lunedì 4 marzo 2013

LICIO GELLI, LA LOGGIA PROPAGANDA DUE E LA MASSONERIA. CONCLUSIONI.



Volendo capire le ragioni che sottostanno all'abnorme situazione che abbiamo delineato - anche al
fine di evitare l'espressione di sommari giudizi che finirebbero per coinvolgere, con suo ingiusto
danno, chi per tali vicende non porta responsabilità alcuna o comunque ha una responsabilità
estremamente limitata - è necessario formulare alcune considerazioni finali di ordine generale.
Va in primo luogo dichiarato che il ruolo e le attività di Licio Gelli erano conosciuti, anche se in
modo parziale e frammentario, nell'ambito dell'intera comunità massonica, presso la quale il
fenomeno Gelli e le sue possibili implicazioni erano in qualche modo note e non pacificamente
accettate, poiché è certo che esse costituirono punto di dissenso e di scontro all'interno della
famiglia massonica: ne fanno fede la mai sopita lotta condotta dai cosiddetti «massoni
democratici», nonché il voto dei Maestri Venerabili che decretarono la demolizione della
Loggia P2 nel corso della Gran Loggia di Napoli.
Se dunque si pervenne alla situazione dianzi delineata fu in sostanza soprattutto, come si è
dimostrato, grazie all'influenza che Gelli riuscì ad esercitare sui vertici del Grande Oriente. I
rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri
e con i loro collaboratori diretti, ampiamente documentati presso la Commissione, offrono un
quadro di compromissione degli organi centrali di governo della famiglia massonica giustinianea
che ampiamente giustifica e spiega le tormentate vicende ripercorse nelle pagine precedenti.
Sono vicende queste che richiedono un approfondito esame del rapporto tra Licio Gelli e la
massoneria, per il quale dobbiamo, come punto di partenza, muovere dalla affermazione, prima
ribadita, che la Loggia Propaganda è una loggia massonica inserita a pieno titolo nella comunione
massonica di più antica tradizione e di più vasta affiliazione di aderenti. La realtà dei fatti è
incontestabilmente quella di un organismo presente nella comunione di appartenenza come entità
integrata secondo peculiari prerogative che ad essa venivano riconosciute dagli statuti e dalla
pratica stessa di vita dell'associazione: la connotazione della Loggia P2, secondo l'ordinamento
massonico, era quella di essere una loggia coperta. Come poi questa copertura sia stata gestita dai
dirigenti responsabili, anche in violazione degli statuti dell'associazione, evolvendo verso forme di
vera e propria segretezza, questo è argomento che nulla inferisce nel nostro discorso, poiché è
palese che quanto viene stabilito nello specifico ordinamento massonico e quanto in esso viene
operato, anche in sua violazione, nessuna influenza esplica nell'ambito dell'ordinamento giuridico
generale, alle cui sole previsioni normative ci si deve riportare in sede di analisi giuridica e di
valutazione politica del problema. A tal fine possiamo affermare che l'adozione di forme di
copertura dirette verso l'esterno come verso l'interno della comunione di appartenenza costituisce
indubbia connotazione di segretezza ed è soltanto a fini di mera confusione che si può spostare il
tema del discorso sulla presunta segretezza o meno della massoneria, poiché se è certo, secondo la
pregevole notazione di un autore, che la massoneria non è una associazione segreta, è per altro
certo che essa è una associazione con segreti, e uno di questi era la Loggia Propaganda Due.
Appare alla Commissione incontrovertibile secondo l'analisi sinora condotta, che la Loggia P2 era
a) una loggia massonica,
b) dotata di segretezza,
ma la posizione di queste due affermazioni non esaurisce il problema ed anzi potrebbe, se ci si
arrestasse a questa prima soglia interpretativa, condurre ad una rappresentazione dei fatti monca
se non del tutto inesatta.
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica,
non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo.
Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia,
sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed
emblematico esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione,
informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior gloria della
famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun profilo, nella sua contrastata vita
massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come
iniettato dall'esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata
strumentalizzazione.
Ci soccorre a tal fine il rilievo cui dianzi si accennava, quando notavamo come il procedimento di
cooptazione, proprio della massoneria, ebbe a funzionare per Licio Gelli con inaspettata e
sorprendente celerità, secondo quanto ci dimostrano due dati a noi provenienti dalla
documentazione in nostro possesso.
Il primo è che Licio Gelli ha dovuto subire un periodo di attesa, al suo ingresso in massoneria
avvenuto nel 1965, di oltre un anno; il secondo è che una volta entrato nell'istituzione i tempi per
l'apprendista Gelli si abbreviano singolarmente, poiché nel 1969 egli ci appare nelle vesti, secondo
un documento già citato, di tessitore di una delicata operazione di riunificazione delle varie
famiglie massoniche: una operazione di vertice che coinvolge tutta la massoneria italiana. Tra
queste due date, sappiamo, corre l'operazione di ascesa nella comunione pilotata dall'Ascarelli e
dal Gamberini in favore di un personaggio che, come il primo non manca di sottolineare al
secondo in una lettera agli atti, ha a disposizione un folto gruppo di domande di iniziazione «di
gente estremamente qualificata».
Ponendo questi dati in parallelo - e coordinandoli con le osservazioni svolte in ordine
all'inserimento di Licio Gelli nella Loggia Propaganda, operato subito dopo dal Salvini - non si
può non vedere come l'ingresso e l'ascesa di Licio Gelli, massone di fresca data, si svolgano sotto
l’egida di una accorta regia che, dopo aver superato le resistenze frapposte all'acquisto di questo
nuovo fratello, ne pilota la carriera massonica con tempestivo e felice esito di risultati. E non è chi
non veda come il nome che compare come centrale in questa operazione sia quello del Gran
Maestro che sarà il vero nume tutelare della vita massonica di Licio Gelli, quel Giordano
Gamberini che, come abbiamo ampiamente dimostrato, ritroviamo nella veste di accorto
consigliere e di fine stratega in tutte le vicende che vedono il Gelli al centro delle contrastate
decisioni della comunione che lo interessano.
Possiamo quindi affermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la
presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa
inserito secondo una precisa strategia di infiltrazione, che sembra aver sollevato nel suo momento
iniziale non poche perplessità e resistenze nell'organismo ricevente, e che esse vennero superate
probabilmente solo grazie all'interessamento dei vertici dell'istituzione i quali, questo è certo, da
quel momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo
adepto. Questa infiltrazione inoltre fu preordinata e realizzata secondo il fine specifico di portare
Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto di
identificazione tra il personaggio e l'organismo, il quale ultimo finì per trasformarsi gradualmente
in una entità morfologicamente e funzionalmente affatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione
degli eventi proposta.
Quanto detto appare suffragare l'enunciazione dalla quale eravamo partiti, perché il rapporto tra
Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile
aretino, lungi dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed effetto, come ultimo prodotto di
un processo generativo interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento
indotto, di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta
della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono
l'autentico nucleo di interessi e di attività che la Loggia P2 venne a rappresentare.
Ci troviamo in altri termini di fronte ad un complesso rapporto che non può semplicisticamente
ridursi in sommarie attribuzioni di responsabilità, in forme di addebitamento più o meno
generalizzate che come tali non rientrano nell'ambito degli interessi di questa Commissione, il cui
primo compito è quello di studiare la genesi dei fenomeni e la loro ragione di essere e di
svilupparsi, affinché il Parlamento possa su tali basi pronunciare il proprio giudizio ed assumere
le eventuali deliberazioni conseguenti. Quello che per la Commissione è di primario interesse
sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito della
vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e
conniventi i vertici.
Non v'ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico e la massoneria
in senso lato abbiano negativamente risentito dell'attenzione, tutta di segno contrario, che su di
esse si è venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l'operazione Gelli,
sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura - per
non dire oggettiva complicità - senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che
realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità - pur sostanziale che sia - non si
vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici dell’associazione, peraltro
espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione
risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta
tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti, che ha costituito l'imprescindibile
terreno di coltura per l'innesto dell'operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la
Loggia P2, né per primo ha contrassegnato l'organismo con la caratteristica della segretezza, ed
altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la tecnica della copertura, ma l'una e l'altra ha
trovato funzionanti e vitali nell'ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto
suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio
Licio Gelli e non la massoneria.
Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono
sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia interesse, di trarre le proprie
conclusioni.
Sia ciò consentito anche al relatore perché l'argomento e l'occasione sono tali da meritare una
qualche considerazione di più ampia portata su un tema che vanta di certo una pubblicistica di
non trascurabile impegno e valore, e che ha interessato sinora non solo il nostro ordinamento.
La storia della Loggia P2 ha il pregio, a tal fine, di svelare l'equivoco sul quale stanche polemiche
si trascinano intorno alla distinzione tra segretezza e riservatezza. La certa segretezza della loggia,
al di là di sofismi cartolari e notarili, trova infatti radice ed al tempo stesso costante e vitale
alimento nella riservatezza della comunione intera. Sollevandoci ad un più generale livello di
considerazioni che prescinda dalla soluzione normativa concreta che gli ordinamenti vogliano
dare a tale situazione, ci è consentito rilevare, in via di principio, che i due concetti si pongono,
pur in teoria ed in pratica diversi, in rapporto di reciproca interazione e funzionalità tali che la
segretezza senza riservatezza non ha modo di esistere e la riservatezza, non posta a tutela di una
intima più ristretta segretezza, non ha ragione di essere.
Sono questi argomenti che ci conducono al cuore del problema e che allargano il tema sulla
riservatezza massonica ad un più ampio contesto di considerazioni in ordine al ruolo che questa
associazione può svolgere legittimamente nell'ambito dell’ordinamento democratico. Chi infatti
guardi al contenuto dottrinale proprio di questa forma associativa, il suo conclamato richiamarsi
al trinomio di princìpi Libertà – Fratellanza - Uguaglianza (art. 2 delle Costituzioni massoniche),
non può non constatare come questo sia verbo al quale mal si appongono forme di culto riservato
e quanto piuttosto chieda di essere con orgoglio portato nella società degli uomini, nella quale è
messaggio che non può porsi che come fonte di benefiche influenze.
E’ avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non sia data tra i due corni
di questo dilemma: o infatti questo, o altro lecito, è il cemento morale della comunione ed allora
non v'ha luogo a riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione
repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d'essere dell'associazione è di diversa natura
e va allora revocata in dubbio la sua legittimità in questo ordinamento.
Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più specifico della logica giuridica,
e con riferimento alla normativa sulle associazioni segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi
termini: o la comunione esclude ogni possibile interferenza con la vita pubblica dalla sua sfera di
interessi (come dovrebbe essere in base alle regole originarie), ed allora indulga quanto crede al
rito esoterico del segreto, o vuol piuttosto partecipare in toto al divenire della nostra società. Se è
vera la seconda alternativa sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul filo
della spada, alle posizioni «all'orecchio». Riti tutti che hanno il fascino dei costumi misteriosi di
tempi lontani, ma che l'esperienza ha purtroppo dimostrato essere fertile terreno di cultura per
illeciti di tempi recenti.

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