5212 condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti.
EROI! ... e li chiamarono briganti. |
Ma perché scoppiarono queste rivolte nel ex Regno delle Due Sicilie?
Per tanti fattori. In primis l'invasione piemontese portò ad un'unità alla quale partecipò attivamente meno del 2% della popolazione meridionale, traendone un qualche beneficio personale. Tutto il resto le masse, i contadini quelli più poveri ma anche quelli più ricchi ed anche il clero, furono esclusi da questo processo "unitario" e si ritrovarono alla porta un esercito invasore che iniziò da un giorno all'altro ad imporre tasse, leggi e costumi che andavano contro l'interesse popolare. In brevissimo tempo tra il 1860 ed il 1861 le campagne meridionali si impoverirono terribilmente, dalle 4 tasse borboniche si passò a circa 14 tasse piemontesi, la terra fu anche in parte sottratta al popolo e riaffidata secondo criteri piemontesi. Nel frattempo ex-militari borbonici una volta tornati ai propri paesi iniziarono a riorganizzarsi per tentare di cacciare l'invasore. Le prime sollevazioni hanno luogo in Basilicata e in Calabria.
L’occupazione delle aree la cui proprietà è contestata e la rivendicazione violenta degli usi civici soppressi assumono presto un significato politico. Le insorgenze sono particolarmente efficaci anche nelle province contigue alla zona di operazioni dell’esercito di Francesco II, dove reparti composti da soldati regolari e da volontari, guidati dal colonnello franco-tedesco, barone Teodoro Klitsche de La Grange, operano in funzione di appoggio e di coordinamento delle iniziative spontanee, restaurando le municipalità borboniche e insidiando le spalle e i fianchi delle formazioni nemiche. La tenace resistenza garibaldina sul fiume Volturno e l’invasione dello Stato pontificio e del regno delle Due Sicilie da parte dell’esercito sabaudo, in spregio delle piú elementari norme di diritto internazionale, pongono fine alla prima fase delle operazioni difensive, caratterizzate da una certa unità di azione e di comando. Tuttavia, lo scoppio di una diffusa "reazione" in occasione del plebiscito del 21 ottobre, con il quale gli invasori cercano di legittimare la loro presenza, dà prova della vitalità della resistenza. Nei primi mesi del 1861, quando le ultime piazzeforti borboniche, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arrendono dopo un’eroica quanto sconosciuta resistenza, l’opposizione armata ha radici ben salde nel regno. La popolazione rurale, chiamata alle armi dal suono di rustici corni o dalle campane a stormo, rovescia i comitati insurrezionali, innalza la bandiera con i gigli e restaura i legittimi poteri.
La spietata repressione operata dagli unitari, con esecuzioni sommarie e arresti in massa, fa affluire nelle bande, che i nativi denominano masse, migliaia di uomini: soldati della disciolta armata reale, coscritti che rifiutano di militare sotto un’altra bandiera, prigionieri di guerra incautamente rimessi in libertà dall’occupante, pastori, braccianti e montanari. Costoro, che combattono contro l’imposizione di una visione del mondo estranea alle proprie tradizioni civili e religiose, furono bollati per sempre come briganti.
Nella primavera del 1861 la reazione divampa in tutto il regno. Il controllo del territorio da parte degli unitari è sempre piú precario e diventa concreta l’ipotesi di un collegamento di tutte le formazioni della resistenza, dalla Puglia, alla frontiera pontificia, con uno schieramento che abbia al centro la valle dell’Ofanto, fra l’Irpinia e la Basilicata. Le formazioni più agguerrite, dotate anche di reparti di cavalleria, operano in Lucania, nella Capitanata e in Terra di Bari, condotte rispettivamente da Carmine Donatelli, detto Crocco, da Michele Caruso e dal Sergente Pasquale Romano.
A Napoli, l’ex-capitale travagliata da una grave crisi economica, agisce la propaganda dell’agguerrito comitato borbonico della città, che riesce a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia. Nel mese di aprile è sventata una cospirazione anti-unitaria e sono arrestate oltre seicento persone, fra cui 466 ufficiali e soldati dell’esercito napoletano. In agosto è inviato a Napoli, con poteri eccezionali, il generale sabaudo Enrico Cialdini, che innanzitutto costituisce un fronte unito contro la "reazione", arruolando i militi del disciolto esercito garibaldino e perseguitando il clero e i nobili legittimisti, che sono costretti a emigrare, lasciando la resistenza senza una guida politica. In una seconda fase, Enrico Cialdini ordina una serie di eccidi e di rappresaglie nei confronti della popolazione insorta, che rappresentano una pagina tragica e fosca nella storia dello Stato unitario. In questo modo impedisce una sollevazione generale, ristabilisce in parte le comunicazioni e conserva il controllo dei centri abitati, decretando il saccheggio e la distruzione di quelli ribelli. Le forze militari impegnate nella repressione, costituite in quel periodo da circa ventiduemila uomini, raggiungono le cinquantamila unità nel mese di dicembre; nell'inverno 1862-1863 assommeranno a centocinquemila uomini, cioè i due quinti delle forze armate italiane del tempo. Il presidente del consiglio, Bettino Ricasoli, preoccupato per le ripercussioni all'estero della sanguinosa repressione, lancia una vigorosa offensiva diplomatica, volta a negare il carattere politico del brigantaggio. Nell'agosto del 1863, il Parlamento approva la legge Pica, detta cosí dal nome del proponente, che istituzionalizza la repressione.
