provenzano_01E venne il giorno della pietà anche per Servizio Pubblico, la trasmissione di Michele Santoro e Marco Travaglio generalmente piuttosto giustizialista.
Nell’ultima puntata, forte del puntuale ausilio del pietismo di un personaggio del calibro di Walter Veltroni, scelto come ospite probabilmente non a caso, i due giornalisti hanno mostrato un filmato di un dialogo tra il boss mafioso Bernardo Provenzano e suo figlio minorenne. Binnu u’ Tratturi, Bernardo il Trattore, l’uomo che sfondava il cranio delle sue vittime con il calcio della pistola Beretta (ne sa qualcosa la buonanima di Michele Cavataio, ucciso il 10 dicembre 1969 in quella che sarà ricordata come “la strage di viale Lazio”), grazie a quel filmato ha destato la commozione non solo di Veltroni, ma pure di Bruno Vespa e altri giornalisti ed opinionisti.
Tanto da aprire un vero e proprio dibattito nazionale sull’opportunità o meno di abolire il 41 bis, o quantomeno revocarlo per alcuni boss mafiosi in età avanzata.
Ma cos’avevano quelle immagini di tanto indecoroso? In realtà niente di speciale. A sentire Vespa e altri che parlano di “immagini indegne di un Paese civile” verrebbe da pensare ad un Provenzano scheletrico, sofferente, pieno di lividi ed ecchimosi, distrutto fisicamente e psicologicamente. In realtà l’ex braccio destro di Totò Riina dà solo l’impressione di avere qualche rotella fuori posto: non riconosce i figli, pronuncia a tratti frasi sconnesse e senza senso. E’ anziano, potrebbe pure avere l’alzheimer, sicuramente non è al massimo della sua lucidità mentale. Ma certo non è un detenuto maltrattato, torturato o sottoposto a ingiustizie, nonostante pure la pagina ufficiale di Servizio Pubblico su facebook si premuri di evidenziare uno scambio di battute in cui il figlio chiede “Pigghiasti lignate?” e il “povero indifeso” padre risponde: “Lignate sì, dietro i reni…”.
Di anziani malati di alzheimer ce ne sono tanti, in Italia. Nessuno di questi gode della comprensione di un Veltroni qualsiasi, o può vantare il privilegio di una puntata intera di Servizio Pubblico a lui dedicata.
C’è spazio pure per il complottismo di Marco Travaglio, che si spinge ad insinuare un’ipotesi che è tutto un programma: “Se quello di Provenzano fosse un caso isolato, potremmo anche capire. Ma in Italia è successo altre volte”. E via con gli esempi: Sindona, Pisciotta, i caffé avvelenati in carcere.
Già, perché secondo Travaglio, il povero Provenzano avrebbe cominciato a “cadere più volte” e ad ammalarsi dopo aver manifestato l’intenzione di collaborare, di dire quello che sa, di “cantare”.
Le prove di questa congettura ovviamente non ci sono. Anzi, qualsiasi persona dotata di realismo e di giudizio è portata a credere che Provenzano mai e poi mai accetterebbe di collaborare con la giustizia. Binnu u’ Tratturi non dirà nulla, terrà la bocca cucita, questo lo sanno tutti. Tranne Sonia Alfano e Giuseppe Lumia, i due parlamentari rispettivamente di Idv e Pd che hanno pensato bene di fare visita al boss e uscirne con lo scoop della vita: “Ci sembra che Provenzano voglia collaborare”.
Hanno avuto quella sensazione, Lumia e Sonia Alfano. Sapranno loro in base a cosa. Fatto sta che la mossa dei due esponenti di centro-sinistra ha scatenato la solita ondata di complottismo.
Tra chi sostiene che il boss sia stato “fatto ammalare” per paura che riveli segreti compromettenti e chi sostiene che il 41 bis sia disumano anche per un uomo della sua ferocia e pericolosità, il partito del “Provenzano libero” pare crescere, anche grazie al video diffuso da Servizio Pubblico.
Ne è una dimostrazione l’anomala manifestazione di Parma, organizzata proprio oggi, contro il 41 bis. Nel pezzo pubblicato su Qelsi, a firma Michele Andreoli, ne abbiamo già trattato diffusamente. Ribadiamo quanto ci risulti difficile da digerire una manifestazione di questo tipo. E soprattutto quanto sia difficile credere alla buona fede: perché mai organizzare un corteo contro il 41 bis proprio a Parma, città in cui è detenuto Bernardo Provenzano? E perché il 25 maggio, data che cade esattamente a metà tra l’anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992 e il ventennale della strage di via dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993? E perché lo stesso giorno della beatificazione di don Pino Puglisi?
Sicuramente ci sarà chi ha partecipato al corteo in buona fede. Ma se voleva essere una sfida della mafia stessa contro Stato e istituzioni, non si poteva trovare data migliore e città più idonea, come rilevato pure dalla presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, proprio sulle colonne di Qelsi.
Al di là del solito buonismo di Veltroni, del sensazionalismo di Vespa, del complottismo populista di Travaglio e dell’improvvisa intenzione di riaprire il dibattito da parte di Santoro, sappiamo che Bernardo Provenzano non è maltrattato in carcere. Non è in cattive condizioni per colpa del regime carcerario, né si può dire che subisca una “tortura di Stato”, come da retorica dei detrattori del 41 bis.
Non è al pieno delle sue facoltà mentali, sempre se non finge. Probabilmente non rappresenta più un pericolo, né può essere in alcun modo d’aiuto qualora decidesse di collaborare. Il dibattito sul 41 bis è legittimo, ma la soluzione potrebbe averla trovata, senza neppure accorgersene, proprio Marco Travaglio. E’ stato lui, infatti, a nominare Pisciotta e Sindona ipotizzando similitudini con il caso del boss corleonese. Ebbene, se è vero che Provenzano sta soffrendo in maniera disumana, la soluzione potrebbe essere proprio quella: un caffè “corretto”. Prima che a qualcuno venga in mente di approfittare delle condizioni poco lucide di “u’ Tratturi” per attribuirgli rivelazioni o accuse che lui non è più in grado di esternare. Come abbiamo visto, c’è già chi ha voluto far credere che Provenzano volesse parlare. Che questo non diventi l’ennesimo strumento di lotta politica da parte di chi usa il paravento dell’”antimafia” per screditare chi la mafia l’ha davvero combattuta (il capitano Ultimo, il generale Mori, il Ros) o per eliminare gli avversari politici.