martedì 29 luglio 2014

Rorty, Paulo Freire e Rubem Alves: convergenze nell’educazione

di Reuber Gerbassi Scofano

I pensatori brasiliani Paulo Freire e Rubem Alves hanno sviluppato nelle loro riflessioni sull’educazione concetti ed esperienze che si avvicinano molto all’idea di riderscrizione formulata da Richard Rorty. Freire ed Alves hanno creato, con il proprio stile e i propri referimenti, un nuovo modo di guardare e discutere il ruolo della scuola, del professore, dell’alunno, della comunità, della pratica educativa in generale.
Paulo Freire, basandosi sul pensiero dialettico relazionato al Cristianesimo, alla Fenomenologia e all’Esistenzialismo, ha ridescritto l’educazione creando neologismi e utilizzando metafore che hanno creato le basi per la costruzione di una pedagogia che si fonda sull’educazione come pratica della libertà.
Rubem Alves, da parte sua, ha ridescritto l’educazione a partire da un pensiero che si manifesta mediante immagini e che lui stesso ha provocatoriamente definito Pedagogia dell’Incoscientizzazione. La sua riflessione ricca di metafore, immagini e narrative ha fatto in modo che le sue idee sull’educazione aprissero un dialogo con i poeti, i monaci zen buddhisti e la letteratura: Rubem Alves mette in discussione il modello educativo brasiliano mediante la magia poetica della sua scrittura.

Paulo Freire, Rubem Alves e Rorty

Credo che sia importante riportare le relazioni riscontrabili tra il pensiero di Paulo Freire, Rubem Alves e di Richard Rorty: la prima che mi piacerebbe citare è la presenza dell’utopia, intensa nei testi di entrambi. Possiamo osservare nelle riflessioni di Freire ed Alves il confronto tra l’utopia e qualsiasi teoria che si considera o si pretenda detentora della verità, il che crea un tratto comune con Richard Rorty. Nei due filosofi brasiliani, così come nel filosofo nordamericano, emerge una visione deflazionata della verità che si rapporta direttamente alla posizione utopica con cui definiamo la realtà.
Paulo Freire e Rubem Alves sono deflazionisti come Rorty.
Le loro opere sono impregnate dei concetti di creazione e ricostruzione condivisi con la comunità e scorgo una corvengenza con Rorty anche nello sviluppo di una filosofia con laminuscola, che non ha nessuna pretesa di possedere la verità o un modello metafisico definito per spiegare la totalità.
Freire e Alves relativizzano il valore eccessivo che le società occidentali hanno dato al sapere scientifico. Per loro, la scienza è soltanto una delle tente narrative che l’uomo può utilizzare per comprendere il mondo che lo circonda e ha lo stesso peso di altre narrative come l’arte, la mitologia, la religione, il senso comune e la filosofia.
Giustizia e solidarietà possono essere considerati come due temi che pervadono le opere dei tre autori. Paulo Freire e Rubem Alves vengono da una formazione cristiana molto intensa: il primo si è formato nella tradizione cattolica e il secondo nella tradizione protestante. È importante registrare, però, che entrambi nel corso della loro vita, abbandonarono progressivamente il carattere istituzionale delle loro chiese e divennero militanti dell’ecumenismo, utilizzando nelle loro opere la figura dei profeti e dei poeti come creatori di mondi nuovi in contrapposizione ai sacerdoti e ai burocrati. Anche in quest’ambito si può intuire una convergenza con Rorty.
Paulo Freire e Rubem Alves parteciparono attivamente ad un movimento teologico chiamato Teologia della Liberazione che, tra le altre cose, difende una militanza Cristiana basata sulla lotta per la giustizia sociale. Rorty non ha mai nascosto l’apprezzamento per il Vangelo e per il Manifesto del Partito Comunista. Considera questi scritti come espressione della speranza che un giorno tratteremo le necessità di tutti gli esseri umani con rispetto e considerazione e afferma che tanto i genitori quanto i professori dovrebbero incoraggiare i giovani a leggere questi libri, perché certamente leggerli migliora.
Continuando con le analogie, la conversazione e il dialogo sono elementi ricorrenti nella filosofia di Paulo Freire e di Rubem Alves, cosi come nell’opera di Rorty. Penso anche alla fenomenologia di Martin Buber che è molto profonda nella formazione dei due educatori brasiliani, soprattutto nell’ opera Il principio dialogico.
Indubbiamente Alves, Freire, cosi come Rorty, si avvicinano più alla libertà che alla verità.
Non è un caso che uno dei classici di Paulo Freire si intitola L’educazione come Pratica della Libertà cosi come uno dei testi più importanti di Rubem Alves è La scuola che ho sempre sognato senza immaginare che potesse esistere, in cui il filosofo presenta l’esperienza educativa di una delle scuole più libere che il mondo abbia visto: la Scuola del Ponte in Portogallo.
Infine, vorrei sottolineare un altro aspetto in comune tra i tre autori: la ridescrizione.
Il concetto di ridescrizione ha un ruolo centrale nel pensiero filosofico di Richard Rorty.
Secondo Rorty la questione dell’autoconoscenza non si deve accontentare della semplice scoperta di quello che accade al nostro interno o nel mondo che ci circonda.
Al contrario, noi dobbiamo autocrearci e divenire persone diverse e migliori e questo vale anche per le nostre relazioni con in fenomeni sociali.
La giustizia sociale, per esempio, non si realizzerà soltanto conoscendo la vera essenza dell’uomo o dello Stato, ma realizzando una società più critica e creativa. Così avremo maggiori possibilità di inventare o reinventare le nostre relazioni.
Questa è la base del concetto di ridescrizione rortyano. Abbiamo bisogno di reinventarci e a partire da ciò, reinventare la società.
Si tratta di una nuova posizione della filosofia, perché nel corso della storia, essa si è preoccupata soltanto di cercare la verità, con l’intento di captare l’essenza delle cose come se fossero specchio della natura.
Per Rorty, anche le tendenze filosofiche più tradizionali, funzionaliste e metafisiche finivano col fare ridescrizioni perché utilizzavano risorse come le allegorie, le metafore utilizzate con il proposito di spiegare la propria teoria.
Quello che può fare il filosofo, invece di tentare di captare la verità delle cose, è appena descrivere e ridescrivere il fenomeno in questione senza nessuna pretesa di raggiungere un concetto definitivo. Il concetto non va oltre una metafora congelata. Questo accade perché non riusciamo a fuggire dal linguaggio e tantomeno dalla pelle in cui abitiamo. Noi possiamo riportare la nostra visione di un dato fenomeno e ridescriverla in un altro momento, tenendo in considerazione che sia potuto anche cambiare il nostro modo di vedere quel dato fenomeno.
John Dewey, filosofo americano del secolo XX che ha profondamente influenzato Rorty, chiamava questa posizione intellettuale risignificazione. Sviluppiamo ed appuriamo sempre nuovi e diversi sguardi sulla realtà e e su noi stessi.
A partire dall’influenza di Dewey, Rorty ha proposto di collocare la filosofia nel cammino della risignificazione che lui stesso chiamerà ridescrizione, assumendo come segno importante del suo pensiero l’abbandono delle pretesa di conquistare la verità e relativizzando uno scientificismo ancora molto presente nel nostro mondo.
Così come Rorty, Paulo Freire ridescrive vari aspetti della società contemporanea soprattutto nel campo della cultura e dell’educazione. Rubem Alves segue gli stessi passi, innovando l’elaborazione di un progetto ridescrittivo basato nelle opere dei poeti e nella filosofia Zen Buddhista.

Paulo Freire e la ridescrizione dell’educazione

Paulo Reglus Freire (1921-1997) è stato il più grande educatore brasiliano. Nato nella città di Recife (regione del Pernambuco), fu alfabetizzato dai suoi genitori nel cortile della sua casa.
Quest’esperienza ha segnato profondamente la sua treaiettoria, perché in tutta la sua vita ha cercato, mediante l’eseprienza educativa, di valorizzare la cultura locale dei suoi alunni mostrando che il professore appresnde insegnando e l’alunno insegna apprendendo.
A inizio degli anni Sessanta divenne famoso il suo metodo di alfabetizzazione con cui è riuscito ad ottenere i primi risultati dopo 40 ore.
Superò il metodo delle frasi precostituite che si usavano con i bambini e produsse materiale insieme agli alunni a partire dalle parole generatrici e dai temi generatori che emergevano nel quotidiano degli alfabetizzandi.
Per esempio, in una comunità di pescatori emergevano nel dialogo parole come mare, sabbia, barca, rete. Con queste parole vive e presenti nel quotidiano degli educandi, Freire riuscì a realizzare qualcosa di inedito nell’educazione brasiliana, che è diventata presto conosciuta in tutto il mondo.
Vale la pena evidenziare come Paulo Freire abbia innovato non soltanto nella lettura delle parole, ma anche in quella che lui stesso ha definito lettura del mondo.
Freire discuteva con gli alunni le condizioni di vita in cui stavano, creando possibilità perché gli educandi ridescrivessero le loro vite e, in questo modo, cambiassero la situazione di povertà e di miseria in cui vivevano. Tale ridescrizione allontanava la visione magica del mondo in cui l’educando si vedeva come qualcuno che soffre a causa di disegni divini e rendeva possibile una nuova visione in cui si percepisce come oppresso sfruttato dall’oppressore. Non si trattava di stimolo alla violenza, ma di una ridescrizione che li rendesse soggetti del proprio destino e con cui rompessero la relazione oppresso-oppressore, inventando nuove forme di relazioni umane.
Freire come filosofo dell’educazione, però, trascende anche l’alfabetizzazione degli adulti, il che già non è poca cosa, e avanza verso altre questioni da essere «ri-descritte».
Riflette sull’educazione in senso ampio, interrogandosi profondamente sul ruolo della scuola, del professore, della comunità e dell’alunno. Pensa all’educazione come ad una pratica culturale di libertà, di cittadinanza e di autonomia.
È stato un pensatore in continua tensione. Se molti hanno affermato erroneamente che fosse un pensatore esclusivamente dialettico, non possiamo dimenticare che nel suo lavoro troviamo, oltre al Marxismo, influenze di altre correnti: l’Esistenzialismo, la Fenomenologia, la Filosofia Cristiana.
Nella sua ultima opera, Pedagogia dell’Autonomia, possiamo contemplare le diverse matrici del suo pensiero.
Categorie cristiane come affettività, generosità, umiltà, tolleranza e speranza appaiono chiaramente nel testo. Emergono anche concetti esistenzialisti come libertà, coscienza dell’incompletezza, e la nozione dell’uomo come un essere condizionato, ma non determinato dall’ambiente sociale.
La fenomenologia appare in concetti cone disponibilità al dialogo, capacità di ascolto, accettazione del nuovo e rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione, curiosità.
Infine, anche le categorie dialettiche sono presenti nei concetti di coscientizzazione, criticità, e intervento nel mondo.