Con il sistema generalizzato degli arresti in massa e delle esecuzioni sommarie, con la distruzione di casolari e di masserie, con il divieto di portare viveri e bestiame fuori dai paesi, con la persecuzione indiscriminata dei civili, si vuole colpire "nel mucchio", per disgregare con il terrore una resistenza che riannodava continuamente le fila. Per la prima volta viene introdotto nel diritto pubblico italiano l’istituto del domicilio coatto, sul modello delle deportazioni bonapartistiche, che risulta particolarmente odioso per la sua arbitrarietà. La moltiplicazione dei premi e delle taglie crea una "industria" della delazione, che è una ulteriore macchia indelebile nella repressione e ispira amare riflessioni sulla proclamata volontà moralizzatrice dei governi unitari nei confronti delle popolazioni meridionali. L’offensiva contro il grande brigantaggio si articola in quattro fasi serrate, dall’autunno del 1863 all’autunno del 1864, al termine delle quali le grandi bande a cavallo sono distrutte e i migliori comandanti sono uccisi o imprigionati. Nonostante la sanguinosa repressione, la lotta armata conserva in numerose province il carattere policentrico e la virulenza dei primi anni; anzi, fra il 1866 e il 1868, mostra una generale recrudescenza. Nel gennaio 1870, il governo italiano sopprime le zone militari nelle province meridionali, sancendo cosí la fine ufficiale del brigantaggio. La resistenza non è ancora terminata, ma è venuto meno qualsiasi carattere di azione collettiva, si è affievolito l’appoggio popolare e la guerriglia degenera spesso in banditismo.
Quando le bellicose energie sono esaurite, la secessione si manifesta piú pacificamente, ma non meno drammaticamente, nella grandiosa emigrazione transoceanica della nazione "napoletana", che coinvolse alcuni milioni di persone. L’esercito sabaudo non riuscí per lungo tempo a venire a capo della ostinata guerriglia condotta da un numero inferiore ed estremamente fluttuante di armati, ma la proclamazione dello stato d’assedio, la legislazione eccezionale, le atrocità, le stragi indiscriminate, il terrore, il tradimento prezzolato stroncarono la volontà di resistenza della popolazione.
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863.
L’occupazione delle aree la cui proprietà è contestata e la rivendicazione violenta degli usi civici soppressi assumono presto un significato politico. Le insorgenze sono particolarmente efficaci anche nelle province contigue alla zona di operazioni dell’esercito di Francesco II, dove reparti composti da soldati regolari e da volontari, guidati dal colonnello franco-tedesco, barone Teodoro Klitsche de La Grange, operano in funzione di appoggio e di coordinamento delle iniziative spontanee, restaurando le municipalità borboniche e insidiando le spalle e i fianchi delle formazioni nemiche. La tenace resistenza garibaldina sul fiume Volturno e l’invasione dello Stato pontificio e del regno delle Due Sicilie da parte dell’esercito sabaudo, in spregio delle piú elementari norme di diritto internazionale, pongono fine alla prima fase delle operazioni difensive, caratterizzate da una certa unità di azione e di comando. Tuttavia, lo scoppio di una diffusa "reazione" in occasione del plebiscito del 21 ottobre, con il quale gli invasori cercano di legittimare la loro presenza, dà prova della vitalità della resistenza. Nei primi mesi del 1861, quando le ultime piazzeforti borboniche, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arrendono dopo un’eroica quanto sconosciuta resistenza, l’opposizione armata ha radici ben salde nel regno. La popolazione rurale, chiamata alle armi dal suono di rustici corni o dalle campane a stormo, rovescia i comitati insurrezionali, innalza la bandiera con i gigli e restaura i legittimi poteri.
La spietata repressione operata dagli unitari, con esecuzioni sommarie e arresti in massa, fa affluire nelle bande, che i nativi denominano masse, migliaia di uomini: soldati della disciolta armata reale, coscritti che rifiutano di militare sotto un’altra bandiera, prigionieri di guerra incautamente rimessi in libertà dall’occupante, pastori, braccianti e montanari. Costoro, che combattono contro l’imposizione di una visione del mondo estranea alle proprie tradizioni civili e religiose, furono bollati per sempre come briganti.
