di Paolo Becchi
Nella puntata di ieri sera di Servizio Pubblico, Santoro ha lasciato alla Signora Bindi la replica al mio breve intervento, nel corso del quale, rispondendo ad una giornalista, avevo ribadito la mia ipotesi di una prorogatio di fatto del Governo dimissionario, ma ancora attualmente in carica per il disbrigo degli affari correnti.
Non voglio ritornare, qui, a spiegare nuovamente la mia ipotesi, sebbene le critiche che ha suscitato abbiano finito per confondere, anziché chiarire, i meccanismi costituzionali che possono sostenere una situazione di "prorogatio" del Governo dimissionario (mi limito, qui, a rinviare all’articolo apparso su Byoblu, Un Parlamento senza Governo). Vorrei, invece, soffermarmi sulla replica affidata alla Signora Bindi, che mi ha accusato di non conoscere la Costituzione ed il Diritto Costituzionale e che ha sostenuto che il Parlamento non avrebbe alcuna autonomia se non affiancato da un Governo in carica, legato ad esso da un voto di fiducia. Secondo la Bindi, in altri termini, con il Governo attuale in prorogatio il Parlamento non potrebbe in alcun modo legiferare.
Ora, io non so quali articoli della Costituzione la Signora Bindi abbia letto, ma direi che, tra i due, non sono io ad aver bisogno di un corso accelerato di Diritto Costituzionale. Cerchiamo di capirci, testi alla mano.
- E’ ovvio che la crisi di Governo, o le sue dimissioni, implicano l’arresto, alla Camera, di tutte le attività legislative che siano legate o dipendano da iniziative riservate all’Esecutivo o, comunque, dalla necessità di un suo intervento. Ciò non significa, tuttavia, che il Parlamento non abbia, per tutte le altre materie, piena potestà legislativa: la maggior parte delle leggi di cui attualmente si discute, in altre parole, possono essere proposte, votate ed approvate direttamente dalle Camere, senza che sia necessario l’intervento del Governo. Dov’è scritto, Signora Bindi, che la riforma della legge elettorale, per esempio, non possa essere fatta dal Parlamento in completa ed assoluta autonomia? Costituzione alla mano: art. 70, “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”; art. 72, “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale”; art. 73: “Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione”. Dov’è il Governo? Dov’è la mancanza di autonomia da parte delle Camere? Non sarebbe, del resto, cosa alquanto strana che in una forma di governo parlamentare il Parlamento non potesse legiferare se non attraverso l’intervento di un Governo legato ad esso da un rapporto di fiducia? Forse la Signora Bindi si confonde: nel nostro ordinamento costituzionale, il Governo non può fare a meno del Parlamento, ma non viceversa.
- La Signora Bindi ha anche farfugliato qualcosa in merito al fatto che, senza un Governo forte della fiducia, le leggi del Parlamento non potrebbero essere approvate (o promulgate, non è dato capire), perché non potrebbero far fronte alle spese ed agli oneri eventualmente derivanti dalla loro applicazione. Ammetto di non capire il ragionamento. La Costituzione (art. 81), prevede che in ogni legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte. Ciò significa che, al di fuori dei casi di cui all’art.77 (decreto-legge), è il Parlamento che, in quanto istituzionalmente preposto all’esercizio dell’attività legislativa, si deve fare carico delle conseguenze finanziarie delle sue leggi (così Corte Cost, n. 226/1976). È chiaro che occorre procedere, in questi casi, ad una preventiva quantificazione degli oneri finanziari ed all’individuazione dei relativi mezzi di copertura, mediante una procedura che richiede che il Governo presenti una relazione tecnica sul punto. Chi ha detto, tuttavia, che al Governo in prorogatio tale attività sarebbe preclusa? Se la proposta di legge è di provenienza parlamentare, il Governo si limiterebbe a svolgere un’attività tecnica di supporto che non ha nulla a che vedere con i suoi poteri di indirizzo politico, ma che avrebbe natura meramente amministrativa. Le valutazioni tecniche non eccedono l’ordinaria amministrazione, soprattutto nei casi in cui ad esse non corrisponda alcuna decisione politica da parte del Governo.
- Ripeto, infine, che la nozione di “ordinaria amministrazione” del Governo in prorogatio è rimasta sempre incerta ed indefinita. Per questa ragione, si è instaurata la prassi governativa di emanare, nei casi di Governi dimissionari, “circolari” contenenti, di volta in volta, elenco e tipi di attività e poteri che devono considerarsi rientrare nel disbrigo degli “affari correnti”. Così avvenne con Amato, con Prodi, etc. Se le forze politiche intendessero realmente assumersi la “responsabilità” tanto invocata dal Pd, potrebbero concordare con la Presidenza del Consiglio una definizione delle attività di “ordinaria amministrazione” di competenza dell’attuale Governo dimissionario che consentano quel minimo coordinamento necessario al fine di assicurare al Parlamento la possibilità di approvare quelle leggi ritenute necessarie nell’arco dei prossimi 3-4 mesi.
