A Washington, una gelida accoglienza è stata preparata a Tamàs Fellegi, il negoziatore ungherese al Fondo Monetario, giunto nella capitale dell’impero per una missione esplorativa su un prestito al Paese. È una capitolazione, dopo che il governo ungherese aveva declinato mesi fa le offerte del FMI, che arrivavano con le solite durissime «condizionalità» che l’ente globale allega ai suoi «aiuti». Fonti diplomatiche fanno sapere che Fellagi «può dire quel che vuole, non sarà ascoltato». E dicono la ragione: il governo americano «non vede prospettive in Victor Orban» (il capo del governo unherese, eletto con il 70% dei suffragi); e ha chiarito, brutalmente, che l’Ungheria deve sostituirlo con un «caretaker government», che si può tradurre anche come un governo di badanti, un governo tecnico (vi dice qualcosa?) – se il Paese vuol vedere un dollaro in prestito.
Stesso atteggiamento tiene l’oligarchia che ci governa tutti da Bruxelles. Fellegi ha annunciato alla stampa ungherese che andrà presto a Bruxelles per aprire negoziati, ma la Commissione Europea, ostentatamente, non gli ha nemmeno fissato una data per gli incontri. Barroso ha scritto a Budapest una lettera in cui «consiglia» quel governo di cambiare la costituzione appena varata, che contiene limitazioni alla casta giudiziaria e all’arbitrio dei media, oltrechè una tutela costituzionale per i feti umani e – delitto supremo – la messa della Banca Centrale sotto il controllo del Parlamento: un pericolo per la demokràzia, ha tuonato Barroso. Budapest non avrà un euro di aiuti economici, se non cambia la costituzione da poco approvata.
Le due centrali agiscono di concerto per stroncare quella che giudicano una pericolosa rivolta contro il Pensiero Unico e il Politicamente Corretto dei banchieri.
Era stato provocatorio, il premier magiaro: «È una moda europea che la Banca Centrale debba essere in un sacro stato di indipendenza», aveva detto recentemente, e: «Nessuno può interferire con l’operato legislativo ungherese, nessuno al mondo può dire ai deputati eletti dal popolo ungherese quali leggi approvare e quali no».
Oh sì che possono, povero Orban, ultimo a credere ancora che esista qualcosa come la sovranità, la non-ingerenza, il diritto internazionale.
Nel 1956, sotto un altro regime, Budapest già fece la prova della sua sovranità limitata: un «aiuto fraterno» giunse da Mosca sotto forma di colonne di cingolati perchè il popolo aveva rovesciato il regime comunista-satellite, liberato i prigionieri politici e ammazzava i membri della Polizia segreta. Per l’impero sovietico, si trattava di «scongiurare la diffusione del contagio». Gli ungheresi di quella generazione resistettero fino al sangue, si avventarono con le molotov contro i carri armati, il tricolore magiaro fu levato e risollevato, sporco di sangue, fino a quando l’ultima radio – che invocava l’aiuto dell’Occidente – non fu messa a tacere. Seguirono oscure esecuzioni in Lubianke innominate. Almeno, era salvo l’onore; e la dignità e l’eroismo avevano avuto la loro ora.
Oggi è stato diverso. Niente carri armati. È bastato che le tre note agenzie di rating, Standard & Poors, Moody’s, Fitch, all’unisono come a segnale convenuto, degradassero i titoli del debito pubblico magiaro a «spazzatura»; citando per il loro downgrading non già l’economia magiara, bensì «la costituzione antidemocratica» e le «politiche non-ortodosse». I tassi d’interesse che gli ungheresi devono pagare ai creditori sono di colpo saliti, come desiderato, oltre il 9,7%, insostenibile. Il governo ungherese è stato obbligato ad abbandonare un’asta dei suoi titoli, non riuscendo a vendere tutti i 18 miliardi di forint, ma solo 15 (miserabili 62 milioni di dollari) ad un tasso prossimo al 10%.
Contemporaneamente, decine di migliaia di ungheresi d’opposizione hanno preso le strade, con cartelli di protesta contro il governo, stilati ovviamente in inglese per le telecamere occidentali, e palesemente preparati dalle stesse centrali che approntano le «primavere arabe» e le manifestazioni di Mosca.
