domenica 21 aprile 2013

Proviamo a ballare insieme quest’ultimo valzer




di Helena Janeczek
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Tanto volle sopravvivere che poi morì. Tanto vollero sopravvivere che poi morirono.
Lo dico con rabbia perché la cosa che più mi sento stamane è incazzata. Mi pare bene, però, potenzialmente. Mi pare bene che si sia rotta la coltre del Non-Ci-Sono-Alternative, di rassegnazione al meno peggio. Ieri sono successe due cose, in rapida e ineluttabile sequenza.
Grillo ha candidato Stefano Rodotà, dopo cazzate presumibilmente tattiche come la scelta della Gabanelli (la Gabanelli?). Ha fatto politica, ha fatto scacco matto. Molto probabile che fosse consapevolissimo che così otteneva l’obiettivo più facile da raggiungere: portare il Pd al suicidio. Ci è riuscito, complimenti. Con una sola mossa potrà guadagnare un sacco di voti e fare ciò che più gli piace negli anni a venire: l’opposizione eterna e sterile a Berlusconi, megafonato, oltre che da se stesso, dai suoi amici sempre molto costruttivi e per nulla interessati alla sopravvivenza personale nella politica-spettacolo: tipo Travaglio e Santoro. Questi pseudo-messianici nichilisti il mio consenso se lo possono scordare sine die anche per questo.
Ma ieri è successa (sarebbe successa?) anche una cosa bella. Il nome di Rodotà ha abbattuto il clima da devastante e demenziale guerra civile che si è preparato (ed è stato fomentato) dopo le elezioni.
C’è stato un riconoscersi di una schiacciante maggioranza che ha abbracciato dalle migliori firme che scrivono su Repubblica (Barbara Spinelli, Salvatore Settis p.e) al Manifesto e oltre. E soprattutto cittadini che – giustamente- se ne fregano che stavolta la cosa giusta l’abbiano fatta Grillo e il Movimento.
Oggi però hanno voglia di ripetere: visto! Ve l’avevamo detto! Pd e Pdl stessa cosa! Anzi Pd uguale all’altro meno elle!
Forse la seconda frase-slogan è più tristemente vera della prima. Il Pd ha dimostrato un servilismo nei confronti di Berlusconi senza limite. Il Pd purtroppo ha anche dimostrato che in termini di “Kasta” sta messo peggio del Pdl. Ha dimostrato che l’unica tradizione unificante delle sue correnti ex-Pci e ex-Dc è il dna della nomenclatura di partito, del burocratismo, dei papaveri e mandarini.
Se l’unico a essere emerso da questo sistema autoreferenziale di morti viventi è Matteo Renzi, temo che la ragione stia principalmente nel fatto che è sfuggito di controllo; perché è partito da una strada meno vigilata, quella dell’amministrazione locale. Poi, certo, con le sue idee politico-economiche è più facile trovare appoggi importanti che con quelle che si collocano più a sinistra.
Ieri mi si è anche sciolto un dubbio che mi portavo appresso sin dalle primarie alle quali non ho partecipato proprio per via di quel sentimento schizofrenico. Pensavo che solo Renzi potesse salvare il Pd dall’entropia; ma mi pareva insensato votare per un segretario che non avrei votato come candidato premier. Come molti, pensavo che Bersani mi fosse politicamente, persino “antropologicamente”, più vicino; però mi facevo troppo poche illusioni che potesse avere la forza di far svoltare il partito per sentirmela di dargli la preferenza.
Oggi penso di aver fatto male. Penso che avrei dovuto andare a votare Renzi. Penso che, in effetti, la questione del rinnovamento o della rottamazione, venisse prima di ogni altra; perché per il Pd la cosa che veniva prima era la sopravvivenza di sé stesso, un obiettivo del tutto pre- o antipolitico. La patetica (eufemismo) perorazione di Stefano Fassina per Marini di ieri sera lo dimostra a sufficienza.
Non sono addentro alle questioni del partito e non voglio esserlo. L’Unità diretta da Concita de Gregorio mi aveva affidato una piccola rubrica settimanale nelle pagine di politica che l’Unità diretta dal fedele Claudio Sardo poi mi ha tolto. Pensavo fosse il mio compito di cosiddetta intellettuale indipendente fare le pulci al Pd o come diceva Franco Fortini, l’ospite ingrato. Il primo pezzetto non pubblicato aveva il titolo di lavoro Pd-Pasok. Sembrerebbe andata anche peggio.
Non so se dico una cosa davvero sostenibile se affermo che mi pare di capire che persone come Mila Spicola, di Palermo, o Francesco Nicodemo da Napoli, persone che non conosco personalmente ma che mi sembrano intelligenti, colte, agite da passione politica trasparente, stanno con Renzi non tanto per totale appoggio alla linea politico-economica, ma perché il Pd in quelle latitudini fa particolarmente cacare (meridionalismo dovuto!). La stessa cosa vale anche per le regioni “rosse”, per l’erosione dei voti verso l’M5S da quelle parti. Perché il problema non è solo D’Alema e Enrico Letta, ma anche i tanti amministratori protetti e selezionati dall’apparato che non fanno altro che amministrare (sempre peggio) il loro potere o poterino e non ci pensano minimamente a mollare l’osso.
Dico ancora una cosa piuttosto a naso, ma non mi pare del tutto fortuito che le risorse umane migliori del Pd che io conosca si trovano a Nord, nelle regioni dove non ha avuto per un ventennio poco o pochissimo potere (quello che ha avuto, però, è simboleggiato dal nome di Penati). La punta emersa di quell’iceberg si chiama Pippo Civati. Lo seguo grosso modo da tre anni, lui sì lo voterei perché mi ritrovo quanto basta (e avanza) in quel che scrive, dice, propone politicamente. Però che fatica boia ha dovuto fare perché almeno quelli che si interessano di politica potessero scoprirne l’esistenza. Giusto adesso gli hanno consentito di uscire un attimo fuori dall’armadio perché serviva qualcuno che potesse far passare credibilmente il tentativo di colloquio con l’M5S. Non c’è forza politica che più del Pd si sia dimostrato un Saturno che strozza i propri figli.
Ma finché ci sono persone come lui e molte altre, a tutti i livelli, finché c’è soprattutto un noi di cittadini che non riesce a farsi piacere un movimento guidato (come abbiamo abbondantemente visto) in modo ultra-autoritario, dove il criterio di selezione per dare le cariche più importanti (leggi Crimi e Lombardi) pare quello della fedeltà del perfetto idiota, preferirei che non ci ammaccassimo, non ci avvilissimo, non ci rassegnassimo a far vuotare al Pd il calice del suo triste destino, con o senza un vaffanculo tornato comune patrimonio del popolo italiano.
Vorrei che ora, proprio adesso, in queste ore, cercassimo di riprendercelo perché sono altri che se ne sono appropriati contando sulla nostra mestissima pazienza infinita, sul nostro senso-di-responsabilità portato sino ai limiti del masochismo.
Le identità politiche fatte di contenuti, programmi, visioni dell’economia e della politica, le dovremo definire e costruire, certo. Ma dopo. Fare battaglie condivise anche con coloro con i quali già sappiamo che da domani avremo poco da spartire non è politica al ribasso. È politica e basta.
Oggi c’è bisogno di stare uniti, tirare fuori un po’ di voglia di lottare. Nel nome di un candidato alla Presidenza della Repubblica che batte in levare: come un valzer.

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