di Ilaria Venturi
Filantropo e industriale farmaceutico, la Fondazione che porta il suo nome collabora con il progetto Digitali e Uguali: “Serve dare fiducia ai più giovani: credete nelle passioni e nel vostro talento”
«Un’uguaglianza che non sia globale oggi non sarebbe né eticamente né idealmente accettabile». Marino Golinelli, filantropo e industriale farmaceutico, compirà 101 anni il prossimo 11 ottobre. La conoscenza, il suo pallino. E sguardo lungo, quel pensiero al futuro che ha portato la Fondazione che porta il suo nome a collaborare con il progetto “Digitali e Uguali”, promosso da Yoox e da Gedi Gruppo editoriale.
Golinelli, perché crede in questa iniziativa?
«Fondazione Golinelli è da sempre impegnata nel dare sostegno formativo e educativo alle giovani generazioni, con grande attenzione al miglioramento delle loro capacità di usare le tecnologie digitali. È un impegno che ci prendiamo con continuità, anche avviando collaborazioni, tra le quale una delle più consolidate e interessanti è quella con Yoox. Condivido la visione etica dell’imprenditorialità del fondatore, Federico Marchetti, e ne apprezzo la capacità di guardare sempre al futuro. I contenuti e gli obiettivi di un progetto sono sempre fondamentali, ma in un’epoca come questa altrettanto importanti sono gli strumenti che si usano. Il tema su cui “Digitali e Uguali” vuole fare attività di sensibilizzazione è annoso: dare a tutti e tutte gli strumenti per essere eguali nella conoscenza. Ora va reso attuale concependo l’uguaglianza sociale in modo globale, cioè prescindendo da qualunque confine nazionale, politico, geografico. Tutti dobbiamo sentirci coinvolti, a vari livelli e ciascuno secondo le proprie possibilità. Io stesso, testimone diretto del valore del progetto, ho partecipato, insieme a mia moglie Paola e ai miei nipoti Marina e Stefano, con un doveroso contributo personale».
Cosa significa contribuire alle pari opportunità: in gioco c'è solo l'accesso alla conoscenza o qualcosa di più?
«L'era onlife, come dice Luciano Floridi, ha moltiplicato le possibilità: se vissuta con consapevolezza, è una grande opportunità per muoversi verso una maggiore inclusione e superare anche altre barriere, come il divario di genere. YNAP e Fondazione Golinelli sono da tempo impegnati nell’educazione al digitale, con particolare attenzione al tentativo di avvicinare le bambine e le ragazze alle tecnologie digitali, alla produzione di software e, più in generale, alle materie Steam (scienza, tecnologia, ingegneria, arte, matematica), oggi di dominio soprattutto maschile. Un altro progetto di inclusione è l’iniziativa di Alfasigma per coinvolgere i giovani millennials che vi lavorano nelle strategie d’impresa. Credo infatti sia essenziale integrare nelle politiche aziendali il punto di vista dei più giovani».
Prima ancora viene la formazione: che scuola dovrà ripartire dopo la pandemia?
«La scuola che verrà dopo il Covid-19 dovrà essere capace di ripensarsi e aggiornarsi, per dare ai giovani la capacità di credere nel futuro, un futuro che saranno loro stessi a potere e dover plasmare, in quanto esseri umani capaci di creatività. Non a caso il payoff di Fondazione Golinelli è “L’intelligenza di esserci”, che vuol dire proprio questo: avere la gioia e il desiderio di essere sempre dentro agli eventi».
Lei da ragazzo ha superato la Tbc, ora il mondo è in piena pandemia Covid: come si affronta la paura del contagio, la malattia nella propria vita?
«Sicuramente serve una buona dose di fortuna. Io sono stato fortunato e da ragazzo ho superato quella brutta esperienza positivamente. Credo che in queste situazioni sia di aiuto tenere sempre lo sguardo aperto verso il futuro e aver fiducia negli esseri umani e nelle loro capacità. Le difficoltà e i momenti bui non devono impedirci di mantenere una visione etica del nostro agire, né d’altra parte la paura deve ostacolare la possibilità di reagire in modo costruttivo o frenare il coraggio che ci viene dalla conoscenza».
Pensa che questa pandemia, e la sua gestione, abbia messo in crisi la fiducia nella scienza?
«Più che nella scienza, nella politica. Come spesso ribadisco, credo che il vero problema delle istituzioni pubbliche sia la mancanza di prospettiva a lungo termine e il deficit di attenzione verso quella responsabilità operativa che permette di intervenire concretamente nelle nostre vite. Se non siamo equipaggiati per le sfide imprevedibili cui la vita ci sottopone, il rischio è navigare sempre a vista, senza dare una risposta adeguata in termini gestionali, sanitari e anche culturali, che diversamente consentirebbero di mitigare la paura di fondo. La pandemia ha reso ancora più evidente un problema che affligge l’Italia da moltissimi anni».
Sui vaccini anti-Covid si pone il nodo di una loro equa distribuzione nel mondo. Cosa ne pensa?
«Per identificare e produrre le “armi” che ci permetteranno di sconfiggere la pandemia, credo che l’unica via percorribile sia una visione aperta e globale della loro distribuzione. Bisognerebbe ragionare in termini di profitto etico oltre che economico, inducendo le aziende a potenziare le proprie responsabilità e i propri valori sociali. Il profitto economico è ovviamente indispensabile, ma deve essere combinato con una spinta etica molto forte».
Lei ha sempre immaginato il futuro: continua a farlo?
«Continuo a guardare e immaginare il futuro attraverso la Fondazione che porta il mio nome, il cui programma pluriennale di sviluppo raggiunge e supera il 2065. Lo faccio attraverso gli occhi dei tanti giovani che partecipano alle nostre attività e ai nostri progetti con entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Per dare ai ragazzi e alle ragazze una visione concreta del futuro, dobbiamo essere noi per primi ad avere la capacità di immaginarlo, di ipotizzarne precise direzioni di sviluppo e delinearne una programmazione tangibile. Non riesco nemmeno a concepire orizzonti temporali meno lungimiranti».
Eppure dopo un anno di pandemia non ancora sconfitta come è possibile guardare avanti?
«Il filosofo Nassim Nicholas Taleb sostiene che il futuro è un cigno nero: l’imprevedibile governa le nostre vite e il Covid-19 lo ha reso evidente, in pochissimo tempo, a tutto il mondo. Anche se può sembrare un paradosso, l’imprevedibile si può imparare a gestire solo se siamo ben equipaggiati, e questo equipaggiamento è fatto di consapevolezza di sé e del mondo, etica, responsabilità sociale, fiducia, conoscenza. Senza mai avere paura di commettere errori e senza mai dimenticare domande come “Perché viviamo?”, “Qual è il significato profondo della nostra esistenza?”».
Cosa direbbe ai ragazzi oggi: come si fa a pensare ciò che ancora non esiste, e crederci?
«Direi loro di mettersi subito alla ricerca dell’obiettivo fondamentale della loro vita, una passione alla quale dedicarsi scoprendo i propri talenti e attivando le proprie capacità. Dobbiamo essere noi adulti a permettere ai più giovani di sviluppare questa capacità immaginifica, aiutandoli a costruire una fiducia duratura in sé e nel futuro: la campagna “Digitali e Uguali” vuole essere anche un messaggio di credito nei loro confronti, per dare loro la possibilità di accedere alla conoscenza e di proseguire sulla strada di un mondo più equo».
Kissinger71
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