giovedì 7 marzo 2024

Antico Oriente

 


Mario Liverani è tra i maggiori archeologi italiani, ha diretto scavi archeologici in tutto il Medio e vicino Oriente. È professore emerito di storia antica alla Sapienza di Roma ed accademico dei Lincei. 


“Se paragonata al resto del Vicino Oriente antico, la cultura israelitica di età pre-esilica si segnala per povertà di attestazioni. Non solo le grandi culture dell'Egitto e della Mesopotamia, ma anche il resto della fascia siro-palestinese, hanno restituito all'indagine archeologica resti più clamorosi e più espliciti di quelli d'Israele. Eppure la Palestina è stata oggetto di capillare ricerca archeologica assai più intensamente di ogni altra regione del Vicino Oriente e forse del mondo. Se si dovesse ricostruire la storia politica e culturale d'Israele sulla base di questi ritrovamenti se ne avrebbe un quadro estremamente povero e sommario. La ragione fondamentale sta nella effettiva povertà della zona, marginale in ogni senso (ecologicamente, politicamente), con fenomeni insediativi, politici, culturali di dimensione ridotta, rispetto alle aree vicine, particolarmente nell'età del ferro. (…)

Quanto la Palestina è stata archeologicamente avara di testi scritti e di monumenti ufficiali, altrettanto notevole (ancora in opposizione al resto del Vicino Oriente antico) è per converso la presenza di quel corpus letterario tramandato, che è l'Antico Testamento: del quale è evidente il valore per la ricostruzione non solo della storia religiosa ma anche della storia politica e istituzionale d'Israele, ed infine e soprattutto della sua storia letteraria. Trattandosi di una raccolta di testi molto disparati e «stratificati», con interventi testuali plurimi, e con una notevole distanza tra episodi narrati ed epoca del narratore, due strategie sono concepibili. La prima strategia è quella di cedere alla facile tentazione di utilizzare i dati storici (storico-politici, storico-istituzionali, storico-culturali) contenuti nei libri dell'Antico Testamento per ricostruire le epoche cui si riferiscono. Usare dunque il libro della Genesi per ricostruire l'epoca «patriarcale», il libro di Giosuè per ricostruire l'epoca della conquista, il libro dei Giudici per ricostruire l'epoca omonima, e così via. La seconda strategia è quella di usare i vari testi per ricostruire l'epoca in cui furono scritti e i problemi che indussero a scriverli. Questa seconda strategia è di più difficile applicazione, perché richiede di riassegnare i singoli testi, e anzi i singoli interventi testuali, a precise epoche e precise problematiche, lavorando per linee interne; ma è l'unico procedimento corretto, mentre la prima strategia, troppo spesso applicata, presuppone una attendibilità che sarebbe tutta da dimostrare e che è per lo più poco plausibile. (…)

Fu la vicenda dell'aggressione imperiale, della deportazione e dell'esilio, e poi del ritorno e della rifondazione nazionale a fungere da stimolo per gran parte della letteratura ebraica antica. Le tre tappe principali furono: dapprima il grosso dibattito sulle strategie politiche locali, sulla sorte degli Stati vicini, sulla funzione stessa degli imperi; poi (nell'esilio) la ricezione di apporti babilonesi (e forse anche iranici) nel campo della storiografia, della sapienza, nella novellistica, nella produzione cultuale; infine la grande opera di riscrittura del passato in funzione del progetto politico incentrato sul secondo tempio. Prima di queste tre fasi importanti ma congiunturali, quel che ci resta della letteratura ebraica antica non si discosta di molto da quel che possiamo intravedere delle coeve letterature vicino-orientali in genere e siro-palestinesi in specie. L'originalità letteraria d'Israele (come quella religiosa) è tutto sommato il risultato della sua vicenda finale, di disgregazione politica e di nascita del Giudaismo - e la trasmissione di un patrimonio più antico è fenomeno da ridimensionare come prevalentemente illusorio."

Mario Liverani, Antico Oriente

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