Tempo fa qualcuno instancabilmente avvertiva che gli attacchi alle città sante irakene e lo scandalo di Abu Grahib avrebbero provocato un enorme accumulo di risentimento e di odio che sarebbe poi inevitabilmente esploso. Essere sorpresi adesso è da ingenui. Se si considera inevitabile e percorribile la strada dello scontro di civiltà - come suggerivano Oriana Fallaci e altri esimi acculturati occidentali - questo è solo l’inizio. Non voglio in questo caso analizzare quali e quanti siano i torti e le ragioni di ciascuna delle parti in causa, sta di fatto però che è sempre più evidente la nostra indole di rammolliti post-industriali di fronte alla decisione e alla determinazione delle masse islamiche. Il fatto che gli arabi siano piu’ convinti e determinati di noi non è un dettaglio , e non dovrebbe destare alcuna sorpresa: il mondo occidentale è in piena decadenza politica, economica e morale, mentre la comunità araba globale intravvede chiari spiragli per una grande riscossa, ed è sicuramente disposta a pagare un prezzo per la vittoria. Quale prezzo siamo invece disposti a pagare noi? Temo nessuno: non sappiamo piu’ soffrire, nè rinunciare, nè tantomeno combattere. Finchè le risorse naturali degli altri ce le assicuravano i nostri scaltri diplomatici dell’era della guerra fredda, eravamo tutti disposti a mettere una bella pietra sulle implicazioni etiche e morali che tutto ciò comporta. Oggi che la geopolitica attuale ci presenta l’unica possibilità di andarle a depredarle direttamente, come facevano i nostri antenati predoni e conquistatori, abbiamo leciti e comprensibili dubbi e perplessità. La cultura, la consapevolezza, la democrazia, sono la nostra forza e il nostro vanto , ma possono anche essere la nostra debolezza di fronte alla cruda realtà dei fatti. In definitiva, solo oggi scopriamo che il nostro tenore di vita non è affatto merito della nostra civiltà, ma è piuttosto un ricordo della nostra antica, spietata barbarie. E’ una scoperta che ci lascia attoniti e disorientati, alla mercè di chi si pone molti meno dubbi di noi. L’Iraq di oggi è lo specchio della potenza e dell’arroganza imperiale occidentale, ma è allo stesso tempo il manifesto della vacuità della forza militare quando essa pretende di prescindere da tutto il resto. E’ perfettamente inutile analizzare cosa si dovrebbe fare se fossimo ancora popoli vigorosi e giovani come sono gli arabi. Non lo siamo. Siamo vecchi, stanchi e viziati all’inverosimile. Nello scontro diretto, nonostante il grande sfoggio di armamenti sofisticati e di risorse che possiamo permetterci, vinceranno loro, perchè hanno molta meno paura di morire di noi. Perchè, a torto o a ragione, credono in sè stessi. Non è una resa, non è vigliaccheria. E’ puro realismo. Tentare di ricucire gli strappi è l’unica via d’uscita percorribile, tentare in qualche modo una convivenza decente è l’unica nostra possibilità. Nonostante le apparenze, la parte debole siamo noi. Paul Olden www.emule.it |
venerdì 30 novembre 2012
Vignette rivelatrici
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento