Sono l'ex-moglie del noto calciatore Totò
Schillaci. Nell'anno '92, durante i miei problemi coniugali con mio marito,
conobbi una donna che sembrava essere un'amica; si comportava come una sorella
e costituì un vero conforto per me, dopo la separazione da mio marito.
Tuttavia, non potevo sapere che, alle mie spalle,
questa signora stava tramando ed organizzando un qualcosa, senza alcun
limite d'immaginazione, per la quale avrei subito delle conseguenze
giudiziarie, inenarrabili ed inaudite, per le quali sono ancora coinvolta da
più di 20 anni!!!
Si occupava di gioielli, mi portava sempre con lei
dicendomi che con la mia immagine avrei attirato la clientela nell'ambito
calcistico.
In occasione di una fiera, andai con
lei a scegliere della merce; dovevo solo accompagnarla, senza influire in
alcun modo, ma, comunque, dandole un po' di notorietà e pubblicità perché ero
una persona famosa e quindi riconoscibile da tutti. Quel giorno, però, a
mia insaputa, mi presentò ai gioiellieri titolari di Ditte come sua socia, ma
io non me ne ero resa conto, sia perché non l'avevo sentita mentre lo
dichiarava e sia perché all'età di 24 anni, priva di esperienze, non potevo
pensare alle conseguenze giuridiche gravissime che un giorno, vi sarebbero state
nei miei confronti per essere sembrata una socia della mia amica gioielliera.
Quello fu solo un particolare che poi diventò
un cavillo legale da cui poi nacquero tutti i miei problemi giuridici e
processuali.
Nonostante, la mia amica avesse già ordinato
prima della fiera tutta la merce, che avrebbe dovuto arredare ed
inaugurare l'apertura della sua nuova gioielleria in Torino, quel giorno mi
portò alla fiera col preciso intento di presentarmi agli altri come sua socia e
quindi diventare oggetto di alcuni articoli di riviste scandalistiche
di cronaca rosa.
La mia ex amica, appoggiandosi letteralmente
alla mia immagine, senza che io me ne rendessi conto, alla fiera
esternò un rapporto societario totalmente inesistente e sfornito di
qualsiasi prova, alla cui base vi era un ordine di
merce effettuato prima della mia partecipazione alla fiera. Inoltre, tale
ordine fu accettato da tutte le ditte, in stretto rapporto
lavorativo con lei, che le fornirono tutta la merce, comprendente gioielli ed
arredi ma senza alcuna garanzia di pagamento.
Io non ho mai partecipato ai suoi affari in
alcun modo, sono sempre stata estranea e
non ho mai firmato niente. Non c'è mai stata alcuna attestazione
del mio fittizio ed apparente rapporto societario, che mi è stato poi, successivamente
imputato.
Non trascorse molto tempo, dall'apertura del
negozio, che avvenne nello stesso un furto in cui scomparve misteriosamente tutta
la merce precedentemente ordinata e mai pagata.
Nell'anno '96 sono stata dichiarata
fallita quale socia apparente, della mia ex amica, dichiarata lei stessa fallita,
unitamente alla sua società. Nell'anno 2000, la dichiarazione di fallimento
nei miei confronti venne revocata grazie alla causa d’opposizione instaurata
dai miei avvocati. Fu proprio nel medesimo anno (2000) che una delle ditte
presenti, in quella fiera avvenuta anni fa, cercò di rivalersi su di me
per farmi pagare i famosi gioielli ordinati da quella mia amica e mai pagati,
iniziando così con un nuovo iter giudiziario pazzesco nei miei confronti con
varie cause qui a Palermo, di primo e secondo grado nonché d’esecuzione forzata
ed in Cassazione: alcune delle quali tutt'ora ancora in corso ed a
causa delle quali ho subito un forte
dispendio di denaro per pagare gli avvocati, energie e sofferenze per
cercare di difendermi dall’ingiustizia perpetrata nei miei confronti.
La Ditta di gioielli a cui ho fatto riferimento, mi
ha chiesto il pagamento dei danni provocati dal comportamento illecito della
mia amica in cui anch'io sono stata coinvolta in qualità di socia apparente, nonché vittima
della predetta.
Oggi mi ritrovo alle spalle con una
sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo ed un’altra della Corte
D'Appello che mi hanno condannato a pagare oltre € 300.000,00.
