domenica 24 marzo 2024

Joe Calzaghe

 


"I pugili non capiscono mai quando è il momento di andarsene. Non possono abbandonare l'euforia e l'adorazione che circonda l'essere campioni"


Dieci anni di regno, 21 difese consecutive, il primo ad unificare le cinture dei supermedi, dominando come nessun altro nella storia, diventando poi anche campione tra i mediomassimi. 46 match, 46 vittorie, di cui 32 per Ko. Questo è stato, è ancora oggi per tutti Joe Calzaghe. Strana storia quella della famiglia Calzaghe, il nonno Giuseppe aveva servito nella 12^ divisione di fanteria Sassari durante la Guerra, aveva lasciato l'isola per un'altra isola, quella della Regina Vittoria e del Big Ben. Ma il richiamo era stato troppo forte, era tornato a casa, il figlio Enzo invece si era barcamenato tra mille lavori, infine aveva cominciato a girare per l'Europa come musicista di strada, aveva visitato i parenti a Londra. Lì aveva conosciuto Jackie, si eran sposati, erano tornati in Sardegna ma per poco, lei rimpiangeva Londra, facevano due lavori a testa. Una coppia di sgobboni. Joe appena nato era stato portato ancora una volta nella piccola isola del Mediterraneo, ed ancora una volta Jackie aveva convinto Enzo a tornare nella terra di Albione, ma non più a Londra: Markham, poi Newbridge, nel Sud del Galles. Da una terra di draghi ad un'altra. Fato, destino, chiamatelo come volete.


Dei sardi questo pugile ha sempre avuto caparbietà, resistenza, il non prendere sé stesso sul serio ma ciò che faceva, l'essere diverso dagli altri. Dei gallesi l'essere auto-ironico, aperto, onesto, senza frizzi e lazzi, orgoglioso, un pò matto. Due popoli amanti del mare, chiusi in una loro dimensione, antica, atavica, immutabile. Da lì, da lì è venuto fuori quello che è considerato (record e analisi alla mano) il più forte supermedio di ogni tempo. Un pugile mancino dalla velocità assurda, dal gioco di gambe sensazionale, usate però non per tenere distante l'avversario, ma per aggredirlo, per andare all'arrembaggio di una vittoria che non gli è mai sfuggita. Da ragazzino a scuola Joe viene deriso, bullizzato, viene picchiato da quelli più grandi, ininterrottamente. Ancora oggi ammette che è un trauma dal quale non si è più ripreso. Non prende manco il diploma. Ma nella boxe trova la sua strada. Da dilettante chiude con un record di 112-10. Poi decide di passare al professionismo. Il resto, come si suol dire, è storia.


Vince il titolo Britannico dei supermedi a 23 anni, poi arriva il match contro Chris Eubank, il sofisticato, elegante gladiatore d'ebano dalla parlata affettata, a 31 anni è l'avversario da superare per il titolo WBO. Chris è un pugile astuto, potente, dalla mascella d'acciaio, che è venuto fuori da guerre incredibili, è amato, è odiato, è la Diva di sua Maestà. Joe è più giovane, è più veloce. Pronti via Eubank carica, solo per trovarsi atterrato da un sinistro di Joe. Si alza, gli sorride, annuisce, “bravo ragazzo” pare dire “ok ci sai fare”. Il resto del match è dominato da Joe, partito molto sfavorito, vince nettamente ai punti, è il nuovo Campione del Mondo. Quella sera nasce un uomo nuovo, nasce "The Italian Dragoon". Difende la cintura contro chiunque, quando va bene arrivano alla fine e perdono ai punti. Sennò finiscono a terra, stritolati dal ritmo forsennato di questo pugile capace di colpire e sparire, chirurgico, senza pause. 


Batte gente del calibro di Robin Reid, Richie Woodhall, ma negli USA di lui non ne vogliono sapere. Lo evitano come la peste. Frank Warren il suo grande manager, glielo spiega:  “Sei mancino, sei bianco, sei di un paese che manco sanno dov'è. E sei bravo. Non ti chiameranno mai”.  Alla fine è la Montagna che va da Maometto, la montagna si chiama #JeffLacy, ed è considerato il futuro della boxe americana. Un picchiatore fenomenale, uno che farà strada dicono dagli States, ha un gancio sinistro da sballo, è disposto a venire a Manchester per far capire ai Tommies che quel gallese non vale niente. La performance con cui Joe annichilisce in diretta tv le speranze statunitensi è ancora oggi da antologia. “Non vale un cazzo” dice Joe al padre Enzo dopo il 1° round.  L'arbitro viene addirittura criticato per non aver fermato il match, Lacy non sarà più lo stesso, carriera bruciata.


