martedì 8 aprile 2014

"Impossibili” marchingegni e anacronistici robot della preistoria ellenica: a chi farli risalire? 
(Prima parte)

(di Tony Maniscalco - “Archeomisteri” n. 29 – Settembre/Ottobre 2006)

Colosso di RodiC’è un luogo nell’antica Grecia attorno al quale ruotano alcuni dei più grandi misteri della sua storia: questo luogo è l’isola di Rodi. Una leggenda racconta che quest’isola fu abitata in tempi antichissimi da un gruppo di divinità nate dal mare che avevano un aspetto mostruoso con la testa di cane, unghie acuminate e dita palmate. Secondo un’altra leggenda, invece, queste divinità avevano il corpo in parte di donna ed in parte di pesce, come le sirene. Esse erano chiamate Telchine e secondo alcuni miti erano nove, secondo altri: cinquanta. Esse costruirono il falcetto con il quale Crono evirò suo padre, poi ebbero in custodia Poseidone al quale successivamente regalarono il tridente. Le Telchine erano esperte di magia ed un giorno fecero cambiare il tempo intorno all’isola di Rodi e fecero comparire una misteriosa nebbia; Zeus si adirò e fece sparire la nebbia e le cacciò dall’isola di Rodi.
Quando gli Achei conquistarono l’isola eressero un’enorme statua che rappresentava il dio Helios, statua meglio conosciuta con il nome di “Colosso di Rodi”. Quest’opera fu costruita da Chares da Lindo a partire dal 294 a. C. fino al 287 a. C. ed era alta 32 m e collocata all’ingresso del porto di Mandraki.  Secondo alcuni autori le gambe del Colosso erano poste ai due lati del porto, cosicché le navi per entrare, dovevano passare sotto la statua; altri dicono, invece, che la statua era collocata su un altro lato. Il Colosso di Rodi era fatto di bronzo e secondo alcuni reggeva una fiaccola, mentre altri credono che reggesse una lancia. Era considerata una delle opere più strabilianti dell’antichità insieme alle piramidi egizie. Fu distrutto da un terremoto nel 226 a. C..
A Rodi nacque anche uno dei più importanti mitografi greci, il sapiente Apollonio Rodio. Dalle sue opere abbiamo alcune informazioni sul mito di Atlantide, infatti egli dice che al di là delle Colonne d’Ercole esisteva Porto di Rodila terra dei Meropidi dove si trovava una civiltà assai progredita. Il nome Meropidi deriva da Merope che era una delle figlie del titano Atlante, chiamate Pleiadi o, appunto, Atlantidi. Ma l’opera più importante di Apollonio Rodio è il mito degli Argonauti, ripreso anche da molti altri autori greci. In questo mito si racconta che l’eroe Giasone, per riappropriarsi del suo regno, fu costretto ad andare a riprendere un oggetto divino appartenuto ai suoi avi, il vello d’oro, un mantello dorato di caprone che era finito nella regione della Colchide nel Mar Nero (fino a qualche tempo fa si pensava fosse la Crimea, ma studi recenti sembrano orientarsi più sulla Georgia).
Giasone quindi fece costruire una nave per raggiungere la Colchide e chiamò i più grandi eroi dell’antica Grecia per aiutarlo nell’impresa. La nave fu chiamata Argo e per questa ragione gli uomini dell’Argo furono detti Argonauti. Fra essi c’erano Ercole, Peleo (il padre di Achille) e Laerte (il padre di Ulisse). Anche gli Argonauti, come le Telchine e le Sirene, erano 50.
Apollonio Rodio aggiunge al suo racconto un episodio enormemente affascinante, infatti al ritorno dalla Colchide, Giasone decide di sbarcare nell’isola di Creta per rifornirsi di acqua e cibo, ma l’isola è sorvegliata da un terribile guardianoRodi chiamato Talos che impedisce agli stranieri indesiderati di sbarcare. Apollonio Rodio descrive Talos e la sua descrizione coincide con quella di tanti altri autori greci: Talos era un gigante fatto interamente di bronzo e quindi, invulnerabile. Quando arrivavano delle navi straniere egli sollevava enormi macigni che scagliava contro le imbarcazioni, se qualcuno sbarcava sull’isola, Talos, rendeva il suo corpo incandescente con il fuoco, dopodiché si scagliava addosso ai nemici stritolandoli o facendoli morire bruciati. Il gigante aveva un’unica vena che gli attraversava tutto il corpo, partendo da uno dei suoi talloni; era attraversata da un liquido che aveva il colore del piombo fuso. Uccidere Talos era impossibile, ma Giasone riuscì a sconfiggerlo. Mentre alcuni suoi compagni lo distraevano, egli scoperchiò la botola che si trovava sul tallone del gigante di bronzo e ne fece uscire il liquido vitale, dopodiché questi non si mosse più e cadde a terra. Questa descrizione non sembra quella di un robot?
