Anna Lombroso per il Simplicissimus
Scrittori e poeti, anche tramite il tavolino a tre gambe, dovrebbero denunciare certi abusi, a cominciare da Pound, naturalmente, passando per Calvino, a causa dell’improprio sfruttamento della sua leggerezza per attribuire dignità a futilità, aereo distacco schizzinoso e per non dire dell’abitudine, della quale Repubblica è stata l’organo ufficiale, di trattare con sussiegosa pensosità argomenti frivoli e con incorporea e vacua superficialità temi seri e gravi.
Per non parlare di Primo Levi. Il suo “se non ora quando” – motto mutuato, appunto con spericolata leggerezza, da signore che, più che dell’attitudine all’illegalità e dell’indole ai crimini contro la democrazia dell’allora premier, più che del potere di persuasione esercitato grazie a interessi considerati non sufficientemente conflittuali, condannavano il suo esuberante comportamento sessista – conclude un appello di intellettuali rivolto al Movimenti 5Stelle.
“Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento, una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa”. Comincia così l’implorazione a salvarci, visto che non c’ è riuscito uno di loro, peraltro molto vezzeggiato e blandito, e sottoscritta dalla, casualmente, figlia di un padre dell’Europa, Altiero Spinelli, dal fratello di Padoa Schioppa, quello che sosteneva che i veri europei devono essere estasiati dal pagare le tasse, ancorchè inique, e che solo perché è morto non magnifica la bellezza del fiscal compact, da Bodei che delega ad altri più dinamici e operosi la bellezza rivoluzionaria della collera, e da altri soliti noti coattivi a ripetere firme per tutte le cause e tutte le stagioni.
Non vale nemmeno la pena di scomodare Gramsci sugli usignoli degli imperatori, né tantomeno Eco su intellettuali organici e apocalittici – che solo casualmente non avrà sottoscritto anche lui, distratto dalla consueta lettura di Kant – il nuovo “se non ora quando”, ridotto a “è sempre l’ora dei pavesini”.
E infatti, puntuali come pavesini, irriducibilmente pronti a qualsiasi equilibrismo, a qualsiasi evoluzione – che si sa il loro motto è che cambiare opinione è prova evidente di illuminata intelligenza, i fanatici della vertigine da firma pur di dimostrare la loro esistenza in vita e convincersi di contare ancora, si producono in una spericolata e sfrontata esibizione di camaleontica volubilità, quella volgarmente indicata come “voltagabbanismo” anche dalla loro adulata società civile.
Senza vergogna e senza pudore volteggiano dalla condizione beata di affiliati a una elite privilegiata, di esponenti influenti di un ceto dirigente separato, di festosi complici di politiche di discriminazione e disuguaglianze, di profeti di sistemi moderni, globali, futuristi nel senso di rendere perenni anche nel domani perverse e aberranti disuguaglianze, a quella di innocenti e virtuosi figurine testimonial della “gente” di quel popolo frustrato, ma integro, offeso, ma risoluto a ritrovare la dignità.
Eh si, scrivono: “non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa”. E ancora “sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda”.
Catapultati dalla luna come Pappafredda, dopo essersi tanti esposti proprio per quella strategia anti-crescita, per quel pensiero unico, proprio per quella espressione geografica, anzi finanziaria, chiamata Europa, proprio per quell’attaccamento irremovibile allo statu quo, proprio per quella incrollabile fiducia in un modello economico e sociale insostituibile, inesorabile, inevitabile, sembrano essere stati folgorati dall’ipotesi di una democrazia reale che si sostituisce a una democrazia formale. Della quale, in una dissennata e spudorata pretesa di innocenza, declinano ogni responsabilità, anche per quell’indole propria degli “intellettuali” italiani a rimetterla la responsabilità, a delegarla a altri, siano cerchie amiche di tecnici, siano ammalianti Masaniello, siano vendicativi Robespierre dai quali si augurano di essere risparmiati.