Simultaneamente, ad un segnale convenuto, tutti i media europei ed americani hanno dipinto Orban come un terrificante dittatore megalomane e ultra-nazionalista, che stroncava la «libertà di stampa» – quella libertà che i nostri media ufficiali sanno così ben difendere in casa altrui. Va da sè che le più alte strida sono state lanciate dai giornali della sinistra intelligente, da Repubblica di De Benedetti fino a Libération dei Rotschild. Che già tenevano d’occhio il nuovo Saddam-Hitler est-europeo per «pratiche non ortodosse» come la nazionalizzazione delle casse di previdenza, e la tassazione alle banche (per lo più possedute da banche estere, come il nostro Unicredit...) che avevano rifilato agli ignari cittadini magiari – da troppo poco tempo usciti dal sistema pianificato, troppo fiduciosi della finanza occidentale e della sua «creatività»– prestiti e mutui indicizzati sul franco svizzero: operazione che, quando la moneta nazionale cadde nel 2006, provocò la rovina delle famiglie debitrici, in quanto i loro mutui diventarono giganteschi e impagabili.
Ancor peggio quando il governo ungherese, istruito probabilmente dal caso greco e dall’aiuto fraterno che gli ateniesi avevano ricevuto dall’Europa, non ha mostrato troppa decisione nell’affidare il destino del suo popolo alla chiaroveggenza degli oligarchi di Bruxelles.
Alain Jupp
Naturalmente, la messa sotto controllo democratico della Banca Centrale ungherese è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Alain Juppé, ministro di Sarkozy, ha anatemizzato questa «violazione dei principii d’indipendenza iscritti nell’Unione Europea». Così almeno è chiaro che quando un governante europeo difende «i principi di indipendenza», non si riferisce all’indipendenza dei popoli, ma all’indipendenza dei banchieri.
Come per il Cremlino del 1956, così per l’oligarchia eurocratica si trattava di scongiurare i «rischi di contagio» nella zona a sovranità limitata, di togliere ai Paesi indebitati e marginali la tentazione di seguire un esempio di sovranità. Non era tollerabile questa collusione tra un governo e il suo popolo, non porta alcuna felicità alle genti! Presto un governo di badanti! Di tecnici, che sanno quello che fanno, e che i liberi media santificano, come modelli di tutte le virtù pubbliche.
Si sa che erano allo studio sanzioni, come per l’Iran. Passo ulteriore, i bombardamenti preventivi?
Non c’è stato bisogno di arrivare a tanto. Con la moneta nazionale fatta crollare, gli interessi passivi alle stelle e il bisogno urgente di prestiti, il sopra citato Talas Fellagi è partito per Washington dopo aver dichiarato a destra e a manca che l’Ungheria è «aperta a trattare sulla legge della Banca Centrale», anzi su tutto. Il Fondo Monetario e la UE continueranno tuttavia a punire il ribelle.
Il Fondo Monetario ha cancellato un «programma precauzionale» precedentemente previsto per Budapest, ed imporrà invece uno «Stand-By Agreement», che è qualcosa che pone condizioni più dure del primo. Esigerà che il governo magiaro ristabilisca l’indipendenza della sua Banca Centrale, rafforzi il Consiglio di Bilancio, eserciti politiche di bilancio «più severe», ritiri la tassazione «di crisi» (quella che veniva fatta gravare sulle banche truffaldine) e cancelli le misure economiche ad hoc – il governo voleva assorbire 200 mila disoccupati mettendoli a pulire le strade e scavare fossati per 12 dollari al giorno (un povero keynesismo senza mezzi). Dovrà inoltre attuare «le riforme richieste», ossia privatizzare quel che ancora può, e «ristrutturare lo stato sociale»: e sappiamo come da Monti, il modello e l’esempio delle virtù europeiste. (Draft IMF report says Hungary needs bigger reserves, stability package - paper)
L’Ungheria dovrà accettare questa versione liberista dell’«Aiuto Fraterno» sovietico, le piaccia o no. Seguiranno oscure esecuzioni, punizioni esemplari. Pour encourager les autres, dicono i francesi: per togliere ogni tentazione agli altri Paesi «periferici».
