Il collezionista mecenate è morto a 99 anni. Aveva donato la sua collezione di oltre mille opere alla città di La Spezia
La Spezia. È morto a La Spezia all'età di 99 anni Amedeo Lia, il mecenate della città. Nel 1996 aveva donato al Comune la sua importante raccolta d'arte: oltre mille pezzi, tra miniature, oggetti liturgici, bronzi rinascimentali, avori, smalti, sculture in marmo, vetri e cristalli di rocca. E dipinti, con opere, tra gli altri, di Tintoretto, Tiziano, Bellini, Pontormo. Oggi un museo civico, allestito nell'antico complesso conventuale dei frati minimi di San Francesco di Paola, porta il suo nome. Nato a Presicce, in Puglia, Lia, ingegenre, era un ex ufficiale della Marina. Nei primi anni Cinquanta fu tra i primi collezionisti a scoprire i «primitivi»: i fondi oro erano la sua vera passione e costituiscono oggi il capitolo principale del percorso del Museo Civico Amedeo Lia. Proprio per l'altissima qualità delle tavole due, tre e quattrocentesche Federico Zeri considerava la collezione spezzina fra le più pregevoli raccolte europee e mondiali.
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Entro il '96 il Museo Amedeo Lia
Per la Spezia è una regaLia
Sassetta, Rosselli, Foppa, Bellini, Tiziano, Lotto, Sebastiano del Piombo, Veronese, Tintoretto e l'objet d'art in tutte le sue tipologie: il dono di un appartato collezionista alla sua città d'adozione
Amedeo Lia è una persona speciale: come uomo, come collezionista, come cittadino. Lo si capisce già dal suo aspetto fiero e giovanile che sembra non aver niente a che fare con la sua età anagrafica. Lo si capisce dal modo con cui ha condotto la donazione delle sue opere: con concreta semplicità, senza retorica, ma con chiare, giuste richieste di impegno da parte del Comune. Nello stile, mi ha ricordato l'analogo caso del conte Ricci Oddi di Piacenza: stessa riservatezza, stesso rifiuto della celebrazione, stessa diretta collaborazione alla realizzazione del museo. Senza troppi preamboli, un anno e mezzo fa, l'ingegner Lia ha comunicato al sindaco Rosaia, che non conosceva ma stimava profondamente, il suo animus donandi alla sola condizione che il Comune predisponesse un edificio adatto ad ospitare le sue raccolte. E a Lucio Roberto Rosaia, uomo di rara cultura, quelle raccolte apparvero subito straordinarie, tanto da non indugiare un attimo ad accogliere l'invito, mettendo in moto l'intera macchina amministrativa. Così insieme al donatore si è trovata la sede, l'antico convento seicentesco dei frati paolotti, in parte già ristrutturato e in parte da restaurare; così insieme al donatore e ai suoi familiari, che sin dall'inizio hanno aderito con generosità alla donazione, si sono decisi i tempi, i modi, la filosofia del progetto museale. Tutto si è svolto con la massima serenità. L'ingegner Lia non ama perdere tempo, al suo pensiero segue l'azione. È una delle sue principali doti che ha contato non poco, credo, anche nella sua storia di collezionista. Infatti, ha acquisito molte opere con decisioni rapide e coraggiose, soprattutto quelle ambite nelle aste internazionali di Christie's e Sotheby's. Da capace industriale qual è, ritiene che il risultato del lavoro non sia dilatabile oltre limiti ragionevoli, anche nella pubblica amministrazione. Perciò ha incalzato il Comune a fronteggiare i suoi impegni imponendo, giustamente, tempi di realizzazione che sono una vera scommessa per la burocrazia italiana. Il Museo Lia dovrà essere pronto entro la fine del 1996, completo di tutti gli impianti e di tutti i servizi primari e accessori, osserverà un ampio orario di apertura settimanale, sarà diretto da un Consiglio ristretto formato dal sindaco, dal direttore e dal donatore o da un componente della sua famiglia. Per volontà esplicita, le raccolte potranno accogliere nuove opere, purché si armonizzino compiutamente con le altre e non sfigurino il taglio della collezione. Una scelta che conferma lo spirito dinamico, mai pago, che ha sempre animato il collezionista. Inutile dire che la donazione Lia si inserisce nella grande tradizione del collezionismo privato che ha contribuito a formare la maggior parte dei musei italiani. Come per i fratelli Bagatti Valsecchi, per Gian Giacomo Poldi Pezzoli, per Federico Stibbert, per Teodoro Correr, per Giuseppe Ricci Oddi, anche quella di Amedeo Lia è un'avventura artistica durata una vita, alimentata da una struggente passione interna, con cui si nasce, afferma l'ingegnere.Lia ha raccolto capolavori che spaziano dal Duecento al Settecento e documentano le più importanti tipologie della produzione artistica, i più significativi generi delle cosiddette arti maggiori. Ma anche negli objets d'art la collezione Lia ha dei nuclei sorprendenti: comprende infatti numerosissime sculture (in bronzo, in avorio, in marmo, in legno, in corallo), stupendi smalti limosini medievali e di età più bassa, vetri ed alcuni esempi di vetrate figurate, finissimi avori gotici, italiani e francesi, pezzi d'arredo mobile e domestico di rara fattura. La varietà non è casuale, ma segue logiche tematiche in funzione dei periodi di produzione o degli atelier. L'eccezionaiità della raccolta è data, come dicevo, non soltanto dai capi d'opera, che sono peraltro cospicui, ma anche dalla completezza con cui sono documentati avvincenti brani figurativi o particolari serie tipologiche: in questo senso, l'emozionante rassegna delle produzioni devozionali di età medievale è un testo tra i più notevoli. In sostanza, è tutto l'arco della cultura figurativa italiana (e non solo) ad essere rappresentato con più o meno dovizia. Diversamente da altre raccolte, concepite e cresciute per un ambiente domestico poi conservato musealmente, questa collezione ha connotati di ben più ampio respiro, in grado di sostenere brillantemente la dimensione del museo pubblico, cui ora è destinata. La collezione riflette la personalità, estremamente intelligente e vivace, di Amedeo Lia e naturalmente il suo gusto personale, le propensioni, le sollecitazioni e le vicende che di tempo in tempo hanno contrassegnato il suo percorso di ricerca. Le sue scelte sono state lungimiranti: con la finezza dell'intuizione, propria solo di chi possiede una particolare sensibilità estetica, ha saputo vedere oltre le oscillazioni del gusto, oltre i ritardi e le lacune della stessa letteratura artistica. Un caso, fra i tanti, è emblematico: chi rifletta sul nucleo dei cosiddetti primitivi, tenendo presente i modi e i tempi in cui sono entrati nella collezione Lia, a cominciare dai primi anni Cinquanta, non tarderà a rendersi conto che le scelte hanno accompagnato, se non precorso, le più significative acquisizioni delle discipline storico-artistiche.
