martedì 28 gennaio 2014

La Lagarde ed i 20 milioni di disoccupati: la crisi europea non è finita. Italia bocciata, servono 'vere' riforme del mercato del lavoro
Di Alessandro Proietti 


L'Eurozona, tra mille stenti, osserva con 'ammirazione' quella delicata crescita che si sta riaffacciando in molte economie del blocco. Con le orecchie che ancora ronzano per il caos della crisi, molti Paesi tornano a guardare in maniera  più positiva (a torto o a ragione) al proprio futuro. Le cicatrici del turmoil sono ancora ben visibili ma, nella mente di molti, il tempo saprà nasconderle a dovere. Tranne una: la disoccupazione. Questo, sostanzialmente, è il monito che il Fondo Monetario Internazionale lancia con la presentazione del suo ultimo paper: "Jobs and Growth: Supporting the European Recovery". Rimuovere gli ostacoli alla crescita, porre le fondamenta per il lavoro, raggiungere una crescita sostenibile in un mondo globalizzato: queste sono le macroaree che il Fondo prospetta per il giusto connubio tra crescita e mercato del lavoro.

Christine Lagarde

(Foto: Reuters / Charles Platiau)
Repertorio: il numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde.


A parlare è Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, che - con il suo solito piglio - chiarisce subito la situazione: "Fino a che gli effetti sul lavoro non saranno invertiti, non potremo dire che la crisi è finita". Impossibile far anche solo finta di dimenticare quell'esercito da 20 milioni di persone che, attualmente, è senza occupazione nel Vecchio Continente. Problema nel problema: la disoccupazione dei giovani è di certo elemento di preoccupazione per il Fondo. "Mi preoccupa che quasi un quarto dei giovani europei under-25 non riesca a trovare un lavoro. In Italia e Portogallo più di un terzo dei giovani sotto i 25 anni è disoccupato. In Spagna e Grecia sono più della metà". Troppe, troppe persone che non riescono ad introdursi nel mercato del lavoro. Sono troppi quei giovani (5 milioni nella fascia 14-25 anni) che quasi non sanno cosa significhi avere un lavoro. Il 'danno' della disoccupazione giovanile, poi, è tanto attuale quanto prospettico: Kenneth Rogoff, noto economista, aveva recentemente sottolineato come "stiamo perdendo una buona parte della nuova generazione".
La logica economica dietro il whitepaper del Fondo è chiara: sostenere la crescita è importante per creare lavoro e quest'ultimo, d'altronde, è necessario per sostenere la domanda sotto forma di consumi. "Le persone - spiega la Lagarde - consumano di meno se non hanno lavoro". Molti Paesi, specie tra i periferici, hanno negli anni portato avanti riforme imparziali e/o troppo timide del mercato del lavoro. Un lavoro sommario, quello fatto da monti governi, che ha palesato tutte le sue criticità solamente con l'avvento della crisi economica. Come una miccia accesa, la crisi ha fatto detonare tutti i problemi semi-nascosti che hanno generato, nel concreto, gli attuali tassi di disoccupazione.
L'Italia, ovviamente, non è esente da questi discorsi. C'è spazio, molto spazio, di manovra per migliorare il mercato del lavoro italiano. Gli aspetti sui quali mettere mano sono molti. Il Bel Paese dovrà, per prima cosa, saggiamente veicolare più Pil da quei settori al vertice nel pre-crisi (tipo l'edilizia) a quelli emergenti, export-friendly e con prospettive di crescita per il futuro. La Lagarde parla anche dei contratti, spiega i vantaggi di un 'contratto aperto': flessibile per i neo-assunti e, all'aumentare dell'anzianità, sempre più garante del lavoratore. Una formula, spiega il Fmi, che di certo stimolerebbe l'occupazione dei giovani. E' necessario aggiornarsi, obbligatorio smuovere l'attuale situazione se si vuole tornare a crescere e sperare nel futuro (dell'economia e del mondo del lavoro italiano).
Il focus del Fmi guarda anche al passato delle riforme italiane per sottolineare quanto prima affermato: riforme "parziali ed incomplete" hanno semplicemente nascosto la polvere sotto il tappeto, non hanno di certo migliorato la situazione. E' stato così per la legge Treu (1997) che, senza eliminare affatto la rigidità dei contratti, ha invece avuto un grande impatto sul moltiplicarsi dei contratti temporanei pesando, oltretutto, nella crescita del gap tra genere, tra regioni e tra lavoratori qualificati e non. La Biagi del 2003, poi, altro non ha fatto se non accrescere ulteriormente questo dualismo. Con l'occupazione giovanile statica (se non in discesa) il lavoro precario tra i giovani passò dal 20% del 1997 al circa 50% del 2011. Chiude l'analisi delle riforme, ovviamente, la recentissima Fornero (2012): 'salvata' dall'analisi dell'impatto sul lungo periodo (è ancora troppo poco il tempo passato), il Fondo non si dimentica di sottolineare come gli effetti del breve termine, su occupazione e crescita, siano stati modesti (se non proprio negativi).
1997-2012: più di tre lustri di mezze riforme, nate morte e "probabilmente limitate dalle realtà politiche e dal potere degli attori interni", che altro non hanno fatto se non perdere tempo, energie, denaro e - perché no - anche 'sacri' posti di lavoro. La crisi ha definitivamente reso palese tutta l'inadeguatezza di alcune mosse dal sentore decisamente più politico che di riforma strutturale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e - qualora ve ne fosse stato ancora bisogno - il Fondo monetario internazionale li ha riassunti ed analizzati nel suo lavoro. La speranza è che chi di dovere legga attentamente le riflessioni fatte dal Fmi e, anche memore del passato, prenda - definitivamente - la giusta direzione. L'Italia, intanto, aspetta. E spera.


 http://it.ibtimes.com/articles/61884/20140128/lagarde-europa-disoccupazione-crisi-crescita-lavoro-giovani-riforme-strutturali-mercato-lavoro-itali.htm#ixzz2rhhJxcC0

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