giovedì 25 ottobre 2012

Pentimento di paternità


Ci troviamo a scrivere dopo aver letto tutti i giornali riportare l’orrore della centesima donna assassinata dall’inizio dell’anno. Si chiamava Carmela, aveva diciassette anni, ha tentato di difendere la sorella dall’assalto dell’ennesimo femminicida incapace di reagire all’abbandono. Disperati gli amici, i parenti, soprattutto i genitori. Ci troviamo a scrivere, anche, nei giorni immediatamente successivi alla morte di Lino, giustiziato con un diluvio di pallottole per uno scambio di persona nelle terre di nessuno della camorra. Disperati la fidanzata, gli amici, i parenti, soprattutto i genitori. Si dice che sopravvivere a un figlio sia condanna che nessuno merita. Si dice sia dolore che nessuna medicina possa guarire.
Eppure ci troviamo a scrivere dopo che il Tribunale civile di Roma ha risposto picche a un padre che la figlia voleva perderla, cancellarla, fingere che non fosse mai esistita. Non un uomo violento, non una persona mancante degli strumenti culturali per gestire un conflitto interiore. Di sicuro non un assassino, anche se il tentativo che ha fatto era a tutti gli effetti peggiore del brandire un coltello o una pistola. Il professor Giulio Maira, medico del Papa e neurochirurgo di fama mondiale (fu lui a salvare Lamberto Sposini dalla devastante emorragia cerebrale che lo ha colpito) voleva la morte civile della figlia Francesca.
Francesca e Giulio Maira
I fatti. Maira in gioventù sposò una donna già incinta di un altro uomo. Ne era a conoscenza e, considerato che la vicenda risale agli anni ’60, probabilmente Maira si sentiva molto innamorato e molto generoso per questa decisione. Nacque Francesca e fu figlia amatissima che seguì la professione paterna e donò al professore la gioia di essere nonno. Ma il matrimonio di Maira, nel 2006, cessò di essere supportato dall’amore e, a quel punto, il professor Giulio decise di ripudiare, insieme alla moglie non più amata, anche la figlia. Dichiarò che Francesca non era sangue del suo sangue. Ammise di aver detto il falso riconoscendola come propria. Si chiama disconoscimento della paternità. Ma il giudice Massimo Crescenzi, in dieci pagine di sentenza, ha deciso che chi sia “autore del riconoscimento effettuato in mala fede non è legittimato ad impugnarlo successivamente per difetto di veridicità”. E quello che Francesca ha vissuto sulla propria pelle come un tentativo di annullare la sua persona è fallito.
Il padre pentito e la figlia ripudiata non si vedono da sei anni e Francesca non ha alcuna intenzione di incontrarlo di nuovo. Restano però in piedi le conseguenze del gesto perché, da quella paternità oggi rifiutata, sono sorti documenti e certificazioni ormai irrimediabilmente falsi. Le vie legali saranno ancora lunghe e dolorose. Ma mai quanto la consapevolezza di una figlia che vede cancellati 40 anni di sentimenti, di affetti, di condivisioni perché un padre, anche se docente universitario, non è in grado di gestire la fine di un amore.
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Autore: Laura Costantini (48 Posts)
Giornalista RAI: realizzo interviste e servizi per le trasmissioni "La vita in diretta" e "Domenica in - così è la vita" Scrittrice: Scrivo romanzi e racconti insieme a Loredana Falcone. A oggi ne abbiamo pubblicati 7 con varie case editrici. Scrivere ti salva la vita. I social network, alle volte, te la rovinano. E comunque, faccio amicizia solo con chi si presenta. Bene.

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