L’importante è avere ancora spazio e diritto di parola, quella che appunto è stata tolta via via a milioni di elettori, che evidentemente non aspettavano altro che trovare un canale di sfogo, per esprimere la propria voglia di farla finita con l’esistente, “renitenti alle urne”, che ora hanno superato i 13 milioni di persone, più di un quarto dell’elettorato, che sommati ai voti del Movimento 5 Stelle, sono più del 50% degli italiani, a conferma che almeno la metà del corpo elettorale italiano sta fuori dallo spazio politico “ufficiale”. Nega, silenziosamente o in modo partecipato, la propria adesione a “quella” politica che è la loro.
La storia si avvita su se stessa, dietro a certi fenomeni si vorrebbe intuire una magistrale regia, capace di ridisegnare la mappa del consenso con astuzia mefistofelica, un’ammirevole radicamento popolare, una “forza politica” manipolatrice: è successo pochi anni fa con la Lega salutata come costola della sinistra, sindacalismo territoriale, innovativa espressione di critica a istituzioni e processi arcaici.
Mentre più semplicemente qui c’è la forza delle cose, un processo selvaggio che ha usato la breccia aperta da Grillo con la sua espressività radicale per bucare l’involucro di emarginazione dalle decisioni in cui era stato compresso. E quell’appello conferma che a fronteggiare questo fenomeno si tirano fori i vecchi trucchi, le improbabili assi, i governi di salute pubblica, pur di rinviare gli ineluttabili appuntamenti con una rinegoziazione dei capestri europei, una riforma elettorale, lo scardinamento dell’impalcatura di misure oscene in materia di lavoro e sistema previdenziale.
Però c’è da sospettare che una breccia l’abbiano fatta: Grillo coi sei firmatari ci dialoga, pur deridendoli. E dire che mai come questa volta sarebbero stati più adatti i suoi due capisaldi: siete morti! E Vaffanculo!
http://www.tzetze.it/2013/03/les-griffes-dei-voltagabbana.html
Scrittori e poeti, anche tramite il tavolino a tre gambe, dovrebbero denunciare certi abusi, a cominciare da Pound, naturalmente, passando per Calvino, a causa dell’improprio sfruttamento della sua leggerezza per attribuire dignità a futilità, aereo distacco schizzinoso e per non dire dell’abitudine, della quale Repubblica è stata l’organo ufficiale, di trattare con sussiegosa pensosità argomenti frivoli e con incorporea e vacua superficialità temi seri e gravi.
Per non parlare di Primo Levi. Il suo “se non ora quando” – motto mutuato, appunto con spericolata leggerezza, da signore che, più che dell’attitudine all’illegalità e dell’indole ai crimini contro la democrazia dell’allora premier, più che del potere di persuasione esercitato grazie a interessi considerati non sufficientemente conflittuali, condannavano il suo esuberante comportamento sessista – conclude un appello di intellettuali rivolto al Movimenti 5Stelle.
“Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento, una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa”. Comincia così l’implorazione a salvarci, visto che non c’ è riuscito uno di loro, peraltro molto vezzeggiato e blandito, e sottoscritta dalla, casualmente, figlia di un padre dell’Europa, Altiero Spinelli, dal fratello di Padoa Schioppa, quello che sosteneva che i veri europei devono essere estasiati dal pagare le tasse, ancorchè inique, e che solo perché è morto non magnifica la bellezza del fiscal compact, da Bodei che delega ad altri più dinamici e operosi la bellezza rivoluzionaria della collera, e da altri soliti noti coattivi a ripetere firme per tutte le cause e tutte le stagioni.
Non vale nemmeno la pena di scomodare Gramsci sugli usignoli degli imperatori, né tantomeno Eco su intellettuali organici e apocalittici – che solo casualmente non avrà sottoscritto anche lui, distratto dalla consueta lettura di Kant – il nuovo “se non ora quando”, ridotto a “è sempre l’ora dei pavesini”.
