All’ INPGI tremano….i conti ed i debiti in salita della Sopaf (Magnoni) fanno preoccupare i giornalisti ed i pensionati dell’ INPGI, dopo che il Presidente Camporese aveva annunciato l’intenzione di acquistare dalla Sopaf quote del fondo Fip per un controvalore di 30 milioni di euro. Un investimento sicuro ? Garantito da chi ?
di Giovanna Lantini
Dopo le disavventure con la Banca Delta travolta dall’inchiesta per riciclaggio su San Marino e stretto dall’eredità della ex Bipielle Network di Gianpiero Fiorani, Giorgio Magnoni si gioca la carta più alla moda del momento: le energie rinnovabili. Passando per la Cina. Obiettivo dell’esponente di punta di un clan familiare da sempre dietro alle quinte della finanza che conta, mettere in sicurezza la sua Sopaf, che non sta vivendo uno dei suoi periodi migliori. I primi nove mesi del 2010 della finanziaria si sono chiusi in perdita per 5,1 milioni. Un risultato che, va detto, era in miglioramento rispetto al rosso di 17,6 milioni dell’anno prima. Merito soprattutto della Cina e delle rinnovabili.
A dare smalto al conto economico, infatti, hanno contribuito gli utili pro-quota realizzati dal partecipato fondo China Opportunity: 9,4 milioni per il solo terzo trimestre. Il dato è però influenzato dalla valutazione fatta su un importante asset del fondo, la società di impianti eolici MingYang di cui China Opportunityoggi controlla il 10,6 per cento e il cui valore, in assenza di una quotazione di mercato al 30 settembre, è stato determinato in base alle quotazioni della Borsa Usa rilevabili con lo sbarco a Wall Street.
Avvenuto il primo ottobre a 14 dollari per azione, per un totale di 1,750 miliardi. Peccato che oggi in BorsaMingYang valga il 21 per cento in meno che, sul valore della società, significa 362 milioni in meno. Tornando al bilancio, nei primi 9 mesi dell’anno l’indebitamento di Sopaf è salito a 144 milioni dai 126 di fine 2009. Intanto, negli ultimi 12 mesi, il titolo ha perso quasi il 35 per cento.
E mentre per il futuro lo sguardo va alle energie rinnovabili, tra gli eventi salienti dei primi tre quarti dell’anno, spiccano i nuovi rilievi della Banca d’Italia sulla controllata Banca Network Investimenti. Cioè la exBipielle Network chiamata in causa dai risparmiatori per le polizze Lehman e oggi guidata da Maurizio Cozzolini, lo stesso che nel 2007, nell’ambito del processo Bipop, aveva patteggiato una condanna a sei mesi per infedeltà patrimoniale e ostacolo all’attività di vigilanza. L’andamento negativo dell’istituto cheSopaf ha rilevato nel 2007 insieme a DeAgostini e Aviva, ha comportato per la finanziaria il mancato rispetto di alcuni dei parametri finanziari fissati dalle banche creditrici e, quindi, l’avvio di colloqui per una rimodulazione dei piani di rientro dal debito. Non solo. L’estate scorsa la Banca d’Italia ha imposto a sorpresa una nuova ricapitalizzazione della banca tuttora in via di definizione. Una situazione doppiamente spiacevole, perché si è manifestata proprio mentre Sopaf stava trattando la rinegoziazione del suo debito.
Da qui una corsa contro il tempo per far riquadrare tutti i conti e, quindi, lo slittamento dell’accordo con le banche, condizione indispensabile per la continuità aziendale della stessa Sopaf che è arrivato sul filo a metà novembre. Non gratis, visti numerosi paletti posti dagli istituti. Un anno da far venire qualche mal di pancia non solo ai piccoli azionisti, ma anche a navigati uomini d’affari come Magnoni e i suoi fratelli consoci in Sopaf e uniti anche dall’amicizia con Roberto Colaninno. Galeotta fu l’avventura Telecom, dove Giorgio giocava al tavolo degli investitori e suo fratello Ruggero, ex vice presidente di Lehman Brothers in Europa e, dal clamoroso fallimento della banca americana, numero uno di Nomura nel Vecchio Continente, su quello dei consulenti del ragioniere di Mantova.
Da allora il legame non ha potuto che stringersi, come testimoniano gli affari ancora in condivisione. Che per entrambi i fratelli spaziano per tutta la galassia di Colaninno, dalla Omniainvest a Piaggio passando per la holding in Immsi,che ha in pancia anche Alitalia. Società, quest’ultima, che aveva visto Ruggero prima nel ruolo di consulente di Air France e poi, fino al fallimento di Lehman, in quello di potenziale finanziatore di Colaninno.
Del resto la famiglia Magnoni il rischio ce l’ha nelle vene. Vicini al bancarottiere Michele Sindona, con il padre Giuliano che ne era stato socio in affari e il fratello Pier Sandro che ne aveva sposato la figlia e ne era diventato il braccio destro al punto da risponderne in tribunale, sono stati parte in causa in diverse operazioni finanziarie sul filo del rasoio. Per esempio nel 2005, ai tempi della tentata scalata adAntonveneta targata Gianpiero Fiorani, i Magnoni si trovavano a fianco del banchiere lodigiano in veste di soci in Cartesio Alternative Investments, proprio mentre la Lehman di Ruggero era consulente dei rivali di Fiorani nella partita per la banca veneta, gli olandesi di Abn Amro.
Prima ancora, Giorgio era stato gestore dell’Oak fund, pedina chiave nei flussi di finanziamento alla scalata di Telecom da parte di Colaninno e soci. Ruggero, che della Olivetti era già il banchiere di fiducia ai tempi di Carlo De Benedetti e che dell’operazione Colaninno-Telecom era stato regista e solerte ambasciatore del ragioniere, nel ricco curriculum ha le privatizzazioni della Comit e diFinmeccanica. Ha infatti lavorato con l’ Iri, alla quale faceva riferimento anche Telecom attraverso la Stete ha partecipato in prima persona alla vendita degli Aeroporti di Roma, allora dell’ Alitalia, a un gruppo di investitori tra cui anche Lehman. È lui, poi, che negli anni novanta ha assistito il tycoon sudafricano Johan Rupert nell’operazione che lo ha portato a investire almeno 400 miliardi in Mediaset, che grazie anche all’apertura ad altri soci riuscì a salvare la controllante Fininvest dal tracollo. Il suo motto pare sia “Cuccia docet“. E il suo modello è decisamente vicino a quello del silenzioso banchiere siciliano. Chissà se il fratello Pier Sandro apprezza.
* articolo tratto da IL FATTO QUOTIDIANO
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