica!", raccontava divertito a chi gli chiedeva perché. "Quando ho deciso di smettere, l'ho fatto senza rimpianti". Trasferitosi a Milano, ha lavorato a Gq Italia per cui ha fatto l'inviato speciale poi è passato nelle redazioni di D, Diario, Tuttomusica. Nel 2011 è approdato nella redazione romana di Repubblica con la qualifica di vice-caporedattore.

Il suo arrivo in Cronaca Nazionale era avvolto da un'aura di mistero, la metà dei colleghi aveva ascoltato i suoi dischi e nei video di Youtube lo vedeva ancora saltare come un ossesso sul palco dei "Negazione" martellando le corde del suo basso. Chi è, cosa farà, che idee ha, ci chiedevamo. Marco ci ha messo cinque secondi a integrarsi col gruppo. È entrato, si è presentato e ha sorriso. Era fatta.

Negli anni a Repubblica ha lavorato alla Cronaca Nazionale, agli Esteri e allo Sport. Durante un periodo di aspettativa, si è fatto inviare a San Paolo per collaborare con la Folha de S.Paulo, il quotidiano brasiliano. Ne parlava come di un'esperienza formidabile. Trovare il lato bello di ogni cosa e mostrartelo era una delle sue caratteristiche. Cercava la vita ovunque, in un certo senso. I giorni in cui era di cattivo umore si contano sulle dita di una mano.

Al giornale, come in campo, sapeva essere spigoloso e sbrigativo, poi però dopo la chiusura, a bocce ferme e pagine fatte, era lui a cercarti per spiegare e riconciliare, nel tempo di una sigaretta fumata insieme.

Alcuni dei suoi viaggi in giro per il mondo sono stati lo spunto per scrivere libri ("A che ora è la fine del mondo?", "In viaggio con Manu Chao"), altri sono diventati documentari ("Prigionieri", per RepubblicaTv) o docufilm. Ne ha fatto uno splendido sul calciatore brasiliano Socrates, con la regia di Mimmo Calopresti. Amava il calcio e amava il Torino (quattro anni e mezzo di amarezze, Marco, non ti sei perso un granché...).

L'incidente lo ha portato via. Non era morto, però era come se lo fosse. C'era, ma non c'era. Questo innaturale stato di sospensione ha reso tutto più incomprensibile e tormentato per noi, i sentimenti non riuscivano a trovare una collocazione. Mamma Paola non lo ha mollato un attimo e solo il Covid ha spezzato un doloroso rito quotidiano. "Per tre anni, tutti i giorni, con la neve, la nebbia, il freddo gelido o il caldo asfissiante, sono andata a salutare e chiacchierare con il mio Marco nell'ospedale dov'è ricoverato e dove 'dorme' perché in coma vegetativo - ha raccontato a questo giornale a fine marzo 2020 - lo accarezzavo, gli leggevo due giornali, la sua Repubblica e la Gazzetta dello sport. Da tre settimane non posso farlo più a causa di questo terribile virus, non posso accarezzarlo e non posso più parlargli. È rimasto solo, ed anch'io, chiusa in casa con il pensiero sempre rivolto a lui". L'abbiamo assillata per tutto questo tempo con la solita domanda, a cui lei gentilmente ha dato la solita risposta: "Marco è stazionario, dorme ancora".

Ora non dormi più. L'aquilone si è staccato ed è volato via. C'è chi dice che sei finalmente libero, ma siamo tristi lo stesso. La tua risata ci mancherà. Ci mancherà tutto di te amico sincero, giornalista competente, esploratore della vita. "Lo spirito continua", recita una delle tue canzoni. Ma quant'è difficile oggi, caro Marco.

https://www.repubblica.it/cronaca/2021/12/24/news/morto_marco_mathieu-331522779/

Costanzo71

  

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