mercoledì 30 ottobre 2013

Guai in vista per le lobby del copyright

Il concetto di copyright, inteso letteralmente come diritto di copia, è morto nel momento in cui il digitale ha svuotato di senso quello di copia. Nello stesso tempo sono morti i tradizionali ruoli di intermediari dell’industria culturale (editori, distributori, rivenditori), e quelli web  che oggi li sostiuiscono non sono soggetti alle tradizionali limitazioni di spazio e tempo (e giurisdizione). Per questo, dopo dieci anni di attività nel campo delle licenze libere, i movimenti per il Creative Commons sentono ormai matura l’esigenza di compiere un passo ulteriore per promuovere una profonda riforma del diritto d’autore.

di Simone Aliprandi
Dopo dieci anni di fiorente attività nel campo delle licenze libere, Creative Commons (CC) si sente ormai matura per compiere un passo ulteriore e si muoverà in prima linea per promuovere la riforma del diritto d’autore.
Nonostante la propria attività di promozione di nuovi modelli di gestione del diritto d’autore (con il rilascio e la promozione del loro set di licenze), CC non ha finora preso posizione in merito al superamento della vigente legislazione in materia. Infatti le licenze CC sono pensate proprio per funzionare sulla base dei principi classici del diritto d’autore e si pongono come una sorta di riforma dal basso del modo con cui i diritti d’autore vengono implementati dai loro titolari; tuttavia non incidono (e mai potrebbero farlo) sul layoutlegislativo. Possiamo dire che la legislazione sul diritto d’autore è il terreno su cui le licenze CC si appoggiano e ora anche CC ha pubblicamente dichiarato di volersi adoperare per modificare il terreno stesso. In una frase: l’open licensing è una cosa buona, ma qui serve un passo più incisivo.
Questo il nocciolo del comunicato diffuso nei giorni scorsi:
Anche se ben fatto, un modello di licensing non può mai pienamente avere gli stessi effetti di un cambiamento della legge; ne consegue che la riforma del diritto rimane un argomento pressante. Un più ampio diritto di utilizzare il patrimonio di cultura e conoscenza umana gioverebbe sicuramente al bene pubblico. Le licenze CC non possono essere un sostituto dei diritti degli utenti e Creative Commons deve supportare iniziative di riforma del diritto d’autore che rafforzino i diritti degli utenti ed espandano il pubblico dominio.
Da questo momento in poi l’azione di CC non andrà dunque più solo nella direzione di promuovere l’open licensing, ma anche in quella di farsi portavoce di una generalizzata esigenza di rivisitazione delle norme sul diritto d’autore. Anche perché in effetti – come si legge nel comunicato stesso – le licenze CC sono una toppa e non una soluzione per i problemi del diritto d’autore.
D’altronde, ciò che tutti hanno ormai capito – e si spera a breve capiscano anche i legislatori – è che il concetto di copyright, inteso letteralmente come diritto di copia, è morto nel momento in cui il digitale ha reso obsoleto il concetto di copia. Assieme ad esso sono morti i tradizionali ruoli di intermediari dell’industria culturale (editori, distributori, rivenditori), appiattiti e disciolti in un unico grande intermediario che si chiama Internet Service Provider e non è soggetto alle naturali limitazioni di spazio e tempo (e giurisdizione) cui è soggetta la commercializzazione e distribuzione di opere dell’ingegno su supporti materiali.
Ma se vengono meno questi elementi fondanti del copyright in senso stretto e del mercato delle opere dell’ingegno come lo abbiamo conosciuto finora, non viene meno lo slancio creativo degli esseri umani, i quali trovano nelle tecnologie digitali e telematiche sempre nuove forme di espressione. Bisogna quindi trovare nuovi criteri di tutela, che meglio si adattino a queste istanze innovative e realizzino un maggiore equilibrio tra gli interessi di tutela dei creatori e gli interessi di accesso alla conoscenza degli utenti. È in questa direzione che deve muoversi la ricerca di uncopyright 2.0 (come viene argutamente chiamato in un fondamentale saggio di Marco Ricolfi).
“Piccolo” problema: i principî che si dovranno toccare, se si vorrà realmente superare il vecchio modello di copyright, sono cristallizzati in convenzioni internazionali che sono frutto di quasi un secolo e mezzo di storia (si pensi che la prima versione della Convenzione di Berna è datata 1886). A ciò aggiungiamo le mostruose resistenze a livello di lobby da parte di chi sul vecchio modello dicopyright ci ha campato per decenni e tutt’ora continua (industria del software, cinematografica, dei videogiochi…) e capiamo quanto sarà dura.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

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