venerdì 15 marzo 2013

Perchè bisogna difendere il diritto contro l’abuso giudiziario


 “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”.
Il celebre incipit kafkiano ci ricorda che nella storia europea le insidie più pericolose alla libertà individuale non sono soltanto quelle portate dal Potere Esecutivo nei confronti dei suoi oppositori politici, ma anche quelle commesse dall’esercizio arbitrario del potere giudiziario.

Questa verità ha costituito un elemento fondamentale dei settori culturali e politici più attenti al contenimento garantistico dei Poteri dello Stato, visto come il presupposto per il più pieno svolgimento della persona umana.
Essa ha anche costituito la ragione di alcune tra le più importanti battaglie civili, tra cui, nella nostra epoca, il caso Tortora.
Eppure oggi questa verità sembra essere stata accantonata, soprattutto nell’attuale PD, che ancora oggi non riesce a sciogliersi dal suo debito morale di riconoscenza verso la magistratura inquirente, cui deve le sue fortune politiche nella Seconda Repubblica.
È indubbio che questo atteggiamento di acritica accettazione di ogni ipotesi accusatoria, fatte salve le consuete formule di rito che rinviano all’accertamento processuale, sia in gran parte dovuto alla profonda deformazione del prisma berlusconiano, il quale ormai induce a prendere partito preso a prescindere.
Infatti, i suoi detrattori sono convinti della sua colpevolezza, al punto che sono disposti a tollerare qualsiasi forzatura procedurale, purché sia fatta finalmente giustizia, cioè sia definitivamente condannato e detenuto, i suoi sostenitori hanno una fede incrollabile sulla sua innocenza, che li predispone a negare anche l’evidenza dei fatti e a ricercare qualsiasi cavillo per tirarla alla lunga.
Ma il rischio delle interferenze sulla vita democratica per l’esercizio approssimativamente arbitrario dei poteri inquisitori è concreto e reale e esula dalla vicenda berlusconiana.
Per evidenziare la concretezza di questo pericolo, però, non parleremo di nessuna delle inchieste che vedono coinvolto Berlusconi, proprio per sottrarsi alle inevitabili letture strumentali. Parleremo, invece, di un altro caso giudiziario, quello che ha visto coinvolto Ottaviano Del Turco.
Come è noto, l’allora Presidente della Regione Abruzzo fu tratto in arresto e detenuto in custodia cautelare per sei mesi con la grave accusa di concussione nei confronti di un imprenditore della Sanità privata locale. Fu, ovviamente, costretto a dimettersi dalla sua carica istituzionale, determinando elezioni regionali anticipate che videro vincere a man bassa, sull’onda dello scandalo, il centro destra.
Singolarmente, Del Turco venne emarginato come un lebbroso dal suo partito (PD), ad eccezione di qualche suo esponente (Peppino Caldarola). D’altronde, forse non valeva la pena schierarsi per difendere un socialista, che per definizione è un ladro, soprattutto di fronte ad una procura che sembrava arcisicura della colpevolezza di Del Turco, tanto da mandare in galera un Presidente di regione in carica, con tanto di conferenza stampa, nella quale si sbandierava ai quattro venti l’esistenza di prove inconfutabili.
Oggi, scopriamo che queste prove non erano poi così certe. Infatti, la c.d. prova regina (una foto) è un tarocco (fotomontaggio) e non è emerso nessun riscontro contabile sulle presunte tangenti. Una barzelletta, se non fosse che un individuo si è visto privare della sua libertà e distruggere la sua carriera, senza motivo.
Ma a noi qui interessa soprattutto interrogarsi sulle conseguenze che l’adozione spettacolare, per consapevole scelta degli inquirenti (nel codice di procedura penale non è prevista la conferenza stampa per annunciare un arresto), di una misura cautelare grave ha comportato sull’ordinato svolgimento della vita democratica della comunità abruzzese.
Siamo davanti ad un caso in cui la storia delle istituzioni è stata per davvero sconquassata, ma stavolta non da una presunta condotta delinquenziale di un politico, bensì da quella perlomeno irresponsabilmente imprudente di un magistrato.
Come si vede, non si contesta la legittimità di sottoporre ad indagini un eletto, anzi! È doveroso che sia fatta piena luce sull’operato degli amministratori pubblici, ma perché scegliere modalità che arrecano un sicuro e irreparabile danno istituzionale, di fronte all’ontologica incertezza dell’ipotesi accusatoria?
Si potrà obiettare che nella maggior parte dei casi, le accuse sono fondate. Può darsi. Ma il fatto più grave è che oggi sia possibile incidere gravemente sulle istituzioni repubblicane, capovolgendo l’esito elettorale, già in un momento anteriore all’accertamento processuale, con buona pace dei principi del giusto processo. Tutto ciò è aggravato dalla sostanziale irresponsabilità dei magistrati.
Al riguardo, se è vero che la facoltà di adire un’azione risarcitoria spetta esclusivamente al diretto interessato, ci auspichiamo che almeno il CSM sia doverosamente vigile, affinché le valutazione di professionalità dei magistrati coinvolti in questa triste vicenda ne diano giustamente conto, con particolare riferimento al parametro, indicato dallo stesso CSM, relativo all’esito, nelle successive fasi e nei gradi del procedimento, dei provvedimenti giudiziari emessi.
L’unica nota positiva di questa assurda vicenda potrebbe essere quella di aiutare a rendere consapevoli tutti che l’unica vittima di questa perenne lotta di delegittimazione reciproca tra magistratura e politica non è che lo stato democratico di diritto.
Allora, forse vale la pena andare a rileggere tutti quanti Beccaria, Zola, Kafka o Sciascia, per ricordarci che la lotta per il diritto è una battaglia contro ogni forma di arbitrio, anche quello giudiziario.

Autore: Giacomo Canale

Consigliere della Corte costituzionale e dottorando in diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, dove collabora con la cattedra di diritto costituzionale. Ha frequentato il 173° corso varie Armi dell'Accademia Militare di Modena e prestato servizio in qualità di addetto di sezione presso il Reparto Affari Giuridici ed Economici del personale dello Stato Maggiore dell'Esercito. Le opinioni qui espresse sono strettamente personali e non impegnano l'istituzione di appartenenza


Nessun commento:

Posta un commento