martedì 31 dicembre 2013

Paola Musu: “La Sovranità’ Popolare” e il Diritto di Resistenza attiva

paginabianca

Anche se non espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il “diritto di resistenza all’oppressione” è comunque implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti. Infatti, il diritto di resistenza trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare”, sancito nell’art.1 della nostra Costituzione, che rappresenta la legittimazione all’intero Ordinamento giuridico. La “sovranità”, peraltro, è attribuita ad ogni singolo cittadino, come membro del Popolo, e non solo al Popolo nel suo insieme.
Nel nostro Ordinamento giuridico, ci sono varie norme che stabiliscono la legittimità della resistenza individuale (cioè del singolo individuo) di fronte al provvedimentoillegittimo (siappure apparentemente legittimo) dell’Autorità e/o al comportamento arbitrario di un pubblico funzionario, ad esempio l’art.4 del DLL n. 288 del 1944 , che legittima la resistenza “attiva” (non solo passiva) ad un pubblico ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. L’art.51 del Codice penale esclude la punibilità dei fatti compiuti nell’ “esercizio di un dovere” o nello “adempimento di un dovere, imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità” e l’art.650 del Codice Penale, legittima la disobbedienza contro provvedimenti non “legalmente dati”dall’Autorità, cioè emanati arbitrariamente e quindi “illegittimi”.
Per i militari, inoltre, il dovere di disobbedire all’ordine manifestamente illegittimo è previsto dalla legge 11.7.1978 n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), che all’art.4 stabilisce: “Il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più presto i superiori”. La norma è ribadita nell’art.25 del Regolamento di disciplina delle Forze Armate, varato con il DPR n. 545 del 1986.
Questa norma è una chiara esecuzione dell’art.52, 2° comma della Costituzione, che stabilisce che “l’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.
Allo stesso modo è perfettamente legittima la resistenza collettiva contro ordini, decisioni o comportamenti, in contrasto con i principi costituzionali, adottati non solo da pubblici funzionari o dalle Autorità, ma anche da Organi Costituzionali, qualiGoverno e Parlamento, che rappresentano lo Stato-apparato.
La resistenza collettiva si esercita attraverso l’esercizio dei diritti di libertà, previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il diritto di manifestazione del pensiero (art. 21) ed il diritto di sciopero (art.40), anche politico (e fiscale ?).
In verità, l’art. 54 della Costituzione sancisce: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento”.
Non si deve però confondere il dovere di “fedeltà” con quello di “obbedienza”. Sono infatti due concetti diversi: la fedeltà alla Repubblica “precede”, logicamente e concettualmente, l’osservanza delle leggi dello Stato. Pertanto, il dovere di fedeltà alla Repubblica, e quindi alla Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti, prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore con i principi fondamentali dell’Ordinamento Costituzionale, è sempre l’obbedienza a questi ultimi che prevale sull’obbedienza alle leggi. Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l’obbligo di fedeltà alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla Carta Costituzionale.
Non a caso il diritto di resistenza è stato concepito nel 1946 quando viene inserito“nell’art.50 del Progetto di Costituzione” come collegato al dovere di fedeltà, stabilito dall’art. 54 (già art. 50 del Progetto), anche se in un primo momento era stato collegato al principio della “sovranità popolare”.
Naturalmente, la resistenza non può essere esercitata in forma violenta, perché, per difendere un diritto fondamentale, leso dall’esercizio arbitrario di pubbliche funzioni, non si può ledere e sacrificare altri diritti fondamentali, di pari o maggiore rilevanza, quale quello alla vita ed alla sicurezza delle persone.
Il DIRITTO DI RESISTENZA nel dibattito per l’approvazione della Costituzione italiana
Il 5.12.1946, la Sottocommissione, incaricata all’interno della Commissione dei 75(cosiddetta dal numero dei componenti) di elaborare la prima parte della Costituzione, inserisce nel Progetto di Costituzione, al 2° comma dell’art.50, la seguente disposizione, “Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.
La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall’On. demolaburista Cevolotto, che si sono ispirati ad altre Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese del 1946, che stabilisce: ”Qualora il governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri” (del Popolo, si presume).
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità del suo inserimento nella Costituzione.
Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione. Così, quando si vota il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto, il diritto di resistenza è soppresso (…), nonostante il voto favorevole dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente sull’esito del voto influirono motivazioni di opportunità politica ed anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di “resistenza” e quello di “rivoluzione”. Invece tra i due termini c’è una profonda differenza: la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico; invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico (purchè sia, naturalmente, democratico) e quindi è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.
LA “PACE” come principio fondamentale della Costituzione
L’art.11 della Costituzione sancisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Da questa disposizione, inserita nei “principi fondamentali”, deriva una chiara connotazione “pacifista” del nostro Paese e quindi l’illegittimità non solo della guerra “offensiva”, ma anche di quella decisa al di fuori della decisione degli Organismi Internazionali di cui il nostro Paese fa parte, quali l’ONU o la NATO. Ma a questo proposito sarebbe comunque il caso di ricordare i dubbi e le perplessità dell’opinione pubblica sulla legittimità dell’intervento delle forze armate italiane nelle cosiddette “missioni di pace” in Iraq, in Afganistan e in special modo l’ultimo contestatissimo intervento, più o meno diretto “in Libia”… Infatti la nostra Costituzione, all’art.2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, tra i quali c’è sicuramente anche il “diritto alla pace” (cioè dei cittadini a vivere in pace). Però questo diritto inviolabile non può essere tutelato con la violenza, sacrificando così altri diritti inviolabili.
