domenica 21 aprile 2013

EVOLA Un guerriero antimoderno

ANTONIO GNOLI
EVOLA Un guerriero antimoderno
Un’analisi molto documentata rivisita il filosofo maledetto
Ormai ampiamente sdoganato, quello che un tempo veniva definito «il filosofo maledetto della destra italiana», oggi è fatto oggetto di studi seri e documentati. Stiamo naturalmente parlando di Julius Evola (1898 1974) cui Francesco Germinario dedica un lungo saggio sul suo antisemitismo e i rapporti con il nazionalsocialismo negli anni cruciali tra il 1930 e il 1943. Il libro Razza del Sangue, Razza dello Spirito, uscirà a giorni dall’editore Bollati Boringhieri (pagg. 175, lire 30.000).
Evola fu una strana figura di fascista. Probabilmente convinto di rappresentare l’essenza ideologica del regime: qualcosa di talmente segreto, o perlomeno poco visibile agli occhi dei più, da richiedere un percorso spirituale eccezionale. Il risultato fu la costruzione di un punto di vista sofisticato rispetto alle versioni che negli anni Trenta circolano in Germania e in Italia sul tema della razza.
Non è del tutto inutile, tuttavia, sottolineare che lo stesso Evola non si sottrasse ai più vieti luoghi comuni che avvolgevano la propaganda antisemita. Li ricorda con efficacia Germinario: l’ebreo è incline al pensiero astratto, ha da sempre un rapporto morboso col denaro, ha la tendenza perversa a privilegiare gli aspetti torbidi della psiche umana, è privo di scrupoli morali, è incline a valorizzare le posizioni nichilistiche, e ad assumere atteggiamenti corrosivi, è dotato di una sensualità animalesca, e ha sempre rivelato una spiccata propensione alla sovversione e all’impegno nei movimenti rivoluzionari.
Può sembrare un controsenso perciò che un pensatore così condizionato dall’antisemitismo più ovvio potesse nutrire qualche speranza di mettersi a capo di un movimento culturale con la pretesa di influenzare il corso di fascismo e nazismo. In fondo la questione è tutta qui: a differenza di Gentile e Spirito, il cui dialogo con il fascismo è, in qualche modo, svolto quasi sempre dalla cattedra, Evola si ritiene un militante a tutti gli effetti: un protagonista che scende in trincea con l’intenzione di discutere, influenzare e correggere gli errori che egli individua nel pensiero nazista e fascista. Ne ha le capacità?
Occorre dire che il percorso spirituale di Evola fu singolarissimo: ingegnere mancato, apprezzato pittore (di tendenza futurista), si legò negli anni Venti alle avanguardie francesi (in particolare a Tristan Tzara). Negli anni Trenta concentra i suoi interessi sugli esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca (Jünger e Benn), traduce Il tramonto dell’Occidente di Spengler, attinge a Sesso e carattere di Weininger, pubblica nel 1934, l’opera più riuscita: Rivolta contro il mondo moderno. Si interessa di pensiero Zen, e del Tantra, sviluppa una concezione personalissima del sesso e dei suoi rapporti con la metafisica. A tratti sembra anticipare di decenni certe inclinazioni new age. Confuso con una sorta di guru ante litteram, in realtà Evola è uno strano impasto di estremismo politico e tradizionalismo culturale. Le due cose non sono in contraddizione. Del fascismo vuole dare un’immagine radicale, per farlo sviluppa una critica violenta e costante nei riguardi della modernità rea agli occhi di Evola di aver contaminato, con la sua deriva liberalborghese, le due grandi esperienze totalitarie che Germania e Italia vivono in quegli anni.
I richiami che nazismo e fascismo fanno ai movimenti di massa, quella sorta di egualitarismo che germina alla base delle due strutture, spingono Evola a prendere le distanze da una politica che egli considera a tutti gli effetti plebea. È a questa altezza che il dissenso evoliano nei riguardi dei due regimi si veste di un appello alla tradizione, cioè a quei valori che la modernità guidata dai vari CartesioLuteroRousseauKant e più vicini a noi MarxFreudTrockjEinstein, aveva implacabilmente demolito.
Si noti, di passata, che qui Evola salda la critica alla modernità con la critica all’ebraismo. Lungi dal farne una questione biologica, la sua ostilità nei riguardi della razza ebraica è un fatto che concerne lo spirito. Sotto questo profilo si spiega la polemica con Rosenberg e le critiche al nazismo, incapace di accettare l’irreversibilità della decadenza delle razze.
D’altra parte la decadenza delle razze è per Evola uno degli effetti della modernità e la sola risposta a questo stato di cose egli la individua nella costruzione più immaginaria che reale di un nuovo Sacro Romano Impero. Che cosa esattamente intendesse con questa formulazione la cui storicità appariva tanto più improbabile quanto più legata all’affermazione risibile di elementi estranei al corso vero delle cose non è francamente facile né da fissare né da concettualizzare. Certo, Evola ha in mente, come nota Germinario, una specie di terza via fra l’imperialismo borghesemercantile e il nazionalismo pangermanico. Ma come tutte le terze vie rimane vaga e generica. Gli appelli al paganesimo e a una certa ritualità romana, il richiamo al ghibellinismo finiscono così con l’apparire fragili e superficiali suggestioni.
Ad aggravare il quadro concettuale contribuisce il tentativo di rivestire questa materia nebulosa con suggerimenti storici imbarazzanti. Il nuovo ordine, che agli occhi di Evola dovrà sostituire i partiti di massa fa appello alle SS considerate l’aristocrazia dei valori e a quella Guardia di Ferro guidata da Codreanu che all’efferatezza delle azioni mescola richiami misticheggianti.
Nazificare il fascismo, fascistizzare il nazismo fu questa, in ultima sintesi, la trovata teorico politica con cui Evola volle, o perlomeno tentò, di unire due civiltà, due mondi che nonostante tutto continuarono a non confondersi e malgrado le reciproche infamie a viversi con sospetto l’un l’altro.

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010131.htm

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