Per il mondo dei tifosi sono state ore d’ansia: Maicon sarebbe stato squalificato o no? Maicon è un poderoso atleta, difensore destro dell’Inter, ma dire difensore è sbagliato, perché lui (come molti suoi compagni di ruolo) scorre su tutta la fascia, portandosi in attacco. È famoso per le sgroppate. È un giocatore completo. Inesauribile. Finisce la gara, e ha lo stesso fiato che aveva all’inizio. È sua buona parte del merito se la squadra in cui gioca ha vinto nello stesso anno, in poche settimane, il titolo di campione d’Italia, campione d’Europa e campione del mondo. Perciò tutti lo vogliono. Ha richiedenti da molti campionati stranieri. Ha una quotazione altissima.
Allora, perché i tifosi erano in ansia? Perché nella prossima giornata di campionato si giocherà il derby milanese, tra Inter e Milan, e non si sapeva se Maicon ci sarebbe stato o no. Poteva essere squalificato. Perché la tv lo ha inquadrato mentre, a interpretare il labiale, che lascia pochi dubbi, bestemmiava: torvo, sfrontato, urlante, bestemmiava la più classica, e la più turpe, delle bestemmie. I suoi tifosi si auguravano: «Speriamo che non venga squalificato». Augurio assurdo. Il giusto augurio doveva essere: «Speriamo che non abbia bestemmiato». La bestemmia è uno degli aspetti più intollerabili del mondo sportivo, il calcio in particolare, e non ha mai alcuna giustificazione. Tra l’altro, Maicon avrebbe bestemmiato subito dopo un gol segnato dalla sua squadra: e che, esistono le bestemmie per gioia? No, non è giustificabile. La speranza doveva essere non che il reato non venisse sanzionato, ma che non esistesse. Il giudice ha preso una decisione per nulla apprezzabile: ha lasciato perdere, non ha voluto nemmeno guardare la prova tv. Ha fatto per viltà il gran rifiuto.
Maicon era nella stessa situazione di Ibrahimovic due settimane fa: stessa imprecazione blasfema, stessa ripresa tv. Ma è un campione, e la sentenza è stata: non ammessa la prova tv. Che significa, se vali 30 milioni (Maicon) o 70 (Ibrahimovic) puoi bestemmiare? Oltre una certa soglia, la legge non vale più?
Nel calcio, il gol, il rigore, l’assist, il tiro in porta sono momenti estremi. I giocatori vanno in campo pre-sentendo e pre-temendo quei momenti. Escono dal tunnel degli spogliatoi, appaiono uno alla volta in faccia alle gradinate stipate di tifosi, come i gladiatori nel Colosseo, e tremano. Tutti. Anche i campioni. Molti, un numero inaspettatamente alto, si fanno il segno della croce.
Specialmente gli argentini, e l’Inter ne ha tanti. È un gesto rapido e furtivo, mettono il piede oltre la linea bianca di bordo campo, si chinano a toccare l’erba con la mano destra, poi si drizzano e con la stessa mano si fanno il segno della croce. Con quel gesto, invocano una forza: «Sii con me». Mi chiedo quale sistema mentale si nasconda dietro quel gesto. Sabato scorso, per stare in tempi a noi vicini, nella partita Inter-Parma, quel gesto lo ha fatto per primo Javier Zanetti, capitano dell’Inter, poi Cambiasso, suo connazionale, e via via tanti altri. Cos’era, un invito a quella forza a schierarsi con Milano contro Parma? Ma perché, Parma è forse una città dove quella forza non c’è, o è estranea o nemica? Poi sono entrati anche i giocatori del Parma, e alcuni han compiuto lo stesso gesto. Una squadra ha stravinto, l’altra ha straperso, 5-0, ma quel gesto rituale non c’entra. Se fai un gol, non è perché hai invocato quella forza. Se sbagli un gol, non puoi vendicarti bestemmiando, è pura inciviltà. E se farsi il segno della croce entrando in campo è forse – forse, e non per tutti – «nominare invano», bestemmiare è certamente insultare Chi non t’ha fatto nessun male e l’immensa fetta di umanità che crede in Lui. Se sei un grande atleta, da quel momento sei meno grande.I calciatori sono esempio di centinaia di giovani ma troppo spesso sembrano dimenticarlo.
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