QUEL FURBETTO DI BERNESCHI - NELLA PRIMAVERA DEL 2013 IN CARIGE ERA TUTTO PRONTO PER CREARE UN SISTEMA DI SPIATE ANONIME INTERNE IN MODO DA POTER DENUNCIARE FRODI, TRUFFE E TUTTE LE VIOLAZIONI NORMATIVE
La piattaforma informatica era stata voluta dagli ispettori della banca genovese, ma dopo mesi di negoziati e' arrivato il no dell'ex presidente, poi finito in galera (ora ai domiciliari) - Una mossa grazie alla quale l’istituto, poi preso a schiaffi dalla Banca d’Italia, sarebbe stato all’avanguardia nel panorama bancario del Paese…
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Era tutto pronto: nella primavera del 2013 banca Carige stava per dotarsi di un sofisticato meccanismo di anticorruzione interna. Un articolato sistema volto a prevenire frodi oltre che violazioni delle leggi e, di fatto, volto ad assicurare il rispetto di tutte le procedure previste anche dalle autorità di vigilanza, sia italiane sia europee. Insomma: basta furbetti.
Una mossa grazie alla quale l’istituto, poi preso a schiaffi dalla Banca d’Italia e successivamente messo sotto inchiesta da parte della magistratura genovese, sarebbe stato all’avanguardia nel panorama bancario del Paese. Del resto, Bankitalia non ha ancora reso obbligatori certi «presidi», visto che ha rimandato la faccenda al recepimento in Italia di una direttiva Ue e alla riforma del testo unico bancario.
Sta di fatto che dopo mesi di confronto interno, il progetto avviato da Carige, affidato alle cure di una società di consulenza specializzata, è clamorosamente naufragato. E lo stop, secondo quanto Libero è in grado di ricostruire, sarebbe riconducibile all’inatteso «no» dell’ex presidente Giovanni Berneschi, arrestato alcune settimane fa e dal 30 giugno tornato ai domiciliari.
Fonti ben informate raccontano che all’inizio dello scorso anno, i dirigenti Carige avviarono dunque un progetto per creare la piattaforma «whistleblowing», termine inglese che letteralmente vuol dire «fischiare il fischietto», ma che può essere tradotto con «gola profonda». Si tratta, nel dettaglio, di una applicazione informatica che consente ai dipendenti di un ente pubblico o di una società privata di sporgere «denunce anonime» per truffe, frodi, corruzioni e per qualunque irregolarità normativa.
Gli approfondimenti dentro Carige sono andati avanti per mesi, da gennaio a maggio 2013, e hanno interessato vari livelli della dirigenza. Tant’è che il dossier, al quartier generale di Genova, è stato avvistato su parecchie scrivanie: da quella del capo dell’ispettorato interno, Mauro Tirasso, fino a quella dello stesso Berneschi, che partecipò anche ad alcune riunioni nel corso delle quali furono mostrate delle demo del sistema, cioè delle simulazioni complete, a partire dalla soffiata anonimia fino ad arrivare alle reazioni e alle successive contromisure del top management.
Ai piani alti dell’istituto c’era, apparentemente, un ampio apprezzamento al punto che era stato immaginato di allargare l’iniziativa anche a Carige Assicurazioni, il ramo «polizze» del gruppo. Ma all’improvviso, come accennato, è stato misteriosamente tirato il freno a mano. Le ragioni non sono note e sarebbe azzardato collegare l’affossamento del whistleblowing alle ispezioni di Bankitalia che hanno poi innescato l’indagine della Procura.
Certo, a leggere quel che i piemme hanno scoperto, puntando il dito contro Berneschi (indagato per truffa, falso in bilancio e aggiotaggio), il sospetto che denunce anomine non fossero gradite è forte. Da settembre, comunque, la banca ( ieri chiuso l’aumento di capitale da 800 milioni di euro con adessioni al 99,9%) è in mano al presidente Cesare Castelbarco che sta cercando di rivoltarla come un calzino. Pochi giorni fa ha assegnato la direzione crediti a Gabriele Delmonte, per rimpiazzare Mario Cavanna, iscritto nel registro degli indagati. Tuttavia, il percorso di cambiamento è complesso e per fare definitivamente pulizia in Carige potrebbe tornare d’attualità proprio il progetto sulle soffiate anonime.
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