Come abbiamo osservato anteriormente, queste categorie sono in tensione e questo si esprime in altre opere. Ridescrive l’educazione già nei suoi primi scritti comeEducazione come Pratica della Libertà e Pedagogia degli Oppressi. La ridescrizione che il filosofo implementa, stabilisce un dialogo orizzontale affettivo ed effettivo tra professore e alunno.
Che cos’è il dialogo? È una relazione orizzontale di A con B. Nasce da una matrice critica e genera criticità (Jaspers). Si nutre di amore, di speranza, di fede, di fiducia. Per questo, solo il dialogo comunica. E quando i due poli del dialogo si legano così, con speranza, fiducia dell’uno nell’altro, si rendono critici nella ricerca dell’altro. Si installa, quindi, una relazione di simpatia tra loro. Solo in questo caso, c’è comunicazione. (Freire 2000, 115)
L’ atto educativo è ridescritto da Paulo Freire non più come attribuzione centrale del professore, cosi come proponeva la pedagogia tradizionale, e nemmeno un’attribuzione centrata nell’alunno, come ha proposto la Scuola Nuova, ma come qualcosa che esiste nella relazione tra loro. In Pedagogia dell’ Autonomia inventa un concetto, una metafora nel senso rortyano, che è la parola Dodiscência. In effetti l’educazione si realizza nell’incontro tra docente e discente.
L’alunno è rispettato nel suo mondo culturale. Per Freire, è colto perché è portatore di cultura.
Il filosofo si immerge nella cultura locale dell’alunno e crea insieme a lui una nuova lettura del mondo e della vita. Il professore freiriano coglie nel quotidiano dell’alunno elementi che serviranno per il processo di alfabetizzazione e coscientizzazione. Ridescrive la scuola quando si allontana da questa parola che, secondo lui, era segnata da pratiche di trasmissione e donazione di conoscenza e propone l’alternativa dei Circoli di Cultura. Pofessori ed alunni in un Circolo di Cultura non potrebbero mai mantenere la relazione che storicamente hanno avuto uno con l’altro e innaugurerebbero un’altra forma di educarsi. Il circolo freiriano facilita l’educazione mutua e comunitaria.
Freire ridescrive l’educazione creando anche i concetti di Educazione Bancaria e Educazione Liberatrice.
Nella visione bancaria dell’educazione, il sapere è un dono di coloro che si considerano sapienti a coloro che si considerano ignoranti. Dono che si fonda in una delle manifestazioni strumentali dell’ideologia dell’oppressione.: l’assolutizzazione dell’ignoranza che chiamiamo alienazione dell’ignoranza, secondo la quale essa si trova sempre nell’altro. (Freire 1987, 58)
L’Educazione Bancaria offre all’educando soltanto la possibilita di ricevere depositi, conservarli e archiviarli. In opposizione a questa pratica, Freire propone quella che lui stesso ha chiamato Educazione Liberatrice che si fonda sulla concezione che le conoscenze devono essere condivise tra due soggetti pensanti, nella ricerca di significati comuni. È scambio di saperi tra professore e alunno.
È comunicazione, dialogo, nella misua in cui non è trasferimento di saperi, ma un incontro tra soggetti interlocutori che cercano la resignificazione dei significati. (Freire 1992, 69)
La grande ridescrizione di Freire, a mio avviso, è stata mostrare che, come lui stesso ha scritto, «nessuno educa nessuno e che nessuno si educa da solo. Gli uomini si educano tra loro mediati dal mondo».