Inoltre, la Costituzione, all’art.10 stabilisce espressamente che il nostro Ordinamento giuridico “si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, le quali recepiscono i principi fondamentali del cosidetto “diritto delle genti”, ed alle quali pertanto nessuno può sottrarsi.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.829 del 1988 ha chiarito che quando la Costituzione affida l’adempimento dei “compiti fondamentali”, tra i quali rientra anche quello della “convivenza pacifica tra i popoli” in base all’art.11, alla Repubblica o all’Italia, si riferisce anche agli Enti Locali, nelle loro varie articolazioni (Regioni, Provincie, Comuni), i quali pertanto sono corresponsabili nell’adempimento di questi “compiti fondamentali”.
Ne deriva che gli Enti Locali hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di”impegnarsi per la pace”, ad esempio attivandosi per promuovere e diffondere tra i cittadini la “cultura della pace”. Inoltre, possono anche attuare “atti di non collaborazione” con le iniziative belliche decise dal Governo in modo illegittimo, perché in contrasto con i principi costituzionali. Ma vediamo anche la parte dell’Art. 11 che riguarda le eventuali “limitazioni di Sovranità”: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Cito da un articolo dei Paolo Becchi: “Nella sua interpretazione ormai consolidata, la Corte Costituzionale continua a sostenere che «con l’adesione ai Trattati comunitari, l’Italia è entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sovranazionale, “cedendo” parte della sua sovranità, (sopratutto la Sovranità monetaria ndr) anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi». Ma quale parte della sua sovranità? La Costituzione italiana si riferisce alla“sovranità” sia all’art. 1 – stabilendo che essa appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione – che all’art. 11, il quale, come visto, consente le limitazioni di sovranità necessarie a garantire il funzionamento di un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia nel mondo. Appare evidente come l’art. 1 e l’art. 11 si riferiscano, in realtà, ai due differenti aspetti propri della “sovranità”, nel suo concetto classico: l’art.1 alla sovranità interna, ossia al rapporto tra lo Stato e quanti risiedono sul proprio territorio; l’art.11 alla sovranità esterna, ossia ai rapporti dello Stato con gli altri Stati o organizzazioni internazionali. Vale la pena di ricordare come, in sede di Commissione per la Costituente, si scelse di omettere, nella formulazione dell’art.11, ogni esplicito riferimento all’unità europea, come invece aveva chiesto l’onorevole Emilio Lussu. Le limitazioni di sovranità dovevano riferirsi unicamente allo Stato nei suoi rapporti internazionali (ONU). L’art. 11 Cost., pertanto, non può essere interpretato nel senso voluto dalla Corte Costituzionale, ossia come “copertura” di rango costituzionale alle sempre più profonde “cessioni” di aspetti tipici della sovranità interna in favore dell’Unione Europea. L’art. 11 non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati. 
In conclusione e dopo quanto detto, possiamo affermare che il “diritto di resistenza” è sostanzialmente ed implicitamente accolto dalla nostra Costituzione, in quanto rappresenta una estrinsecazione ed un inveramento del principio della sovranità popolare, sancita dall’art.1 della Costituzione e che quindi informa e coinvolge tutto il nostro Ordinamento giuridico.
La sovranità è esercitata in modo diretto attraverso i fondamentali diritti di libertà, garantiti espressamente dalla Costituzione, ed in modo indiretto attraverso lo Stato- apparato (la Pubblica Amministrazione), la cui attività non può comunque essere in contrasto con la sovranità popolare. Pertanto, quando lo Stato non esprime una volontà in sintonia o contraria a quella del popolo, spetta a questo e quindi ai cittadini, singolarmente o collettivamente, riappropriarsi della Sovranità per ripristinare la legalità ad esempio difendere le Istituzioni democratiche.
In pratica, quando il Governo, pur instauratosi legalmente (con le elezioni) agisce al di fuori della propria legittimazione che deriva dalla sovranità popolare espressa con le elezioni, i cittadini, che sono gli effettivi titolari della sovranità possono, anzidevono, attivarsi (appunto con la resistenza) per ripristinare la legalità violata.
Se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, quale estremo rimedio per ripristinare la legalità violata, il principio della sovranità popolare sarebbe di fatto privo di significato !
Ecco perché la “resistenza dei cittadini” è uno strumento fondamentale, seppure eccezionale, di garanzia dell’Ordinamento Costituzionale, anche se non è in essa espressamente stabilita. Inoltre, il dovere di fedeltà alla Costituzione, sancito dall’art.54, comporta il dovere di non obbedire alle leggi che sono in contrasto con essa. Pertanto, quando si compiono, da parte di qualunque Organo Costituzionale, anche il Governo o il Parlamento, atti di eversione dell’ordine costituzionale, c’è non il diritto, ma il dovere di resistenza individuale o collettiva ed anche “attiva”, purchè attuata in modo nonviolento per non ledere i diritti fondamentali di altri individui, al fine di salvaguardare le Istituzioni democratiche.
Così, quando lo Stato-apparato realizza materialmente un’attività contraria ai principi
fondamentali della Costituzione, come ad esempio fare una guerra “offensiva” o illegittima, quale è quella decisa al di fuori degli Organismi Internazionali, ma sarebbe il caso di riflettere bene anche sui casi di tassazioni ingiustificate o sulla firma di Trattati internazionali palesemente contrari all’interesse e alla sicurezza della nazione e in totale assenza di consultazione popolare, ecco che nasce il dovere di resistenza, anche collettiva, quale “extrema ratio” per il ripristino della legalità costituzionale e, aggiungerei quasi“per legittima difesa popolare”, che può essere praticata anche nella forma della disobbedienza civile,  sempre che sia appunto “nonviolenta”…nei limiti del possibile !
Dedico questo articolo a due carissimi amici: Fabio Castellucci e Paola Musu
(redatto col contributo decisivo di Giorgio Giannini)

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