giovedì 5 settembre 2013

Padre di Cucchi: riaprire il processo

Padre Cucchi: bisogna riaprire processo


di Paolo Montalto
Stefano Cucchi morì di malnutrizione e l'attività dei medici è stata segnata "da trascuratezza e sciatteria". Sono i 'passaggi' importanti della sentenza del processo per la morte del geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e deceduto una settimana dopo nell' ospedale 'Sandro Pertini'. Lapidaria la sorella di Stefano, Ilaria, che da sempre si è battuta affinchè la sua morte trovasse giustizia: "E' la tipica sentenza all'italiana, secondo la quale mio fratello è morto di suo. E' il fallimento della Procura di Roma. Proviamo speranza e amarezza. Speranza perché se avessimo voluto immaginare una sentenza debole e carente non avremmo potuto arrivare a tanto. Si riconosce il pestaggio ma lo si attribuisce ai carabinieri con tanto di movente. Ma quella mattina Stefano è stato oltre tre ore in attesa di essere giudicato. La Corte dice che si lamentava per la mancanza del Rivotril, o metadone. Ma non per la dolorosissima frattura al sacro o le lesioni a viso, testa e sul corpo''. Così interviene con una nota la famiglia di Stefano Cucchi.
''La corte sostiene che le aveva già ma, stranamente, Stefano inizia a lamentarsi solo dopo l'udienza di convalida - dice Ilaria - Si vede che prima non si era accorto di avere la schiena rotta...''. La Corte attua per la famiglia ''una dichiarazione di fede. Di principio: dice lo hanno picchiato i carabinieri, ma il sangue trovato sui pantaloni era fresco. Ma la Corte si dimentica poi pure di restituire gli atti in procura per procedere contro di loro. Così la prescrizione avanza".
Per la famiglia Cucchi "la Corte demolisce la Procura di Roma sul pestaggio attribuendolo ai carabinieri e non agli agenti. La Corte demolisce la Procura affermando gravi carenze di indagini come il non aver consentito a Samura Yaya di effettuare una ricognizione formale davanti ai tre imputati. La Corte smantella ogni idea di omicidio come conseguenza del grave reato di abbandono di incapace. Si è trattato insomma di una banalissima colpa medica. Questa è la nostra amarezza ma andremo avanti''. Il processo è finito con la condanna per omicidio colposo di cinque dei sei medici imputati (il primario Aldo Fierro e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo; il medico Rosita Caponetti è stata condannata per falso ideologico),l'assoluzione degli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, agenti di Penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. Morte "per inanizione (sindrome da eccessivo dimagrimento ndr)" è la conclusione cui era giunto il collegio dei periti della Corte; tesi fondata "su corretti, comprovati e documentati elementi fattuali". E l'unica per i giudici "in grado di fornire una spiegazione dell'impressionante dimagrimento di Cucchi nel corso del ricovero".
Nessuna condivisione, quindi, delle tesi difensive secondo le quali il giovane morì per un'improvvisa crisi cardiaca; ancor meno, di quelle dei consulenti delle parti civili secondo cui per il decesso ci fu una 'cascata' di eventi iniziati da lesioni vertebrali. "C'è una responsabilità dei medici ma mio fratello non è morto di malasanità", commenta amareggiata Ilaria Cucchi. Certo è che per i giudici non si può ravvisare il grave reato di abbandono d'incapace contestato dai pm, bensì quello di omicidio colposo. Le condotte dei medici non sarebbero "volontarie" ma "colpose e contrassegnate da imperizia, imprudenza, negligenza".
Nella sentenza, però, c'è un altro 'passaggio' significativo: quello che vede i giudici indicare come "legittimo il dubbio che Cucchi fosse stato già malmenato dai carabinieri", prima del suo arrivo in tribunale. "Non è certamente compito della Corte indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani. In via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi sia stato malmenato dagli operanti al ritorno dalla perquisizione domiciliare", si legge nelle motivazioni. Vengono 'bollate' poi come incongruenti le accuse agli agenti Penitenziari. "Non si vede perché gli agenti, avendo avuto l'opportunità di portare Cucchi in un luogo in cui 'non è noto cosa sia occorso', non lo abbiano pestato in quel luogo e in quel momento, attendendo invece di farlo nelle celle dove potevano essere 'sentiti' da altri detenuti e/o da altri operanti in attesa delle convalide".
Da ciò "il ragionevole dubbio che i fatti siano stati commessi dagli agenti", così come inattendibile è ritenuta la tesi del supertestimone Samura Yaya (il detenuto che disse di aver sentito le 'botte' nelle celle del tribunale) il quale per i giudici ha "percepito soltanto un parlare concitato tra Cucchi e tre agenti della Polizia Penitenziaria, un tramestio e il pianto di Cucchi", e la cui versione "è in contrasto con quanto dichiarato da altri testi". Ecco che allora la Corte ritiene che i medici non sono stati in grado "di formulare tempestivamente una corretta diagnosi e porre in essere terapie adeguate alla gravità del caso" e, quanto agli infermieri, "non era nelle loro facoltà di sindacare le iniziative dei medici alle quali risultano essersi attenuti".
(ANSA)

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