Rubem Alves e la ridescrizione poetica dell’educazione

Rubem Azevedo Alves, uno dei più grandi filosofi brasiliani, è nato nel 1933 nella Regione di Minas Gerais e ha avuto un’infanzia, così come quella di Paulo Freire, segnata dalla vita rurale e dalla sua esuberanza naturale.
La sua prima formazione è stata come Pastore della Chiesa Presbiteriana.
Poiché era un Pastore molto impegnato politicamente fuggì due volte dal Brasile a causa delle persecuzioni politiche al tempo della dittatura militare del 1964.
Nelle due volte che lasciò il Paese è andato negli Stati Uniti dove ha fatto i suoi studi di Dottorato. Nel periodo trascorso in questo Paese, Rubem Alves fu influenzato dal movimento della Controcultura in particolare attraverso poeti che risvegliarono una relazione viscerale con questo genere letterario. Un altro incontro significativo è stato con lo Zen Buddhista che successivamente sarà utile alla sua ridescrizione dell’educazione.
Tornato in Brasile Rubem Alves sviluppa un lavoro che risulterà per diversi aspetti significativo nella pratica educativa.
Si rende sempre più chiara l’opzione del filosofo di sviluppare un pensiero espresso da immagini basate sull’uso dei racconti, delle narrazioni, delle favole e delle metafore che Rorty ha considerato come tendenza predominante dopo la sua svolta linguistica.
>Ispirato dai monaci buddhisti zen, ha cercato, attraverso le loro narrazioni, di sorprendere i lettori mettendoli nelle condizioni di ripensaremlle loro visioni del mondo e, quindi, le loro pratiche.
Nelle storie dello Zen, quando qualcuno si avvicinava ai monaci e gli faceva una domanda, riceveva una risposta che poteva sconcertare e causare uno squilibrio. Il discorso che provoca un disorientamento si chiama Koan. Questo disagio porta l’individuo a ridare significato alle sue idee: è il Satori o illuminazione. Questo è esattamente ciò che Ruben Alves intende fare attraverso le cronache che hanno come nucleo l’educazione brasiliana ed è esattamente questo che ha fatto a partire dagli anni 80 nella sua prima grande opera sull’educazione intitolata Estórias de quem gosta de ensinar (1995)1.
In questa opera Alves scrive racconti geniali come Il Sorteggio in cui con ironia propone che, invece dei test di accesso all’università si facessero sorteggi. Questo, oltre ad essere meno ingiusto, svincolerebbe le scuole dall’unica necessità di preparare gli alunni per l’esame di ingresso all’università e valorizzerebbe nella scuola altre narrative che non sono scientifiche. Tra queste, ci sono le arti in generale, i giochi, la ricerca libera e tanti altri aspetti inutilizzatti perché non fanno parte dei test di accesso.
Nei testi di Alves le metafore sono ricorrenti. Possono far ridere e riflettere. Ad esempio, la metafora della scuola «gabbia» che ingabbia gli alunni com le sue «sbarre curriculari», le sue «discipline», i suoi «esami» sono utilizzate da molti educatori per criticare il nostro sistema scolastico.
In contrapposizione alla «scuola gabbia» il filosofo ha proposto «la scuola che dá le ali agli alunni» che dá spazio alla creatività, all’utilizzo dell’immaginazione e faccia ricerca su temi che siano di loro interesse e che abbiano senso per le loro vite.
Un’altra metafora conascrata da Alves è quella che vede la nostra scuola come un luogo dove si realizza la storia di Pinocchio al contrario. Se nel racconto di Carlo Collodi, Pinocchio è un burattino di legno che si trasforma in carne ed ossa, nell’educazione brasiliana, secondo Alves, accade il contrario: i nostri bambini, i nostri Pinocchi vanno a scuola con i loro sogni, l’allegria, i desideri, le emozioni che sono disprezzati perché le istituzioni di insegnamento li trasformano in burattini.
Un’altra metafora che avvicina Alves tanto al Pragmatismo di Dewey quanto al neo-pragmatismo di Rorty è quello delle scatole. Secondo Alves, ognuno di noi porta con sé due scatole: una di strumenti, l’altra di giochi.
Già ho riassunto la mia teoria sull’educazione dicendo che il corpo porta due scatole. Una è la «scatola degli strumenti» dove si trovano tutti i saperi strumentali, che ci aiutano a fare le cose. Questi saperi ci danno i mezzi per vivere.
