domenica 21 aprile 2013

Gli occhi della mente vedono l'infinito

ELENA LOEWENTHAL
Gli occhi della mente vedono l'infinito

TUTTA LA MISTICA EBRAICA, OVVERO LA QABBALAH, PUÒ LEGGERSI COME UN'ARTE "INTERIORE"
In ebraico esistono due paia d'occhi: la prima è detta "del corpo" e designa quei luminari in miniatura attraverso i quali passano apparenze di forme e colori. Ma ci sono anche "gli occhi della mente", situati un poco più in basso del cervello, a mezza strada fra il cuore e la testa, non lontano dal punto in cui s'incontra il respiro. Questi occhi non sono un'immagine bizzarra, per quanto poetica, bensì i testimoni di un senso che non fa parte dei soliti cinque ma tutti li racchiude: essi si esercitano con l'intuito e la sensibilità, la memoria e l'intelletto. E a tentare una storia dell'estetica ebraica, bisogna fare i conti soprattutto con questi occhi interiori.
Come si sa, infatti, da quel giorno in cui Dio disse "Non ti fare scultura né immagine alcuna delle cose che sono in cielo in alto o sulla terra in basso o nelle acque sotto la terra" (è il terzo comandamento, a Esodo 20, 4), la civiltà d'Israele ha dovuto accantonare le arti figurative: nelle sinagoghe quasi mai si trovano immagini di uomini e animali, per non parlare dì Dio. La parte dell'occhio è limitata a qualche decorazione, a una discreta armonia di linee e curve.
Ma guardando con gli occhi della mente, le cose cambiano: ciò che non è dato di fare alle immagini lo compiono il simbolo, l'associazione di parole che evoca le immagini senza presentarle direttamente allo sguardo. Tutta la mistica ebraica, cioè quell'immenso corpus di testi e dottrina che passa sotto il nome di Qabbalah, può leggersi come un'arte "interiore" che senza passare per i sensi giunge direttamente al nostro secondo paio d'occhi. Nadine Shenkar dedica il suo libro "L'arte ebraica e la Cabala" (Spirali editore - spirali. vel@interbusiness.it - Milano, pp. 143, L. 30.000) a quei simboli che nella tradizione mistica riflettono colori e significati all'infinito, dallo shofar (il corno di montone) ai paramenti sacerdotali, dal candelabro alle sfaccettature dell'anima.
Gli occhi della mente danzano in preghiera nel mondo chassidico erede della tradizione mistica: ce ne parla Louis Jacobs in "La preghiera chassidica" (Gribaudi editore, Milano - info@gribaudi.it - pp. 238, L. 29.000). Ma per chi voglia saperne di più su questa grande corrente del pensiero ebraico, è disponibile oggi un'agile introduzione che non manca certo di competenza. Adin Steinsaltz è un illustre maestro contemporaneo, impareggiabile conoscitore di Talmud e di Qabbalah. Di lui esce presso La Giuntina (Firenze, pp. 146, L. 20.000) "La rosa dai tredici petali". Un incontro con la mistica ebraica: un classico in questo genere di divulgazione. .
Del resto, non è detto che in ogni talmudista s'annidi un contemplativo. Tale non era certo Maimonide, il grande filosofo e codificatore ebreo nato a Cordoba nel 1138 e morto in Egitto nel 1204, dopo aver fatto per tanti anni il medico del Saladino. Razionalista puro, il nostro filosofo vedeva con il fumo negli occhi le ardite associazioni simboliche della Qabbalah. A lui Moshe Idel ha dedicato un breve saggio ("Maimonide e la mistica ebraica", Il Melangolo, Genova, pp. 200, L. 30.000), primo volume di una collana intitolata iyyun ("indagine razionale) e dedicata a una rivalutazione critica dei settori non occidentali (principalmente arabo-islamici ed ebraici) del pensiero filosofico medioevale".

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010525.htm

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