E infatti, puntuali come pavesini, irriducibilmente pronti a qualsiasi equilibrismo, a qualsiasi evoluzione – che si sa il loro motto è che cambiare opinione è prova evidente di illuminata intelligenza, i fanatici della vertigine da firma pur di dimostrare la loro esistenza in vita e convincersi di contare ancora, si producono in una spericolata e sfrontata esibizione di camaleontica volubilità, quella volgarmente indicata come “voltagabbanismo” anche dalla loro adulata società civile.
Senza vergogna e senza pudore volteggiano dalla condizione beata di affiliati a una elite privilegiata, di esponenti influenti di un ceto dirigente separato, di festosi complici di politiche di discriminazione e disuguaglianze, di profeti di sistemi moderni, globali, futuristi nel senso di rendere perenni anche nel domani perverse e aberranti disuguaglianze, a quella di innocenti e virtuosi figurine testimonial della “gente” di quel popolo frustrato, ma integro, offeso, ma risoluto a ritrovare la dignità.
Eh si, scrivono: “non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa”. E ancora “sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda”.
Catapultati dalla luna come Pappafredda, dopo essersi tanti esposti proprio per quella strategia anti-crescita, per quel pensiero unico, proprio per quella espressione geografica, anzi finanziaria, chiamata Europa, proprio per quell’attaccamento irremovibile allo statu quo, proprio per quella incrollabile fiducia in un modello economico e sociale insostituibile, inesorabile, inevitabile, sembrano essere stati folgorati dall’ipotesi di una democrazia reale che si sostituisce a una democrazia formale. Della quale, in una dissennata e spudorata pretesa di innocenza, declinano ogni responsabilità, anche per quell’indole propria degli “intellettuali” italiani a rimetterla la responsabilità, a delegarla a altri, siano cerchie amiche di tecnici, siano ammalianti Masaniello, siano vendicativi Robespierre dai quali si augurano di essere risparmiati.
L’importante è avere ancora spazio e diritto di parola, quella che appunto è stata tolta via via a milioni di elettori, che evidentemente non aspettavano altro che trovare un canale di sfogo, per esprimere la propria voglia di farla finita con l’esistente, “renitenti alle urne”, che ora hanno superato i 13 milioni di persone, più di un quarto dell’elettorato, che sommati ai voti del Movimento 5 Stelle, sono più del 50% degli italiani, a conferma che almeno la metà del corpo elettorale italiano sta fuori dallo spazio politico “ufficiale”. Nega, silenziosamente o in modo partecipato, la propria adesione a “quella” politica che è la loro.
La storia si avvita su se stessa, dietro a certi fenomeni si vorrebbe intuire una magistrale regia, capace di ridisegnare la mappa del consenso con astuzia mefistofelica, un’ammirevole radicamento popolare, una “forza politica” manipolatrice: è successo pochi anni fa con la Lega salutata come costola della sinistra, sindacalismo territoriale, innovativa espressione di critica a istituzioni e processi arcaici.
Mentre più semplicemente qui c’è la forza delle cose, un processo selvaggio che ha usato la breccia aperta da Grillo con la sua espressività radicale per bucare l’involucro di emarginazione dalle decisioni in cui era stato compresso. E quell’appello conferma che a fronteggiare questo fenomeno si tirano fori i vecchi trucchi, le improbabili assi, i governi di salute pubblica, pur di rinviare gli ineluttabili appuntamenti con una rinegoziazione dei capestri europei, una riforma elettorale, lo scardinamento dell’impalcatura di misure oscene in materia di lavoro e sistema previdenziale.
Però c’è da sospettare che una breccia l’abbiano fatta: Grillo coi sei firmatari ci dialoga, pur deridendoli. E dire che mai come questa volta sarebbero stati più adatti i suoi due capisaldi: siete morti! E Vaffanculo!
http://www.tzetze.it/2013/03/les-griffes-dei-voltagabbana.html
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