Ma c’è anche una scatola di «giochi».
I giochi non sono strumenti. Non servono a niente.
Giochiamo perché giocare ci piace. È in questa scatola che troviamo la poesia, la letteratura, la pittura, i giochi amorosi, la contemplazione della natura. Questi saperi che non servono a niente, ci danno la ragione di vivere.
La «scatola degli strumenti» conserva molti libri: manuali, elenchi telefonici, libri di scienza. Nella «scatola dei giochi» ci sono i libri di letteratura e di poesia che devono essere letti per il piacere che ci danno. Obbligare un bambino o un adolescente a leggere un libro che non gli piace può dare soltanto un risultato: sviluppare l’odio per la letteratura.
È quello che succede con i ragazzi che, preparandosi per i test di accesso all’università, sono costretti a leggere i riassunti. La ricetta per distruggere il piacere della lettura è mettere un test alla fine per valutare quello che hai imparato. O chiedere che si faccia una scheda del libro letto (Alves 2008, 61).
Per Alves l’apprendimento è quello che resta dopo che la dimenticanza fa la sua parte. La metafora che utilizza per illustare questa situazione è che la nostra memoria funziona come uno scolapaste: dimentichiamo tante informazioni e conoscenze inutili che riceviamo durante la vita.
Il professore deve essere un «erotizzatore» del sapere, un professionista dello «spavento», presentando curiosità e meraviglie per creare il desiderio di apprendere da parte dell’alunno.
Deve essere il primo ad avere piacere a stare nel campo della conoscenza che insegna e provocare negli alunni lo stesso desiderio che lui ha per quell’assunto.
Sono molte le metafore e i neologismi nella sua opera. La cosa interessante è che esse provocano una risignificazione, hanno a che fare con i nostri valori e ci destabilizzano.
Credo che questo lo avvicini a Rorty quando il filosofo nordamericano indica la letteratura e la sua narrativa come elento fondamentale che ci stimola a fare ridescrizioni del nostro mondo.
Concludendo, ci tengo a ricordare che le opere di Paulo Freire e Rubem Alves hanno provocato un educatore portoghese, il professor José Pacheco, a creare un’esperienza educativa inedita: la Scuola del Ponte.
Rubem Alves è stato il primo a divulgarla in Brasile con il libro: A escola com que sempre sonhei sem imaginar que pudesse existir (2001).
La Scuola del Ponte non ha aule, non ha lezioni, non ha classi, non ha materie, non ha orari, non ha la campanella, non ha interrogazioni, non ha registri.
Durante sette anni (che corrispondono alla scuola di base), includendo un periodo di alfabetizzazione abbastanza qualificato, gli alunni scelgono ogni 15 giorni i temi su cui vogliono fare ricerca. Loro stessi si raggruppano non in base all’età, ma all’interesse comune. Tutti i giorni, arrivando a scuola, mostrano quello che programmano di fare con le proprie ricerche al professore che li orienta. Alla fine della giornata, presentano quello che sono riusciti a fare. La solidarietà è il fondamento centrale di questa scuola. Si apprende nella solidarietà.
La Scuola del Ponte sta ottenendo um grande successo non soltanto per la felicità degli alunni che stanno nello spazio scolastico e nella vita, ma anche per il loro inserimento nella società.
La domanda che mi pongo e che estendo anche ai lettori di questo articolo è: cosa penserebbe Rorty di questa scuola?
Bibliografia
Alves R. (2008), Crônicas: Educação, Nosso Cultura, Curitiba.
Alves R. (2001), A Escola com que sempre sonhei sem imaginar que pudesse existir, Papirus, Campinas.
Alves R. (1995), Estórias de quem gosta de ensinar, Ars etica/Speculum, São Paulo.
Freire P. (2000), Educação como prática de liberdade, Paz e Terra, Rio de Janeiro.
Freire P. (1996), Pedagogia da Autonomia, Paz e Terra, Rio de Janeiro.
Freire P. (1992), Extensão ou comunicação?, Paz e Terra, Rio de Janeiro.
Freire P. (1987), Pedagogia do oprimido, Paz e Terra, Rio de Janeiro.

Note

1 Possibile traduzione: Racconti di chi ama insegnare.


http://educazionedemocratica.org/?p=1275

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