Il 20 luglio 40 anni dalla morte, il mondo gli rende omaggio
di Giorgio Gosetti
L'anniversario della sua prematura scomparsa cadrà il 20 luglio quando il re del kung fu cinematografico fu stroncato da un edema cerebrale ad appena 33 anni vissuti intensamente; ma già adesso, dalla Cina agli Stati Uniti fioriscono eventi commemorativi: come a Los Angeles dove è stata scoperta una torreggiante statua dell'attore posta "a guardia" della Chinatown cinese che per l'occasione celebra i suoi 7 anni di autonomia amministrativa.
Per ricordarne la leggendaria figura alle generazioni che non l'hanno conosciuto, per rendere omaggio alle legioni di fans che ancora ne coltivano il mito ad ogni latitudine, il canale tematico di Studio Universal dedica a Bruce Lee una programmazione speciale che, ogni venerdì per tutto luglio, ripropone i suoi titoli più celebri.
Il fatto è che questa singolare icona dell'immaginario giovanile (ancora oggi seconda solo a Che Guevara nella "top list" delle magliette più vendute) fa leva su un pentagramma di emozioni diverso a seconda delle culture che lo venerano. In Cina ad esempio, incarna l'orgoglio nazionale, nonostante sia cresciuto a Hong Kong (all'epoca ancora sotto controllo inglese) e nato a San Francisco (il 27 novembre del 1940).
In America resta l'ultimo degli eroi dell'integrazione razziale e il campione di un mito del corpo che, dopo di lui, ha fornito a Hollywood i "nuovi duri" degli anni '70 da Chuck Norris a Bruce Willis, da Steven Seagal fino al ''culturista" Schwarzenegger.
Nel resto del mondo ha prima esaltato i sogni di una gioventù che venerava la forza e l'atletismo vitalista e poi quelli di generazioni che riscoprivano la filosofia del corpo e il magistero delle arti filosofiche orientali.
Perché la vera originalità di questo ragazzo scapestrato, attore dai mezzi limitati, atleta che dava il suo meglio davanti alla macchina da presa e filosofo autodidatta, sta proprio nella sua personalità cangiante e difficile da inquadrare.
Nato negli Stati Uniti quasi per caso da una famiglia mediamente agiata con un padre che lavorava nella giovane industria cinematografica di Hong Kong, Bruce Jun Fan Lee (ma in patria lo venerano col nome cinese di Li Xiaolong, ovvero "Piccolo Drago") si scopre fin da subito un predestinato: la famiglia fa ritorno in patria alla vigilia della guerra mondiale e subito il bebé si ritrova su un set all'età di tre mesi. Il film "Golden Gate Girl" e da allora fino ai 18 anni bazzica ripetutamente i set anche verrà mandato a studiare in America dove con scarso successo frequenta la scuola superiore e poi l'università.
Si fa notare in "The Orphan" del 1958 ma soprattutto grazie a un filmato in cui esibisce le sue indiscutibili doti nelle arti marziali e di combattimento. In giovinezza le ha praticate un po' tutte, dal tai chi allo judo, dal karate fino alla boxe, senza mai eccellere in nessuna ma sviluppando uno stile personale e coreografico, abbinato a una cura maniacale del corpo. Così viene notato da un produttore americano, William Dozier, che lo scrittura per la tv con piccoli successi per tutti gli anni '60. Ma e' nel 1971 che si scopre improvvisamente una star con un film a basso budget girato in patria. E' "Il furore della Cina colpisce ancora" diretto da Lo Wei nel 1971 in cui impersona il ragazzo di campagna Chen che a forza di pugni e acrobazie difende i suoi concittadini dalla brutalità della criminalità di Bangkok. L'anno dopo con "Dalla Cina con furore" ambientato a inizio secolo a Shanghai, Bruce Lee cambia personaggio ma non personalità: questa volta deve difendere l'orgoglio cinese dalle prepotenze giapponesi e lo fa imponendo il primato della scuola di kung fu sulle arti marziali nipponiche.
Il successo di Bruce Lee in Asia è tale che Hollywood richiama il suo figlio non riconosciuto e lo mette al centro di una coproduzione ad alto budget "L'urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente" in cui finirà perfino a combattere con Chuck Norris all'ombra del Colosseo. E' la sua prima regia, ma Bruce Lee non tradisce le attese e il film incassa in ogni territorio.
Ormai produttore di se stesso, votato a una dimensione più interiore dopo un grave incidente fisico, applaudito come una star universale (ha anche una stella sulla Walk of Fame di Los Angeles), Lee sembra il nuovo re mida del cinema di Hong Kong. Invece, dopo "I tre dell'operazione drago" (ancora finanziato con soldi americani) nel 1973 comincia a soffrire dei dolori alla testa che in appena tre mesi lo porteranno alla tomba. Sulle circostanze della morte si discuterà a lungo, ma alla fine sarà chiarito che il riacutizzarsi di un edema cerebrale lo ha portato al coma in poche ore. E' un finale drammatico per una carriera troppo breve che inutilmente in tanti hanno provato a far rivivere con l'uso di sosia, spericolati montaggi di frammenti da lui girati e mai utilizzati, film agiografici e banali speculazioni commerciali.
L'ombra del dramma del resto rimane sulla sua famiglia poiché anche il figlio prediletto Brandon Lee che ne ricalcava le orme, muore prematuramente sul set, ucciso da un colpo di pistola. A rivedere oggi i suoi film (venerati da Quentin Tarantino per citare il più famoso dei suoi fan) l'abilità ginnica e tecnica del protagonista rifulge proprio a confronto con i pochi mezzi disponibili e una tecnica di regia che adesso appare perfino rozza. Ma l'altro aspetto che consente il rinnovarsi costante della sua leggenda è l'attitudine morale dei suoi personaggi, sempre costretti a usare il lato "oscuro" delle artri marziali per riparare ai torti, ma sempre votati invece a un'etica della bontà e della tolleranza che si affina proprio nella trasformazione del corpo in un tempio di purezza e forza.
(ANSA)
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