martedì 2 aprile 2013

BRESCIA, UN LAGO DI VELENI INTORNO ALLA COPPIA TROTA-RIZZI


di GIANLUCA MARCHI
Immetti un banco di coregoni geneticamente modificati nelle acque del Lago di Garda e di certo l’equilibrio ittico del Benaco salterebbe per aria. Immetti un Trota nel lago della Lega Nord di Brescia ed ecco che, al di là delle responsabilità del giovane pesce, scateni una serie di reazioni che agitano il partito di Bossi in una delle province più strategiche per il potere padano. Perché a Brescia la Lega ha in mano l’Amministrazione provinciale, presieduta dal deputato Daniele Molgora, ex sottosegretario di Tremonti fino al 20 maggio 2010. Perché in questo territorio la Lega sta al 30,09% (dati delle regionali del 2010), con quasi 170 mila voti, a un’incollatura (poco più di mille voti) dal Pdl. Perché Brescia è la seconda provincia della Lombardia per numero di abitanti (1 milione e 256 mila) ed è una delle principali province industriali del Paese, quella in assoluto dove è nata la prima associazione imprenditoriale della penisola. Perché, e questo è il punto nevralgico e dolente, a Brescia la famiglia Bossi ha scelto di far entrare in politica il primo dei figli, Renzo detto il Trota, sperimentando la rampa di lancio per quelli che verranno dopo. E secondo gli osservatori più attenti delle dinamiche leghiste bresciane, la candidatura imposta di Renzo Bossi per le regionali del 2010 è stata come una bomba d’acqua che ha agitato l’intero lago verde padano.
La storia è nota: per fare spazio al figlio del capo, cioè per rendere sicura la sua elezione ed anzi evitare che qualche altro candidato (o candidata) potesse solo avvicinarlo nel numero di preferenze o, peggio ancora, magari superarlo, intorno al Trota è stata fatta terra bruciata. E questo non solo per volontà della famiglia o del cerchio magico, ma anche per sistemare alcune beghe locali. Qui entra prepotentemente in scena la “zarina bionda” del bresciano, Monica Rizzi, consigliere regionale uscente messa nella parte perdente del listino di Formigoni e ripagata, nel suo impegno a favore del Trota, con la promessa di un posto da assessore al Pirellone puntualmente arrivato. La Rizzi è politicamente cresciuta in Valcamonica, ma un lustro fa se n’è andata lasciando un ambiente per nulla sereno. “Anzi – ci dice un militante – ci ha voltato le spalle lasciandoci la netta sensazione di averci preso per il culo, a cominciare dalla storia della laurea in psicologia che non ha mai voluto ammettere non fosse vera, salvo farlo a ottobre dell’anno appena trascorso con una dichiarazione del suo avvocato”.
E dopo l’elezione del Trota ecco esplodere la famigerata storia dei dossier, sui quali è aperta un’inchiesta per violazione della privacy da parte del procuratore aggiunto Fabio Salamone, che fece anche perquisire gli uffici regionali della Rizzi, la quale risulta iscritta nel registro degli indagati. Ovviamente i sospetti si sono concentrati sull’assessore regionale allo Sport e ai Giovani, che secondo la vulgata si sarebbe servita di queste notizie “screditanti” non tanto per spianare l’elezione di Renzo Bossi, quanto per colpire alcuni suoi avversari storici dentro il movimento. Da parte sua la Rizzi, invece, si difende rispendendo l’accusa al mittente, cioè agli esponenti filo-maroniani, sulla base di questo assunto: siccome nei dossier sono contenuti dati sensibili che potevano essere attinti solo attraverso il Viminale, quelle carte sono state costruite dagli avversari interni per poi far ricadere la responsabilità sulle spalle della “zarina bionda”. Quale che sia la verità, resta il fatto che i dossier hanno colpito in particolare sia l’ex consigliere regionale Enio Moretti, che è finito all’angolo, sia l’intraprendente vicesindaco di Salò, Stefania Zambelli, che secondo alcuni avrebbe potuto insidiare il ruolo “centrale” di Monica Rizzi. I dossier, intanto, continuano a circolare e sono stati anche offerti a Giulio Arrighini, ex parlamentare del Carroccio ed ex segretario provinciale, oggi consigliere in Provincia dell’Unione Padana, di cui è segretario, il quale li ha rifiutati perché non contenevano nulla di spessore politico, bensì molto di questioni si sesso.
