domenica 21 aprile 2013

ELIADE, VIAGGIO ALLE RADICI DELL'ALCHIMIA

GIUSEPEP BERNARDI
ELIADE, VIAGGIO ALLE RADICI DELL'ALCHIMIA

All'interno della sua generale concezione per cui esiste un tempo del mito, primordiale e sacro, contrapposto a un tempo profano ed effimero della storia, il grande studioso delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) ha indagato ogni forma di aspirazione trascendente, ogni mito iniziatico e misterico volto alla comprensione profonda della natura e al compimento di essa nell'uomo. Cos' come nelle Tecniche dello yogaha parlato di tale forma d'ascesi quale "liberazione dalla storia" e nel Mito dell'eterno ritorno ha additato una sorta di supremazia della mentalità arcaica proprio per l'iterazione del comportamento "assoluto" e archetipico che essa attua in rifiuto della contingenza storica, allo stesso modo ha studiato lo Sciamanesimo, la pratica che ristabilisce una comunicazione col divino, e Le arti del metallo e l'Alchimia. Su questo ultimo tema, usciranno fra qualche giorno, riuniti in un volumetto, due brevi scritti esemplari, Il mito dell'alchimia e L'alchimia asiatica, che erano rimasti inediti in Italia e sono stati felicemente recuperati da Bollati Boringhieri. Per situare in modo corretto l'alchimia nel suo contesto originario, dice Eliade, occorre ricordare che, in tutte le culture in cui è presente, essa è sempre legata a una tradizione esoterica e mistica. In Cina il taoismo, in India lo yoga e il tantrismo, nell'Egitto ellenistico la gnosi, nei Paesi islamici le scuole ermetiche, nell'Occidente medievale e rinascimentale l'ermetismo, il misticismo settario, la Kabbalah. Fondata sulla trasmissione iniziatica del"segreto", che è la regola generale di quasi tutte le scienze e le tecniche ai loro primordi, l'alchimia, erede del mondo mitico-rituale arcaico, vuole fare dell'uomo un "creatore", capace di trasformare la propria condizione e d'intervenire sulle qualità delle sostanze minerali e vegetali, e ciò non in rivalità col divino, ma per mediazione con esso.
Nei mille cinquecento anni che vanno dal medico indiano Caraka a Paracelso e ai Rosacroce, l'intuizione che accomuna la ricerca alchemica sembra un regressus ad uterum di sapore psicoanalitico. Caraka, che vagò per il mondo nell'intento di conoscere tutte le malattie che affliggevano l'umanità, prevedeva contro il malessere e il decadimento una reclusione del soggetto in una stanza buia dalla quale sarebbe uscito come rinato a ricominciare la vita; e per Paracelso "colui che vuole entrare nel regno di Dio deve anzitutto penetrare col proprio corpo all'interno della madre e là morire". Gli scritti degli alchimisti cinesi, indiani, islamici ed europei fanno riferimento a ricette che assicurano all'individuo la guarigione e la capacità di rendere perfetti i metalli vili. Le sostanze minerali partecipano della sacralità della Terra, cosicché le arti del metallo assumono un carattere ostetrico, precipitano il ritmo di crescita dei minerali maturandolo in oro, sostanza compiuta. L'Elisir o la Pietra filosofale portano a termine l'opera della Natura,, e questo intervento intercessorio dell'uomo cominciò ad assumere, con il neoplatonismo, una valenza cristologica, tanto da indurre Jung a stabilire, l'altr'ieri, un parallelo fra Cristo e Pietra filosofale.

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