Perchè la crisi ungherese ha molto da insegnare anche a Italia, Spagna, Portogallo. Andava bene, la sua economia, grazie ad un boom dei consumi indotto dai bassi tassi d’interesse offerti dalle banche estere: come abbiamo detto indebitavano gli ungheresi in franchi svizzeri, perchè il franco svizzero ha bassi interessi. La cosa era conveniente fintanto che il fiorino ungherese restava stabile. Nel 2006 il suo valore rispetto al franco cadde, e la crisi cominciò. È da quella data che il deficit pubblico, e poi il debito pubblico magiaro comincia a crescere. Perchè?
La diagnosi egemone ed imposta a tutti è: i governi-cicala spendono troppo per comprare voti, favori, clientelismo, e quindi la cura è «austerità», flessibilità, tasse... Ciò è vero per l’Italia, dove le Caste succhiano metà del PIL ormai da decenni. Ma non è vero per Spagna, Irlanda, Portogallo, e Ungheria.
La verità è che l’espansione del deficit di bilancio segue sempre la fine e lo sgonfiamento di un boom di consumi sostenuto da credito facile, quando i governi cercano di mantenere viva l’economia che si affloscia perchè cominciano a mancare i consumi privati, delle famiglie.
L’Ungheria è passata per questa fase. Anche la Germania, da metà degli anni ‘90, è passata per questa fase; poi il deficit pubblico s’è ridotto quando l’economia tedesca ha completato la transizione dal boom dei consumi a Paese massimo esportatore. (From Here To Eternity, Hungarian Style)
Fatto notevole, anche le esportazioni ungheresi sono cresciute notevolmente negli ultimi anni, anche perchè il suo settore manifatturiero è collegato a quello tedesco:
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Tuttavia, l’aumento dell’export non è stato abbastanza per sostenere la crescita del PIL di cui l’Ungheria ha bisogno per pagare il suo debito estero giganteggiante, e la previdenza alla sua popolazione in rapido invecchiamento. Da una parte, il valore aggiunto nell’industria ungherese è solo il 20% del PIL, contro il 40% tedesco.
Una soluzione sarebbe un forte deprezzamento della moneta nazionale (contrariamente ad Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, l’Ungheria può farlo) per riacquistare competitività, anche attraverso maggiori investimento nei settori esportatori. Ma questo deprezzamento del fiorino è impossibile senza un simultaneo ripudio, o almeno ristrutturazione, del debito: il debito ungherese è infatti in gran parte denominato in valuta estera (come abbiamo detto, l’85% dei mutui magiari sono denominati in franchi svizzeri) e la svalutazione del fiorino renderebbe di colpo più enorme il debito. Sicchè, fino ad oggi, la Banca Centrale ungherese è obbligata a «sostenere» il fiorino, anzichè lasciarlo cadere, per continuare ad onorare i suoi debiti con le banche estere; e lo fa tenendo incredibilmente alti i tassi d’interesse (7%) ancorchè il Paese sia in recessione, e tali tassi la aggravino fino alla depressione. Naturalmente, i tassi alti finiscono di soffocare i consumi interni, già moribondi dopo un aggravio dell’IVA del 5%.
Come non bastasse, l’Ungheria ha un grave problema demografico: la popolazione non solo sta invecchiando, ma diminuisce. Un eventuale default accelererebbe l’uscita dei pochi giovani qualificati che farebbero le valige e se ne andrebbero all’estero. Come già fanno. La via che ha dovuto seguire è quella delle «austerità» imposte dalla Germania, cura che peggiora il male.
Insomma, il Paese si trova in una sorta di doppia impasse, di «Comma 22», per cui non può fare ciò che deve – pur avendo ancora la moneta nazionale. Figuratevi i Paesi come Italia, Spagna, Portogallo, che non hanno nemmeno quella possibilità, e che somigliano per molti versi – dalla demografia calante alla perdita di competività, ai consumi interni esangui, al Paese dell’Est.
Da lì possiamo vedere cosa ci costerà restare nell’euro (e continuare a servire il debito): l’arretramento economico permanente, un po’ come avvenne al Meridione borbonico entrato nella moneta unica chiamata lira – troppo forte per poter competere. Ma moltiplicato per cento. (Effedieffi)
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