Che il clima sia altamente avvelenato lo dimostra anche l’ultimo episodio, piuttosto oscuro, riguardante i presunti festini a base di droga ed escort, di cui ha parlato il quotidiano Repubblica, tirando in ballo ancora il Trota, descritto come ospite di Alessandro Uggeri, compagno della Rizzi, a queste serate particolari. Il quotidiano diretto da Ezio Mauro ha raccontato di un’inchiesta aperta a Brescia, in cui per altro Renzo Bossi veniva dato per non indagato, inchiesta tuttavia smentita dal solito Salamone, che magari sta invece indagando in altre direzioni… Dopo giorni di silenzio, il Trota-delfino ha detto la sua escludendo qualsiasi coinvolgimento, ma è questa sua frase che desta qualche perplessità, quantomeno nella sua seconda parte: “Quegli articoli sono tutte calunnie per farmi abbassare la testa, per costringermi a farmi da parte, ma io non ci sto. A me non interessano poltrone e potere, prima di tutto sono un cittadino e un militante leghista che lotta insieme alla sua gente per ottenere giustizia”. Questa la dichiarazione ufficiale. Ma dietro le quinte si parla di un’ennesimo scazzo cerchio magico-maroniani sulle presunte responsabilità di chi avrebbe soffiato sul fuoco di Repubblica.
La storia ha comunque offerto il destro a Monica Rizzi per rilasciare questa dichiarazione: “Dopo l’attacco vergognoso di Repubblica, probabilmente commissionato da qualcuno, questo episodio per me, deve essere considerato la goccia che fa traboccare il vaso. Credo, sia arrivata l’ora di fare un po’ di pulizia all’interno del nostro movimento, le mele marce vanno tolte, perché rischiano di rovinare tutto il cesto. Renzo Bossi lo conosco da quando è nato, è un ragazzo per bene e completamente al di fuori da queste accuse, gettare fango su persone oneste e pulite, è una mossa veramente raccapricciante. Un ragazzo così giovane non può, e non deve essere gettato in pasto all’opinione pubblica, soprattutto con accuse di tale gravità. Nel 2011 anch’io sono stata oggetto di una campagna mediatica montata per infangare il mio nome – prosegue l’assessore Rizzi-, fatta di inchieste fasulle costruite ad arte per colpirmi in maniera bieca. Colpire me significava comunque colpire la famiglia Bossi, visto che Renzo, infastidendo molti, era stato candidato nel mio collegio risultando il leghista più votato della provincia di Brescia. Alla luce delle dichiarazioni del procuratore Salamone – chiosa la Rizzi-, il nostro avvocato Alessandro Diddi, provvederà ad avere al più presto un colloquio con lo stesso, per chiedere di aprire una inchiesta e individuare i colpevoli di questo complotto mediatico”.

Capite il clima! E comunque le conseguenze del lago agitato non si sono fermate qui. Il fatto più clamoroso, per chi conosce bene il partito di Boss dietro le quinte, è una rottura o quantomeno una freddezza che mai sarebbe stata concepibile fino a poco tempo fa: quella fra il capo padano e la famiglia Caparini. Bruno Caparini, il padre, è il proprietario del famoso castello di Ponte di Legno dove Bossi ha trascorso anni e anni di vacanze estive, salvo che nel 2011, è membro del consiglio di sorveglianza di A2A e, nonostante non abbia mai ricoperto un incarico elettivo, è sempre stato dietro le quinte, ma con un ruolo attivo, di qualsiasi operazione decisa dalla Lega in quel di Brescia. Davide, il figlio, 44 anni, è deputato da 15, fondatore del quotidiano la Padania nel 1997 e con un ruolo fondamentale nella nascita e nella crescita di tutti i media padani, finché questi all’inizio del 2011 sono stati affidati alla responsabilità del Trota. Insomma, i Caparini sono sempre stati annoverati fra i fedelissimi del senatur, ma tra fine settembre e inizio ottobre, nei congressi provinciali della Valcamonica (il loro regno) e di Brescia, hanno appoggiato rispettivamente Enzo Antonini e Fabio Rolfi (vicesindaco di Brescia), candidati passati per maroniani, anche se magari il Bobo non l’hanno mai incontrato in vita loro, come Antonini, e che hanno vinto a man bassa facendo secchi gli avversari appoggiati dal cosiddetto “cerchio magico”.
Motivi della clamorosa rottura? S racconta che il capo, e in particolare la moglie  Manuela Marrone, sarebbero rimasti scontenti dei voti che la Valcamonica ha portato in dono a Renzo Bossi. Ma si tratta di una lettura scarsamente sostenibile, visto che dei 12 mila voti raccolti dal Trota, 3 mila sono venuti proprio dalla Valle regno dei Caparini, che però rappresenta solo un dodicesimo della popolazione provinciale. La storia vera è che dopo l’ultima Pontida e il tentativo da parte del cerchio magico, poi sventato, di commissariare il Veneto e la Lombardia, cioè Gianpaolo Gobbo e Giancarlo Giorgetti, in tutto il partito si è diffuso un grande malcontento, plasticamente rappresentato alla Camera dalla raccolta di firme per la sostituzione del capogruppo Marco Reguzzoni (cerchista di provata fede marroniana con doppia erre). E quale è stata la prima firma in cima alla lista? Quella di Davide Caparini.