Secondo alcuni antichi miti, il costruttore di Talos era il dio Efesto, inventore dell’arte dei metalli, secondo altri fu, invece, Dedalo, leggendario architetto famoso per aver costruito il labirinto del re Minosse, che secondo altri antichi testi era sorvegliato da uomini artificiali simili a Talos, da Dedalo stesso costruiti.
Talos era considerato l’ultimo rappresentante di un’antica stirpe. I mitografi dicono che sorvegliasse tutte le spiagge dell’isola di Creta e questo particolare è contraddittorio, infatti, Creta è talmente grande che Talos non poteva essere presente in tutte le sue spiagge contemporaneamente a meno che non ci fossero stati tanti altri Talos a guardia di alcuni punti della costa. Di sicuro questi esseri dovevano essere tutti uguali tra loro e ciò ha fatto credere agli stranieri che si trattasse sempre dello stesso. Questo particolare dimostra ulteriormente che si trattava di un Robot costruito in serie. Sempre gli antichi scrittori greci, tra i quali Platone, riportano che Dedalo aveva costruito delle statue antropomorfe in grado di muoversi da sole e che dovevano essere ben sorvegliate perché altrimenti sfuggivano al controllo del loro costruttore e scappavano via. Anche il dio Efesto aveva costruito due donne artificiali in grado di muoversi da sole che lo aiutavano nei suoi spostamenti essendo lui zoppo. Sempre, secondo antiche fonti, nel palazzo di Alcinoo, a Scheria, si trovavano due cani meccanici semimoventi che facevano la guardia all’ingresso.
Oltre a queste tradizioni, più o meno mitologiche, abbiamo notizie di inventori che avrebbero costruito o cercavano di costruire alcune macchine semoventi, come Gerone di Alessandria, Cresibio e Filone di  Bisanzio. Alcune macchine ingegnose che fanno pensare ai meccanismi della robotica erano utilizzate nelle rappresentazioni teatrali, come la macchina per produrre i suoni di un temporale, la macchina del volo, meccanismi di specchi che permettevano la riproduzione del bagliore dei fulmini e piattaforme girevoli per il cambio di scena. Tutti ingegnosi espedienti che richiedevano sofisticate conoscenze e capacità di calcolo ai loro ideatori. Inoltre nel suo libro “Automata”, Gerone spiega la struttura e il funzionamento di certe macchine e robot adibiti alla recitazione in scena: venivano azionati a comando e il loro movimento era prodotto, da ruote, pulegge, cilindri, leve, pompe e contrappesi.
Nella mitologia dei Lapponi esiste un gigante simile a Talos che ha quasi lo stesso nome: Stalo. Nelle lingue slave il nome Stalo o Stalin vuol dire acciaio.
La spiegazione più ortodossa per le descrizioni fatte dagli scrittori greci è che tali macchine fossero frutto della loro fantasia e la loro somiglianza con gli attuali robot è soltanto casuale. Apollo Rodio quindi, sarebbe stato un precursore di Leonardo da Vinci, Giules Verne e Isaac Azimov, ma a questo punto va fatta una considerazione importante: Leonardo da Vinci, Verne e Azimov hanno ideato i loro progetti fantasiosi  quando la tecnologia aveva raggiunto alti livelli, per uno scrittore dell’antica Grecia era difficile, pensare ad una macchina semovente senza avere alcuna cognizione tecnologica di base e, i particolari di Talos, dimostrano che Apollonio Rodio aveva delle conoscenze ben precise nel campo della robotica.

http://www.babyloncafe.eu/impossibili_marchingegni.htm

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