martedì 2 ottobre 2012

I crocefissi dei ladroni lombardi



Il pio vacanziere
Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una Regione poco incline alla rendicontazione e all’esibizione di ricevute e che vanta una tradizione in materia di gaudente dissipazione, ci fa sapere, con tanto di ricevute, di aver effettuato una spesa oculata e sobria, per adempiere a una legge e ad un obbligo morale, fronte anche questo che suona inusuale per via dei molti e accertati vizi pubblici, contrastanti con le molte ostentazioni di virtù private, ed anche per un certo istinto alla disinvolta elusione delle regole, oltre che del buon gusto.
Invece sono costati solo 272 euro su un budget di 2.500 euro i crocifissi acquistati dal Consiglio regionale lombardo. Per ora nelle stanze del Pirellone ne sono stati appesi otto: uno nell’Aula in cui si riunisce proprio il Consiglio regionale, 4 nelle sale delle Commissioni, uno in quella in cui si riunisce l’Ufficio di presidenza e due, i più immediatamente riconoscibili, agli ingressi principali del palazzo: su via Fabio Filzi, da dove entrano dipendenti e pubblico, e su piazza Duca D’Aosta, ingresso di rappresentanza.
La trasformazione delle aule dell’amministrazione regionale in sepolcri imbiancati, forse preferendo il giudizio divino a quello della giustizia degli uomini, si deve ad una legge approvata a novembre da Lega e Pdl.
Sarà che la recessione economica provoca anche una regressione delle libertà, ma già mi immagino che questo gesto, poco simbolico e molto provocatorio, susciterà trascurabile sdegno e significativo “benaltrismo”, per ricorrere a un neologismo in voga: c’è ben altro cui pensare di questi tempi, siamo alla fame, siamo sul baratro, siamo oltraggiato ogni giorno dalla cattiva politica e tu ti vai a occupare di un simbolo religioso appeso in un ente pubblico.
È che anche questo schiaffo alla laicità necessaria alla democrazia, è compiutamente coerente con l’imposizione autoritaria di quella “cattiva politica” e della sua ideologia, che attribuisce priorità alle convinzioni del più forte, siano dettate dall’appartenenza religiosa o dall’abbraccio infame di pregiudizi razzisti e xenofobi, che “privatizza” il pensiero comune, confermando l’egemonia unica e indiscutibile di una confessione o di una opinione sulle altre e che vuole limitare ogni libertà e ogni diritto che possa affrancare dalla desiderabile condizione di servitù che ci vogliono imporre.
E dire che per una volta non è l’Europa che ce lo chiede, quella Europa che si è espressa senza lasciare dubbi a proposito della esposizione del crocifisso nelle scuole. La fondamentale decisione della Corte europea dei diritti dell´uomo di Strasburgo, ha ritenuto quella esposizione in contrasto con quanto disposto dalla Convenzione europea dei diritti dell´uomo. La sentenza aveva sottolineato come la scuola sia un luogo dove convivono presenze diverse, caratterizzate da molteplici credenze religiose o dal non professare alcuna religione. E raccomandava di evitare che la presenza di un “segno esteriore forte” della religione cattolica, quale certamente è il crocifisso, “potesse essere perturbante dal punto di vista emozionale per gli studenti di altre religioni o che non ne professano alcuna”. Dando così una opportuna scossa ai letargici devoti, onorevoli Peppone intenti a compiacere esuberanti don Camillo più che riflessivi Don Milani, convinto invece che il crocifisso in classe e negli uffici, appeso di fianco al Presidente, fosse qualcosa da “eliminare …cattolicissimamente”. Laicamente schierato e responsabile dunque, a differenza dell’attuale Presidente che, a sostegno della burbanzosa richiesta di Giovanni Paolo II ebbe a dire: “il crocifisso non rappresenta una confessione religiosa, identifica piuttosto una tradizione nazionale come la nostra che è cristiana”. Insistendo che la sua era una posizione laica: “va esposto come simbolo della nazione, accanto al ritratto del presidente della Repubblica, simbolo dello Stato”.
Che disastro tutti questi strenui difensori dei simboli poco combattivi nella difesa dei principi, dei capisaldi e degli istituti: Stato, Costituzione, diritti. La sentenza di allora venne condannata come un gesto suscettibile di aprire un insanabile conflitto, “sintomo di una dittatura del relativismo”, “un colpo mortale all´Europa dei valori e dei diritti”. Si parlò allora di una “corte europea ideologizzata”, trasferendo in Europa lo stereotipo devastante dei giudici “rossi”.
C’è da temere che gli anni siano passati invano: è probabile che la provocazione lombarda venga accolta con generale indifferenza, con l’accidioso disinteresse che si riserva a quella che si vorrebbe retrocedere a battaglia di retroguardia.
Come se la laicità fosse un optional, concesso solo in tempi di vacche grasse, da delegare a qualche folcloristico e antistorico anticlericale. Mentre dovrebbe essere la irrinunciabile premessa per una società più ricca, in cui si rafforzano le condizioni della convivenza tra diversi, dove acquista pienezza quel diritto alla responsabilità e al libero arbitrio che i cattolici rivendicano, ma che deve valere per tutti. E che dovrebbe essere vista soprattutto dalla comunità cattolica come un affrancamento da argomentazioni strumentali che, pur di salvare quella presenza sui muri, riducono il simbolo drammatico della morte di Cristo a una icona culturale, quando non ad una mediocre concessione compromissoria a chi usa a scopo elettoralistici le radici cristiane.
Il nostro è proprio uno di quei passaggi d’epoca in cui le identità sfidate tendono a reagire chiudendosi in se stesse, divenendo più aggressive: locale contro globale, tradizione contro cambiamento, radici contro trasformazione, unicità contro diversità. E il nostro mondo è percorso da conflitti identitari, da sanguinose rivendicazioni di radici, dalla contrapposizione, artatamente alimentata, tra generazioni, affini, creando inimicizie e rancore, dando l’illusione che più alte sono le mura maggiore è la protezione.
La discussione sulle radici cristiane dell’Europa andrebbe riportata nei limiti ragionevoli e indeterminati della metafora botanica e i fan della globalizzazione ricondotti a una visione più “moderna” proprio come si addice loro: quella – peraltro evangelica – di una umanità unica, della quale fanno parte religione e irreligione, nella quale la sfida è quella di un’etica universale, fondata su pilastri riconoscibili, solidarietà, uguaglianza, libertà, e di una spiritualità che sappia esprimersi senza religioni, senza chiese, senza simboli obbligatori.

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