Sta di fatto che una provincia considerata ortodossa si è trovata schierata, più o meno convintamente, dalla parte dei maroniani (con una r sola, cioè amici del ministro dell’Interno), a cominciare appunto dalle due segreterie provinciali. E adesso la parte vincente aspetta il momento opportuno per conquistare i posti di potere.
Un po’ in mezzo fra color che son sospesi si trova attualmente il presidente della Provincia di Brescia, Daniele Molgora, il quale vorrebbe stare coi maroniani e tenere buoni rapporti coi Caparini, ma si ritrova ad avere in città il suo principale avversario, quel Fabio Rolfi eletto all’inizio di ottobre segretario provinciale e vicesindaco in Loggia, appunto un maroniano. In più Molgora avrebbe pessimi rapporti con Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda e presidente della Commissione Bilancio della Camera, un tempo ormai perso nella notte dei tempi indicato da Bossi come il proprio delfino, e oggi schierato con Maroni: a lui il presidente bresciano imputa il pesante stop alla propria carriera politica nazionale con l’imposizione delle dimissioni da sottosegretario all’Economia.
Sulla Provincia a trazione leghista aleggia poi il fantasma di un’altra possibile inchiesta della Procura sulla torbida vicenda del Fondo immobiliare PMS, appartenente a una società americana con sede a Lugano, che nei mesi scorsi ha battuto gli ambienti dei costruttori per convincerli ad aderire all’iniziativa presentata sotto le insegne “Provincia di Brescia per la casa”. Motivo? raccogliere l’invenduto e proporre soluzioni per la prima casa. Di più, si racconta che obiettivo dichiarato dell’operazione fosse quello di dotarsi di creare un capitale da 500 milioni di euro e poi quotarsi in Borsa. L’utilizzo del logo della Provincia di Brescia, pare senza che l’amministrazione ne sapesse nulla, ha fatto però muovere l’assessore leghista alle Attività produttive, Giorgio Bontempi, che ha presentato un esposto contro PMS. E tuttavia il fondo per accreditarsi sul territorio si sarebbe servito dei buoni uffici di un consigliere provinciale leghista, Roberto Lancini, molgoriano di ferro, che alcune settimane fa a sorpresa si è dimesso dall’incarico pubblico, accampando motivazioni personali. E Molgora, hanno osservato in molti, non ha potuto muovere un dito. Se si tratta dell’ennesimo capitolo delle lotte intestine che agitano il Carroccio lo diranno i prossimi eventi.
A fronte di questo spettacolo la famosa base padana come reagisce? L’impressione è che i militanti, o comunque gran parte di essi, abbiano smesso di essere fideisti, cioè sempre pronti a credere a quanto gli veniva raccontato, senza mai guardare in faccia alla realtà. E questo è uno degli effetti imputati magari indirettamente al Trota, il cui arrivo ha squassato l’ambiente. “La realtà – ammette Davide Caparini – è che la nostra gente è scontenta, perché salda le conseguenze della crisi economica alla considerazione che la nostra presenza al governo non ha prodotto i risultati sperati. Aggiungiamo che il governo un po’ imborghesisce e ne viene fuori un quadro dove la testa del partito sembra andare in una direzione diversa da quella dove il corpo vorrebbe andare. Tuttavia con il governo tecnico, torniamo sul territorio a fare la Lega”.
Sara così facile? Oppure in sede locale si trasferiranno definitivamente le divisioni interne al Carroccio? Al riguardo un piccolo ma significativo episodio ci viene raccontato dall’ex Giulio Arrighini: “Di recente come Lega Padana abbiamo organizzato in città la presentazione del libro di Leonardo Facco “Umberto Magno”, parecchio critico con Bossi. Ebbene, nei giorni successivi praticamente tutti i miei colleghi consiglieri provinciali della Lega mi hanno avvicinato per chiedermi se potevano trovare il testo in libreria quando, solo poco tempo fa non avrebbero preso in considerazione neppure l’idea di leggere anche solo un resoconto del contenuto!”.
Potenza di un intreccio fra un Trota fuor d’acqua e una “zarina bionda”, che ha creato un forte turbinio nel lago padano, rischiando di far male persino all’augusto protettore.

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