Aggiungo, infine, una riflessione. La Signora Bindi non ha, in realtà, argomentato in alcun modo le sue tesi: si è limitata a giudicare la mia ipotesi destituita di fondamento, in quanto asseritamente “incompatibile” con il testo costituzionale.Temo che, dietro questa sua replica, ci sia in realtà una ragione politica.
Il Pd continua a ripetere, ossessivamente, che il prossimo Governo dovrebbe anzitutto provvedere alla riforma della legge elettorale (Porcellum), la quale avrebbe portato all’ingovernabilità. Al contempo, però, sostiene che, con il Governo dimissionario attuale in prorogatio, questa riforma non potrebbe, a norma della Costituzione, essere approvata dal Parlamento. Il che è, come si è detto,palesemente falso. La domanda, allora, è la seguente: non sarà forse che il Pd non ha alcuna intenzione di modificare la legge elettorale in questa situazione politica, perché, se si andasse alle urne nei prossimi mesi con una legge “maggioritaria”, che assicuri la “governabilità”, al Governo rischierebbe di finirci il MoVimento 5 Stelle? Ed allora si fa questo gioco: si dice che priorità del Pd è riformare la legge elettorale, ma che l’unico modo per fare questo è che il Parlamento voti la fiducia ad un Governo Bersani.
Tutto ciò, dal punto di vista costituzionale, è falso, lo ripeto ancora. Il Parlamento può riunirsi ed approvare una modifica dell’attuale legge elettorale, senza bisogno di alcun nuovo Governo. Non lasciamoci ingannare. Se davvero si volesse a tutti i costi eliminare il Porcellum, si potrebbe fare in un’ora. Se davvero si dicesse “dobbiamo essere responsabili, la priorità è non tornare a votare con questa legge elettorale”, allora si potrebbe arrivare ad un primo compromesso: far rivivere, con un semplice tratto di penna, la precedente legge, il Mattarellum, che certamente assicurava la governabilità, pur non essendo la legge elettorale “ideale”. Non sono certo il primo a dirlo e sostenerlo, ma è evidente che basterebbero pochi minuti, basterebbe che il Parlamento approvasse una legge di un solo articolo che dica: l’attuale legge elettorale è abrogata. Rivive la precedente.
Tutte le complicazioni, i se…, i ma… del Partito Democratico sono scuse, niente altro, manovre di tattica politica. Un solo articolo di legge, ed avremmo eliminato il problema.
Il Pd continua a ripetere, ossessivamente, che il prossimo Governo dovrebbe anzitutto provvedere alla riforma della legge elettorale (Porcellum), la quale avrebbe portato all’ingovernabilità. Al contempo, però, sostiene che, con il Governo dimissionario attuale in prorogatio, questa riforma non potrebbe, a norma della Costituzione, essere approvata dal Parlamento. Il che è, come si è detto,palesemente falso. La domanda, allora, è la seguente: non sarà forse che il Pd non ha alcuna intenzione di modificare la legge elettorale in questa situazione politica, perché, se si andasse alle urne nei prossimi mesi con una legge “maggioritaria”, che assicuri la “governabilità”, al Governo rischierebbe di finirci il MoVimento 5 Stelle? Ed allora si fa questo gioco: si dice che priorità del Pd è riformare la legge elettorale, ma che l’unico modo per fare questo è che il Parlamento voti la fiducia ad un Governo Bersani.
Tutto ciò, dal punto di vista costituzionale, è falso, lo ripeto ancora. Il Parlamento può riunirsi ed approvare una modifica dell’attuale legge elettorale, senza bisogno di alcun nuovo Governo. Non lasciamoci ingannare. Se davvero si volesse a tutti i costi eliminare il Porcellum, si potrebbe fare in un’ora. Se davvero si dicesse “dobbiamo essere responsabili, la priorità è non tornare a votare con questa legge elettorale”, allora si potrebbe arrivare ad un primo compromesso: far rivivere, con un semplice tratto di penna, la precedente legge, il Mattarellum, che certamente assicurava la governabilità, pur non essendo la legge elettorale “ideale”. Non sono certo il primo a dirlo e sostenerlo, ma è evidente che basterebbero pochi minuti, basterebbe che il Parlamento approvasse una legge di un solo articolo che dica: l’attuale legge elettorale è abrogata. Rivive la precedente.
Tutte le complicazioni, i se…, i ma… del Partito Democratico sono scuse, niente altro, manovre di tattica politica. Un solo articolo di legge, ed avremmo eliminato il problema.
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