Che
l’euro si stia rivelando una iattura non c’è bisogno di sentircelo dire
dagli economisti, lo constatiamo ogni giorno dal 2002 nella diminuzione
costante del potere d’acquisto dei nostri salari, nell’insostenibile
pressione fiscale e nel nostro lavoro che evapora insieme alle aziende
che chiudono o emigrano.
Persino la Slovenia che l’ha adottato 5 anni fa, ora è sull’orlo della bancarotta.
Non sarà la panacea il ritorno alla lira, non risolverà certo le
storture ataviche del nostro paese, ma qualcosa bisognerà pur fare prima
di finire tutti in mutande e ritornare ad essere un paese d’emigranti
con le valigie di cartone. Soprattutto ci dovremmo riappropriare della
possibilità di decidere in casa nostra e non subire più passivamente le
decisioni prese altrove da élite tecnocratiche allevate dalla grande
finanza e non elette da nessuno.
L’euro sta distruggendo progressivamente
il tessuto industriale italiano insieme ai diritti conquistati con le
lotte per l’emancipazione economica e sociale delle classi subalterne
nel dopoguerra.
Fiumi di denaro virtuale rimbalzano tra
la BCE e le grandi banche, senza che una sola goccia giunga all’economia
reale in recessione e alla gente in difficoltà. Ciononostante ci viene
chiesto di ripagare interessi sempre più alti, imponendo sacrifici e
austerità alla popolazione accusata di aver dilapidato ciò che non ha
mai posseduto, di aver vissuto “al di sopra dei propri mezzi”.
Quest’Europa assomiglia sempre più al
Paese dei Balocchi di Pinocchio, da cui occorre fuggire prima di essere
trasformati tutti in somari per essere usati nei lavori pesanti.
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