In entrambi i processi non sono stati ascoltati i
miei testimoni che comprendevano gli esponenti delle altre ditte che erano consapevoli
del fatto che io non ero mai stata socia della signora in questione. La
ditta ha, invece, avuto la meglio presentando come testimoni dipendenti o suoi
collaboratori che non potevano far altro che avvallare la tesi del datore di
lavoro.
Mi rivolgo a Voi per ottenere una specie
di rivalsa morale, dopo tutti i danni che ho subito, morali,
economici e finanziari, e che tutt'ora sto pagando rischiando l’unico bene in
mio possesso e cioè la casa nella quale abito con i mei figli, tra
l'altro l'unica che il mio ex-marito mi ha lasciato e nella quale
abito da quando ci siamo separati. Per tutto ciò è tutt'ora in atto un
procedimento in Cassazione, nel quale i miei avvocati credono pienamente, oltre
ad una causa di espropriazione immobiliare.
Parallelamente, infatti, il Tribunale di
Palermo, su istanza della ditta di gioielli, nei confronti della quale
sarei debitrice per un importo di oltre euro 300.000,00, sta
procedendo nell'espropriazione coatta del mio immobile che presto verrà
venduto all'asta e, sicuramente, ad un prezzo molto inferiore di quello che è
il vero valore di mercato.
Io ed i miei figli chiediamo giustizia, una reale
giustizia, ma attraverso i lunghi tempi della Cassazione rischio che, una volta
assolta dalle domande di pagamento della controparte, non avrò più la
possibilità di riavere da quest’ultima né il denaro pagato né
l'immobile che verrà svenduto se non pagherò prima e che non riuscirò
più a ricomprare.
Pertanto vorrei che la Corte di Cassazione
anticipasse i tempi del procedimento instaurato per i gravi errori di giudizio
commessi dalla Corte d'Appello e dal Tribunale di Palermo che mi hanno
condannato non solo su di una scorretta interpretazione e violazione delle
norme giuridiche ma anche sulla base delle prove orali dei testi indicati dalla
mia creditrice e per la quale lavoravano.
Preciso anche che, per tentare di essere cautelata,
dai lunghi tempi della Corte di Cassazione, sono state già presentate delle istanza, che però sono state respinte
alla Corte d'Appello di Palermo per sospendere l'esecuzione della sentenza
d'Appello che mi condanna al pagamento dell'ingente somma che potrebbe
essere revocata dalla successiva sentenza di Cassazione.
Inoltre, la Corte d'Appello non ha fornito una
spiegazione logico-giuridica della reiezione dell’ inibitoria, visto che
risulta evidente che, una volta pagato il mio presunto debito o con la vendita
della casa o con altro denaro, io non potrò più recuperarlo in quanto la ditta
di gioielli creditrice risulta, da ricerche che ho effettuato, di non avere
alcunché ma anzi praticamente di non esistere più poiché acquistata da un’altra
società, e il titolare è deceduto l’anno scorso e i figli hanno rinunciato
all’eredità del padre.
La mia richiesta è non solo per sensibilizzare ed
ottenere un'abbreviazione dei tempi processuali della Corte di Cassazione e
quindi non perdere per sempre la mia abitazione che riveste un notevole valore
affettivo per me e per i miei figli, ma anche per evitare che altre persone,
per aiutare un' amica come ingenuamente ho fatto io all'età di 24 anni, si
trovino immischiati e senza saperlo e senza aver mai firmato atti societari in
una situazione di mera apparenza che può avere conseguenze dannosissime, come il
fallimento e le richieste (interminabili) di pagare debiti mai contratti!!! La
mia notorietà infatti, dovuta al cognome di mio marito è stata usata, nonché
sfruttata, dai creditori della mia ex amica, come valido capro espiatorio
dal quale ottenere il pagamento delle forniture di gioielli effettuate.
RISVOLTRI NUOVI: Il rappresentante della ditta
(creditrice) è deceduto il 27 Dicembre2009, la cui società risulta inesistente,
chiusa dal 2004. Queste non sono supposizioni ma i documenti che abbiamo in
mano parlano!!!!!
Rita Bonaccorso
Rita Bonaccorso
Nessun commento:
Posta un commento