Alessandro De Angelis
"Tenetevi pronti a tutto. A questo punto io non garantisco più nulla. Non posso rimanere fermo aspettando che mi crocifiggano". Adesso è saltato davvero ogni schema. Quando Silvio Berlusconi piomba a Roma la scossa della Cassazione ha già prodotto i suoi effetti. Devastanti. L'ex premier è una furia. Perché l'accelerazione della sentenza al 30 luglio è una clava che rischia di fare a pezzi la strategia difensiva del Cavaliere. Giudiziaria, perché dà meno tempo alla difesa. E soprattutto affida la pratica a un collegio giudicante che non è quello nel quale Ghedini, Longo ma anche coppi riponevano fiducia. Ma anche politica: "Abbiamo mostrato senso di responsabilità - si è sfogato l'ex premier coi suoi - ma non è servito a niente. Altro che pacificazione. Questo è un massacro".
Già, un massacro. Perché nell'inner circle del Cavaliere la sensazione è che il cerchio si stia chiudendo. L'ultimo mese parla chiaro: l'appello Mediaset, la condanna Unipol, quella Ruby. E ora la Cassazione, chiamata al verdetto nel mese di agosto. Chiusa cioè la finestra elettorale estiva, e in un momento in cui è difficile ottenere le urne ottobre. Ecco, la Cassazione ha fatto saltare il "piano": aspettare settembre, alzando il tiro sull'economia. E magari rompere un minuto prima del Verdetto, alla prima soffiata utile della Cassazione. Adesso è impossibile. Ad agosto si vedrà se il Cavaliere è condannato e interdetto. E non c'è "piano b".
E' in questo clima di panico che per la prima volta da settimane viene riaperto il dossier della rottura, per puntare subito a elezioni. Verdini e Daniela Santanchè quasi lo urlano: "Dobbiamo rompere alla prima occasione utile e puntare al voto". Stavolta l'ex premier non lo considera un azzardo. Spifferi che seminano un panico altrettanto intenso a palazzo Chigi: "Le vicende giudiziarie - ripete Letta conscio del contrario - non influenzano la vita del governo". Ma il premier si sente "sorvegliato speciale" da Berlusconi. E' con un brivido lungo la schiena che Letta ha visto una dopo l'altra le dichiarazioni dei suoi ministri contro la Cassazione. Anche quella di Angelino Alfano. È già la rottura di un equilibrio. In molti ricordano che, dopo la manifestazione di Brescia, Letta disse ad Alfano: "Un'altra manifestazione così e me ne vado".
Ecco, l'escalation è iniziata. Nella mai dismessa war room di palazzo Grazioli la parola più pronunciata è "voto". Perché a questo punto è la situazione politica, prima ancora di quella giudiziaria, ad assomigliare a una prigione per Berlusconi. A meno che la Cassazione non lo assolva - e su questo nessuno scommette un euro - la ghigliottina di agosto rischia di essere fatale: "Stare al governo non serve - sussurra un ex ministro - ma, se rompiamo, Berlusconi si trova a fare una campagna alla Grillo, fuori dal Parlamento". Uno scenario da brivido. Reso complicato dal fatto che manca l'occasione per l'Incidente. E che lo scioglimento non è automatico: "Manca l'occasione per rompere - dicono i fedelissimi - e rischiamo un'altra maggioranza che faccia a pezzi Berlusconi".
Ed è proprio di fronte a questo inferno che l'ex premier ha rinunciato a parlare all'assemblea dei gruppi e ha fatto sapere che non parlerà per dieci giorni. È un clima da ultimi giorni di Pompei. Rabbia, paura, voglia di reagire. Anche la riunione dei gruppi parlamentari si trasforma in uno sfogatoio, all'insegna del può succedere di tutto. C'è chi, come Daniela Santanchè chiama a una grande manifestazione di massa a difesa di Berlusconi. C'è chi, come Mariastella Gelmini propone di firmare i referendum dei radicali sulla giustizia e dimissioni di massa dei parlamentari. C'è chi, come Brunetta, si dice pronto a tutto di fronte al golpe. Insomma, è il refrain, "qualcosa va fatto". E comunque sarà una scossa. Sul governo.
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