martedì 8 aprile 2014

Corpo e macchina: dalla natura alla robotica


“Se consideriamo il vantaggio che la moderna costruzione di macchine ha tratto dagli uomini, se prendiamo in considerazione le macchine calcolatrici, gli apparecchi di controllo, i distributori automatici, possiamo attenderci ulteriori progressi della civiltà tecnica.”
Ernst Mach, Conoscenza ed errore (1905)

Da sempre l’uomo guarda alla perfezione della natura per creare tecnologie che estendano le proprie potenzialità e lo aiutino a vivere meglio: calcolatrici e computer si ispirano alle facoltà logiche della mente umana e le rafforzano, i motori agiscono come potenziatori dei muscoli e i laboratori chimici cercano di riprodurre artificialmente le sostanze sintetizzate dal nostro corpo. Dai primi utensili preistorici fino ai giorni nostri l’evoluzione dell’uomo consiste dunque in uno straordinario climax di meccanizzazione finalizzato a far fronte alle nostre necessità e a sottomettere il mondo naturale con il minore sforzo possibile.
In questo processo di perfezionamento, macchine sempre più sofisticate giocano un ruolo fondamentale sostituendosi all’uomo, facendo ciò che egli non può o non vuole fare e, in alcuni casi, prendendone le sembianze. I robot che conosciamo oggi sono il risultato di un’evoluzione che, partendo dagli automi realizzati nell’antica Grecia, passa per le figure mobili dei campanili medioevali, arriva all’Uomo volante di Leonardo da Vinci fino agli androidi sei-settecenteschi costruiti dalla manifattura orologiera svizzera. Allo studio della meccanica, nel Novecento si aggiunge il tentativo, attraverso l’informatica, di riprodurre funzioni corporee e logiche sempre più sofisticate e proprie dell’essere umano. Le macchine di Alan Turing, risalenti agli anni Cinquanta, sono le prime di nuova generazione e precorrono i più moderni computer che oggi sono in grado di animare organismi simili a noi anche dal punto di vista biologico. Le applicazioni della robotica sono difatti sempre più numerose e sorprendenti: basti pensare ai robot industriali nelle catene di assemblaggio, o a quelli giocattolo che imitano esseri umani e animali nelle movenze; non vanno poi trascurati i frutti della tecnologia biomedica come apparecchi acustici, protesi e pace-maker che, impiantati chirurgicamente all’interno del corpo umano, permettono di migliorarne alcune funzioni e attuare la fusione uomo-macchina. Si arriva, infine, ai cyborg come quelli messi a punto dal Massachusetts Institute of Technology in grado di riconoscere oggetti e riconfigurare in autonomia elementi non funzionanti o come Asimo, un avveniristico robot costruito in Giappone in grado di camminare, muoversi e agire come un essere umano, riconoscere volti preprogrammati ed evitare ostacoli.
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Agli inizi del Novecento, in corrispondenza della Seconda Rivoluzione Industriale, il lavoro di diversi artisti esplicita i mutamenti del rapporto uomo-macchina e definisce una nuova iconografia del corpo rispetto all’artificiale. Tutte le avanguardie storiche si interessano alla macchina, chi fornendone inquietanti interpretazioni, come i Surrealisti, chi mostrandone le qualità come gli artisti del Bauhaus o chi celebrandola, come i futuristi. I Dadaisti, invece, vedono nel rapporto società e industrializzazione un’inesauribile fonte creativa. Nei bizzarri congegni di Marcel Duchamp, Francis Picabia e Max Ernst o nell’emblematica Testa meccanica di Raoul Hausmann, la macchina è presentata come un oggetto al servizio dell’umanità e al contempo come un elemento di distruzione e menomazione. In questo periodo si assiste dunque alla realizzazione di quanto espresso da Walter Benjamin ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica; tramite il collage, il fotomontaggio e il ready-made l’opera d’arte diventa, essa stessa, riproducibile, miniaturizzabile e addirittura trasportabile nella Boîte-en-valise.
Il fascino della macchina giunge inevitabilmente fino all’arte contemporanea, come dimostrano gli ingranaggi di Jean Tinguely e di Bruno Munari o i più recenti lavori di Marcel Li Antunez Roca, in cui le potenzialità del corpo sono a volte amplificate, a volte integrate, a volte negate dall’aggiunta di dispositivi meccanici o biologici, controllati da computer.
All’ultima Biennale di Venezia, infine, l’opera Outside Itself. Robot-Assembled Sculpture di Federico Diaz dimostra come i robot siano ormai in grado di vedere, sentire, percepire meglio degli esseri umani.
Intelligenze e corpi robotici oggi pervadono il nostro bagaglio culturale e comportamentale; si pensi ai racconti di fantascienza, ai film di animazione o a capolavori cinematografici quali Metropolis e Tempi Moderni che raccontano potenzialità e rischi dell’antropomorfizzazione delle apparecchiature artificiali e della meccanizzazione dell’uomo.
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Nella società contemporanea in cui le tecnologie più promettenti sono quelle che tentano di sostituirsi o di imitare la natura, arte, letteratura e informazione ci forniscono strumenti utili per sviluppare un pensiero critico e per formare una “cultura tecnologica” che ci consenta di continuare a sorprenderci ed entusiasmarci di fronte alle innovazioni, ma, allo stesso tempo, di riconoscerne i limiti adattando i sistemi tecnologici a quelli culturali, sociali ed economici.
Oggi si assiste a un sostanziale cambiamento nella manifestazione del corpo e della sua fisicità. Supporti tecnologici quali cellulari, chat, social network, videoconferenze e la telepresenza, ci permettono salti spazio temporali impensabili fino a qualche anno fa e stanno cambiando il nostro modo di agire, percepire e comunicare. Nessuna tecnologia meccanica o virtuale, per il momento, può però riprodurre l’incontro de visu, lo scambio diretto di impercettibili segnali e l’attivazione dei neuroni specchio, fondamentali per la trasmissione e comprensione di stati d’animo, intenzioni, emozioni.

http://www.ascuoladiguggenheim.it/percorsi_details.php?id=52

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