sabato 6 aprile 2013

Atalanta, Ivan Ruggeri è morto. Ha fatto grandi i nerazzurri



Bergamo, 06 aprile 2013

Per 14 anni presidente del club nerazzurro, aveva 68 anni, in stato vegetativo dal 2008. Ha dato alla sua città molto più di quanto non abbia ricevuto ("Bergamo non mi ha mai amato, forse quando non ci sarò più la gente capirà quanto bene ho fatto all'Atalanta"). Il ciclismo il suo primo amore, il lavoro e la famiglia i suoi punti cardinali. Poi arrivò il basket, la passione per le belle macchine e l'Atalanta è stata la sua creatura perfetta


E’ morto nella notte, alle 3.30, Ivan Ruggeri, 68 anni, per 14 presidente dell’Atalanta. Era in stato vegetativo dal 16 gennaio 2008 quando, durante una risonanza magnetica all’ospedale di Zingonia, venne colpito da emorragia cerebrale. Nonostante una delicata operazione al cervello, Ruggeri non si è più risvegliato e nelle ultime settimane le sue condizioni erano sensibilmente peggiorate. Lascia la moglie Daniela e i figli Francesca e Alessandro, che hanno gestito le aziende di famiglia el’Atalanta prima della cessione del club ad Antonio Percassi. I funerali si svolgeranno lunedì alle 15, a Telgate. Tutte le squadre di serie A, in occasione della 31ª giornata di campionato, scenderanno in campo con il lutto al braccio.
QUANTA PASSIONE — "Bergamo non mi ha mai amato. Forse quando non ci sarò più la gente capirà quanto bene ho fatto all’Atalanta". Ecco, ora che Ivan Ruggeri guarda tutti dall’alto, forse si capirà davvero che in quell’omone un po’ ruvido nei modi e nella dialettica non si nascondeva solo il presidente di una squadra di calcio di provincia, ma soprattutto una persona che ha speso, e si è spesa, più di quanto abbia ricevuto in cambio, in termini di risultati e affetto. Lavoro, sport e famiglia sono stati i suoi punti cardinali. Con il ciclismo, il primo amore.
Ivan Ruggeri all'inizio degli anni Novanta mentre legge La Gazzetta dello Sport prima di una riunione in Lega. Ap
Ivan Ruggeri all'inizio degli anni Novanta mentre legge La Gazzetta dello Sport prima di una riunione in Lega. Ap
DALLE BICI ALLA PLASTICA — Salì in bicicletta a 15 anni, insieme con l’amico Gianni Motta e con Felice Gimondi. Da allievo vinceva spesso, da dilettante si ricorda un 4° posto al Giro delle Asturie. Sarebbe passato al professionismo se non gli fosse morta la mamma. A quel punto Ruggeri non aveva più la voglia di farsi 150 chilometri di allenamento al giorno. Ma di stare fermo non voleva proprio saperne. A lavorare, Ruggeri, cominciò a 21 anni, quando prese un appartamento in affitto da dividere con due pastori tedeschi e un Lassie cieco. Venditore porta a porta, rappresentante di mobili e di bottoni. Fino a quando un amico non gli fece venire un’idea bizzarra: raccogliere plastica. Gli scarti del mondo. Fu la sua fortuna. In pochi anni, sfruttando la crisi petrolifera del 1973 ("In modo onesto, però", precisava), il giovane Ruggeri costruì un impero. "In vita mia non ho mai lavorato meno di 10 ore, all’inizio anche 12, spesso anche per 7 giorni la settimana - ripeteva -. Lotto per migliorarmi, mi piacciono le cose difficili".
Protagonista di tante battaglie: dalla violenza nel calcio ai diritti tv. Ansa
Protagonista di tante battaglie: dalla violenza nel calcio ai diritti tv. Ansa
DAL BASKET AL CALCIO — Amava le belle macchine, e se gli amici lo coinvolgevano in qualche iniziativa sportiva, non si tirava indietro. Prima dirigente del Celana basket, poi vicepresidente della Binova, squadra promossa in serie A1. Ma è con l’Atalanta che Ruggeri fece il grande salto. Nel 1977, a 33 anni, acquistò il 19 per cento delle azioni ed entrò in società come consigliere, al fianco della famiglia Bortolotti, vivendo dall’interno la storica semifinale di Coppa delle Coppe con il Malines. Se ne andò sbattendo la porta soltanto quando, con la tragica morte del presidente Cesare e poi quella del vecchio Achille, l’Atalanta finì nelle mani di Antonio Percassi, ex stopper atalantino e imprenditore di successo, con cui ha battagliato fino agli ultimi giorni di lucidità ("Se vuole fare lo stadio nuovo deve fare i conti con l’Atalanta, altrimenti ci manderà a pascolare le pecore").
ATALANTA, FOLLE AMORE — Dopo essere stato a un passo dall’acquisto del Verona, quando Percassi lasciò il club nerazzurro fu proprio Ruggeri a rilevare la sua quota (50 per cento), dividendo con Miro Radici la società e diventandone presidente, il 18° della storia. Era la primavera del 1994 e l’Atalanta, con il giovane Prandelli in panchina in sostituzione di un acerbo Guidolin, aveva già un piede e mezzo in B. Ruggeri prese il club in condizioni economiche precarie e lo fece tornare agli antichi splendori. Non senza fatica e qualche amarezza. Prima fra tutte, il complicato rapporto con gli ultrà. "Sono un branco di caproni", sparò dopo l’ennesima violenza. Una frase che gli costò anni di contestazione, con la strada di casa e mezza provincia tappezzate di adesivi con la scritta "Ruggeri vattene". Eppure, pur minacciandolo più volte, non se n’è andò mai per davvero. E fu la fortuna dell’Atalanta, che sotto la sua presidenza visse — spesso facendo onore al soprannome di "regina delle provinciali" - 9 campionati in Serie A e soltanto 5 in B, proprio nel periodo in cui sprofondavano squadre gloriose come Fiorentina e Napoli. Quella di Ruggeri è stata l’Atalanta di Pippo Inzaghi capocannoniere in A, del Vieri sulla rampa di lancio e quello da rigenerare, della banda Vavassori, del Doni mondiale, dei tanti successi delle formazioni giovanili, dei record di Mandorlini e Colantuono, del rilancio di Delneri.
QUANTE BATTAGLIE — Ruggeri fece in tempo a festeggiare il centenario dell’Atalanta. E per l’occasione scrisse: "I nostri cento anni, diciamolo sottovoce, sono un successo. Siamo un piccolo Davide in mezzo a tanti Golia. Abbiamo raccolto. Saremo provincialotti, fuori del tempo. Ma siamo le formichine di cento anni fa". Il calcio moderno non gli piaceva, e lo combatteva con la solita grinta. Dalla tutela dei vivai ai diritti televisivi, Ruggeri è stato sempre in prima linea, raccogliendo poco, a dire il vero. "Questo calcio è sempre peggio", diceva sconsolato. Contro i violenti l’ultima sua battaglia, dopo gli incidenti di Atalanta-Milan 2007 che fecero sprofondare Bergamo nel ridicolo. "Certa gente non la voglio più nel mio stadio", tuonò Ruggeri. Certa gente, purtroppo, torna sempre, e di un combattente come lui si sentirà tanto la mancanza.

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