Ma dalla terra dei vichinghi giunge uno sfidante vero, un ragazzo pieno di talento, deciso a prendersi le sue cinture: Mikkel Kessler.

Incontro bestiale. Joe soffre la forza, la potenza, il ritmo di Kessler, perde le prime riprese, è sull'orlo dell'abisso, ma si tira fuori, prende il ritmo al danese che è costretto a rifiatare, si misura in una battaglia senza esclusione di colpi che lo vede infine vincente ai punti contro Kessler, che diventerà il suo migliore amico. Pare che sia destinato ad un destino da esule della boxe a stelle e strisce, invece il combattimento con Kessler ha esaltato i promoter americani, Joe attira l'attenzione. Bernard "The Alien" Hopkins è più vecchio, ma che pare aver fatto un patto col diavolo, pare andare indietro nel tempo, ha demolito Antonio "Magic Man" Tarver e anche Winky Wright.


Hopkins è un fuoriclasse, un pugile difficilissimo, tecnico, furbo, mani pesanti, un guerriero dal carattere di merda, dalla lingua ben poco nobile. Sfotte Joe, cerca di metterlo sotto psicologicamente, non sa che sta motivando quel ragazzino di 12 anni a cui gridavano in coro maccaroni di merda a scuola. Poi la sparata: “Non lascerò mai che un ragazzo bianco mi batta”. Razzismo, quello del mondo al contrario della boxe. I migliori pugili storicamente sono neri, messicani o portoricani. I bianchi? Non valgono un cazzo, sono soffici, non vengono dal ghetto, non hanno la potenza dei neri, non hanno la fame dei neri. Sembra quasi essere vero, nel 1° round Calzaghe viene atterrato, solo due altre volte era finito a terra, ma stavolta sembra essere davvero in salita per lui. Bernard lo inquadra sempre col destro, lega, sporca l'incontro, ma mano a mano che si va avanti, Joe gli prende il tempo, lo centra, lo stanca. Bernard cerca di fare casino, di legare, conta sull'effetto casa, ma viene centrato come mai prima di allora in un match. Ma non frega due giudici, che lo danno dietro 116 a 111 e 115 a 112. 


La famigerata Adalaide Byrd, protagonista di verdetti da manicomio nella boxe come nella UFC è la sola a vederlo vincente. Poi arriva la ciliegina sulla torta, il match con l'ex Diva della boxe mondiale, con Roy Jones Jr. Un match che sarebbe dovuto arrivare molto tempo prima, Joe ha 36 anni, Roy quasi 40 e si illude per un atterramento ai danni del sardo-gallese nel 1° Round. Poi però arriva la tempesta perfetta, arriva la più grande umiliazione della sua carriera, viene sballottato da una parte all'altra del ring, ennesima prova di un ritiro che non abbraccerà fino all'anno scorso, sottoponendosi a umiliazioni terribili, lui che posso tranquillamente affermare ai bei tempi avrebbe battuto Joe. Ma quel match, quell'ultimo match prima del ritiro, è la prova anche della disciplina, dell'indomito valore quotidiano di un pugile a lungo bistrattato, sottovalutato e sottostimato, solo perché poco reclamizzato, poco “venduto” oltre Oceano, dove ancora oggi spacciano gente mediocre per fenomeni.


Lui, Joe Calzaghe, l'orgoglio del Galles, un fenomeno lo è stato davvero. Unico, inimitabile, concreto, spettacolare ma mai narcisista, quanto piuttosto orgoglioso, fiero di essere chi era. Per diverso tempo dopo il ritiro ha lottato contro la depressione, contro l'alcolismo e l'abuso di droga, a causa della morte del padre Enzo, il suo faro, la sua guida. Oggi fa il commentatore, ha la sua palestra, ha ritrovato la sua dimensione. Ma pare solo ieri che portava sul ring un mix strano tra spettacolarità ed efficacia, tra tradizione ed innovazione. Sottovalutati lo siamo tutti spesso, ma questo non vuol dire che bisogna credere che sia la verità. Joe l'ha sempre saputo.


Sono 52 oggi. Tanti Auguri Joe.

Il dragone italiano.

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