sabato 18 gennaio 2025

IL TESTIMONE

 



Quando ero ragazzino, durante l’estate, per non gravare economicamente sui miei genitori, lavoravo nei campi. Nel luglio del 1998 avevo diciotto anni e un piccolo proprietario terriero, Antonio, una persona davvero gentile, mi propose un lavoro.


“Domani mattina, alle quattro, fatti trovare al bivio della strada vecchia. Passerà un’auto a prenderti con altri ragazzi che lavorano per me” mi disse.


Alle 3:50 ero già lì. Non mi è mai piaciuto far aspettare gli altri. L'aria era calda e il silenzio avvolgeva il mio piccolo paesino in provincia di Taranto. Nemmeno un minuto dopo il mio arrivo, una vecchia auto scura si fermò di fronte a me. Dentro c’erano tre ragazzi. Uno al volante e due seduti dietro.


Salii accanto al guidatore. “Buongiorno” dissi con un sorriso.


Nessuno rispose.


Fin da subito, l'atmosfera mi parve strana. I ragazzi avevano occhi sgranati e un sorriso inquietante, con le labbra strette e immobili. Senza degnarmi di uno sguardo, fissavano la strada con una concentrazione disarmante.


Provai a rompere quel silenzio glaciale. “Comunque, mi chiamo Michele.”


Nessuna risposta. Sembrava che non mi sentissero.


Il silenzio in macchina diventava sempre più pesante, finché il mio vecchio telefonino, un Telital Galileo, squillò. Sul display comparve il nome di Antonio.


“Michele, ma dove sei? Sono le 4:10 e i ragazzi ti stanno aspettando al bivio da dieci minuti.”


Sentii il sangue gelarsi. “Ah...tutto bene, ti richiamo appena arrivo” balbettai, chiudendo la chiamata e facendo finta di nulla.


Rimasi immobile, paralizzato da una domanda che mi martellava in testa. Se i ragazzi mi stavano aspettando al bivio, chi diavolo erano quelli in macchina con me?


Guardai il conducente. La sua espressione non era cambiata. Occhi fissi sulla strada e sorriso bloccato. Sentivo il cuore battere all’impazzata. Dovevo uscire dalla macchina.


“Scusa, puoi fermarti? Non mi sento bene, devo vomitare” dissi con voce tremante.


Nessuna reazione. L'auto continuava a procedere sulla strada buia e deserta. Quei tre non si muovevano, non parlavano, non mi guardavano e non mi ascoltavano. 


Dopo qualche minuto, nei pressi di una curva vicino a un tendone di uva, i tre ragazzi all’improvviso lanciarono un urlo agghiacciante, inumano, che mi fece sobbalzare dal sedile. L’auto sbandò e uscì fuori strada, ma, stranamente, non ci fu alcuno schianto. 


Inspiegabilmente, mi ritrovai in piedi, da solo, nel mezzo della strada deserta. L’auto era scomparsa e i tre ragazzi si trovavano davanti al tendone, ognuno con una candela accesa in mano. 


Lentamente li vidi incamminarsi nel tendone, ma, prima di scomparire nell’oscurità, si voltarono e, ridendo, con i volti pallidi illuminati dalla luce tremolante delle candele, mi salutarono alzando la mano.


Spaventato, mentre mi guardavo intorno in cerca di qualche segno di vita, notai qualcosa al bordo della strada. Era una lapide commemorativa. Avvicinandomi con il cuore in gola, vidi tre foto incastonate sulla lapide. Erano i volti dei tre ragazzi con cui ero stato in macchina. 


In preda al terrore, scappai il più lontano possibile da quel luogo.


Il giorno dopo, chiesi informazioni e fu proprio Antonio a fornirmele. “Erano tre fratelli” mi disse. “Vent'anni fa, sono morti in un incidente stradale proprio lì, mentre andavano a lavorare. Nel punto in cui sei salito in macchina erano soliti prelevare un loro amico, che quel giorno non si presentò al lavoro, salvandosi.”


Rimasi in silenzio, cercando di elaborare ciò che avevo vissuto. Antonio continuava a parlare, ma le sue parole si confondevano con il brusio dei miei pensieri. Ero lì, dinanzi a lui, con lo sguardo perso nel vuoto.


E capii. Capii che quei ragazzi, ogni santa mattina, tornavano a rivivere quel giorno, fermandosi ad aspettare l’amico che non si era presentato, per poi continuare il tragitto. Ma non rivivevano solo la loro tragedia. Volevano che qualcuno, chiunque, fosse testimone della loro storia. Insomma, volevano essere ricordati.


Quella notte mi insegnò che la vita è fragile, sospesa su un filo sottile tra il caso e il destino. Quei ragazzi, nella loro silenziosa inquietudine, mi lasciarono una lezione. Il passato non muore mai. Ci segue, si annida nei luoghi, nelle persone, nei ricordi. E talvolta ritorna per ricordarci che anche ciò che pensiamo sepolto continua a vivere in modi che non possiamo comprendere.


E ancora oggi, quando passo accanto a una strada deserta o vedo una vecchia lapide, non posso fare a meno di chiedermi: "Quante storie sono state dimenticate? E quante altre attendono solo un testimone che possa dar loro voce?”.


by Brivido

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