Nella primavera del 1861 la reazione divampa in tutto il regno. Il controllo del territorio da parte degli unitari è sempre piú precario e diventa concreta l’ipotesi di un collegamento di tutte le formazioni della resistenza, dalla Puglia, alla frontiera pontificia, con uno schieramento che abbia al centro la valle dell’Ofanto, fra l’Irpinia e la Basilicata. Le formazioni più agguerrite, dotate anche di reparti di cavalleria, operano in Lucania, nella Capitanata e in Terra di Bari, condotte rispettivamente da Carmine Donatelli, detto Crocco, da Michele Caruso e dal Sergente Pasquale Romano.
A Napoli, l’ex-capitale travagliata da una grave crisi economica, agisce la propaganda dell’agguerrito comitato borbonico della città, che riesce a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia. Nel mese di aprile è sventata una cospirazione anti-unitaria e sono arrestate oltre seicento persone, fra cui 466 ufficiali e soldati dell’esercito napoletano. In agosto è inviato a Napoli, con poteri eccezionali, il generale sabaudo Enrico Cialdini, che innanzitutto costituisce un fronte unito contro la "reazione", arruolando i militi del disciolto esercito garibaldino e perseguitando il clero e i nobili legittimisti, che sono costretti a emigrare, lasciando la resistenza senza una guida politica. In una seconda fase, Enrico Cialdini ordina una serie di eccidi e di rappresaglie nei confronti della popolazione insorta, che rappresentano una pagina tragica e fosca nella storia dello Stato unitario. In questo modo impedisce una sollevazione generale, ristabilisce in parte le comunicazioni e conserva il controllo dei centri abitati, decretando il saccheggio e la distruzione di quelli ribelli. Le forze militari impegnate nella repressione, costituite in quel periodo da circa ventiduemila uomini, raggiungono le cinquantamila unità nel mese di dicembre; nell'inverno 1862-1863 assommeranno a centocinquemila uomini, cioè i due quinti delle forze armate italiane del tempo. Il presidente del consiglio, Bettino Ricasoli, preoccupato per le ripercussioni all'estero della sanguinosa repressione, lancia una vigorosa offensiva diplomatica, volta a negare il carattere politico del brigantaggio. Nell'agosto del 1863, il Parlamento approva la legge Pica, detta cosí dal nome del proponente, che istituzionalizza la repressione.
Con il sistema generalizzato degli arresti in massa e delle esecuzioni sommarie, con la distruzione di casolari e di masserie, con il divieto di portare viveri e bestiame fuori dai paesi, con la persecuzione indiscriminata dei civili, si vuole colpire "nel mucchio", per disgregare con il terrore una resistenza che riannodava continuamente le fila. Per la prima volta viene introdotto nel diritto pubblico italiano l’istituto del domicilio coatto, sul modello delle deportazioni bonapartistiche, che risulta particolarmente odioso per la sua arbitrarietà. La moltiplicazione dei premi e delle taglie crea una "industria" della delazione, che è una ulteriore macchia indelebile nella repressione e ispira amare riflessioni sulla proclamata volontà moralizzatrice dei governi unitari nei confronti delle popolazioni meridionali. L’offensiva contro il grande brigantaggio si articola in quattro fasi serrate, dall’autunno del 1863 all’autunno del 1864, al termine delle quali le grandi bande a cavallo sono distrutte e i migliori comandanti sono uccisi o imprigionati. Nonostante la sanguinosa repressione, la lotta armata conserva in numerose province il carattere policentrico e la virulenza dei primi anni; anzi, fra il 1866 e il 1868, mostra una generale recrudescenza. Nel gennaio 1870, il governo italiano sopprime le zone militari nelle province meridionali, sancendo cosí la fine ufficiale del brigantaggio. La resistenza non è ancora terminata, ma è venuto meno qualsiasi carattere di azione collettiva, si è affievolito l’appoggio popolare e la guerriglia degenera spesso in banditismo.
Quando le bellicose energie sono esaurite, la secessione si manifesta piú pacificamente, ma non meno drammaticamente, nella grandiosa emigrazione transoceanica della nazione "napoletana", che coinvolse alcuni milioni di persone. L’esercito sabaudo non riuscí per lungo tempo a venire a capo della ostinata guerriglia condotta da un numero inferiore ed estremamente fluttuante di armati, ma la proclamazione dello stato d’assedio, la legislazione eccezionale, le atrocità, le stragi indiscriminate, il terrore, il tradimento prezzolato stroncarono la volontà di resistenza della popolazione.
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863.
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