Per fare ulteriori esempi dell'importanza della collezione, basterà rammentare il gruppo dei dipinti, che è formato da quasi duecento esemplari, tra cui spiccano le tempere su tavola (da sole, quasi un centinaio) attribuite, fra gli altri, a Coppo di Marcovaldo, al Maestro della Maddalena, a Lippo di Benivieni, a Pietro Lorenzetti, a Lippo Memmi, a Bernardo Daddi, ad Altichiero, a Turino Vanni, a Barnaba da Modena, a Bartolo di Fredi, a Lorenzo di Bicci, a Paolo di Giovanni Fei, al Sassetta, a Taddeo di Bartolo, e poi Cosimo Rosselli, Vincenzo Foppa, Zanetto Bugatto, il Bergognone, Giovanni Masone, Antonio Vivarini, per arrivare alle prime tecniche ad olio di Giovanni Bellini, Raffaello (?) e dei tanti rappresentanti della scuola veneta, a cominciare da Tiziano, da Giovanni Cariani (a cerniera con l'area lombarda), a Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo, Paolo Veronese e Jacopo Tintoretto. Ognuno di questi quadri ha una storia, non solo critica, da raccontare: la «Deposizione» di Lippo di Benivieni, opera discussa e pubblicata più volte, faceva parte della famosissima collezione di Adolphe Stoclet. La «Madonna col Bambino e santi» attribuita al Sassetta (ma, secondo Boskovits, di Pietro di Giovanni d'Ambrogio), faceva parte nel dopoguerra della collezione Jean Hahn e ha tra i suoi confronti diretti la «Madonna delle Nevi» già Contini Bonacossi, oggi nelle gallerie fiorentine. Anche il «San Giovanni Battista» di Bernardo Daddi proviene da un'altra importante collezione, questa volta italiana: quella che il marchese Tacoli Canacci aveva pazientemente riunito per conto del Duca di Parma che voleva formare una quadreria di «primitivi». Non è forse il solo, giacché tutti i dipinti acquistati a Firenze dal Tacoli Canacci hanno una caratteristica incorniciatura a stampo dorato in gesso, quasi una spia per via esterna suggerisce la medesima provenienza di altre opere. Un 'amicizia di lunga data lega Amedeo Lia a Federico Zeri che in più di un'occasione è stato per il collezionista un prezioso consigliere; un aneddoto gustoso è l'incontro casuale tra i due a Parigi, durante il quale Zeri caldeggiò l'acquisto dello splendido «San Giovanni» di Pietro Lorenzetti scovato da un antiquario italiano. Ma l'arte del collezionare è stata per Lia anche un'avventura solitaria, divertente e curiosa, proprio come il carattere dell'ingegnere. Ha frequentato i più grandi antiquari italiani, attraverso i quali ha ottenuto molti pezzi prestigiosi rientrati nel circuito commerciale dalla dispersione di raccolte o dalle alienazioni di privati; ha partecipato assiduamente alle grandi aste internazionali; ha conosciuto gli specialisti di ieri e di oggi, talvolta ricercandoli, più spesso essendo da questi contattato per ragioni di studio. Tuttavia, se la sua casa è stata sempre aperta agli studiosi e al confronto scientifico, è stata invece preclusa alla curiosità volgare e superficiale. Per anni ed anni, Amedeo Lia ha difeso le sue collezioni, proprio come si fa con gli affetti più cari, dunque non solo per ovvi motivi di sicurezza. E se oggi ha voluto farne dono alla città della Spezia, e per essa al mondo, è proprio per questo suo grande amore per l'arte e per la vita.
Marzia Ratti
Direttore del settore Musei del Comune di La Spezia
di Marzia Ratti , da Il Giornale dell'Arte numero 138, novembre 1995 http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/1995/11/114213.html
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