lunedì 4 marzo 2013

IL SEQUESTRO DI CASTIGLION FIBOCCHI



L'esame dell'operazione di sequestro effettuata presso gli uffici e la residenza di Licio Gelli dalla
Guardia di Finanza su ordine dei giudici Turone e Colombo, nell'ambito dell'inchiesta loro
affidata sull'affare Sindona, precede logicamente l'analisi del problema relativo alla veridicità
delle liste, poiché elementi di sicuro interesse ai nostri fini possono essere tratti dall'esame degli
eventi che precedettero ed accompagnarono il loro ritrovamento.
Ricordiamo in primo luogo che il generale Orazio Giannini, all'epoca comandante generale della
Guardia di Finanza, telefonò al colonnello Vincenzo Bianchi che stava effettuando la
perquisizione e lo invitò a prestare attenzione a quello che faceva poiché nella lista dei nomi vi
erano «tutti i vertici» e che l'operazione avrebbe potuto essere di estremo pregiudizio per il Corpo.
Interrogato poi dalla Commissione, il generale Giannini non ha saputo fornire persuasive
spiegazioni circa la sua conoscenza di un'attività di polizia giudiziaria che sappiamo gli organi
procedenti avevano cautelato con la massima cura e che il loro operato e la loro integrità ci
garantiscono coperta dal più assoluto segreto istruttorio. Il generale Giannini non è stato in grado
di spiegare le ragioni che lo indussero a comportarsi nel modo descritto né, particolare ancora più
significativo, di rivelare la fonte della sua effettiva conoscenza del contenuto degli elenchi.
Numerose e concordanti risultanze generano poi legittime perplessità sugli antefatti
dell'operazione di sequestro degli elenchi di cui si discute e, quindi, sulla sorpresa, in via generale,
che essa abbia potuto costituire per Licio Gelli. Testimonianze in questo
senso sono state rese da vari personaggi al corrente delle vicende inerenti alla Loggia P2: tali
infatti le dichiarazioni del colonnello Massimo Pugliese al giudice istruttore di Trento, da Placido
Magrì, la cui fonte dichiarata fu in proposito Francesco Pazienza, ed infine dall'ingegner
Francesco Siniscalchi.
Questi accenni e queste indiscrezioni trovano conferma in un esame analitico dell'operazione e
dell'epoca in cui intervenne. Le operazioni di sequestro ordinate dai giudici di Milano si pongono
come conclusivo episodio di una vicenda di contorni non chiari, ma di significato generale
abbastanza definito.
Il sistema gelliano di potere sembra infatti entrare in crisi alla fine degli anni Settanta, secondo
quanto denunciano alcuni avvenimenti che intervengono in quel periodo. Così il processo che
Salvini subisce negli Stati Uniti da parte della massoneria americana, motivato proprio in ragione
delle sue compromissioni con Gelli; processo, questo, del tutto anomalo, ma che non può non
colpire significativamente perché è comunque un dato di fatto che Salvini pone termine
anticipatamente al suo mandato, presentando le dimissioni da Gran Maestro, con un gesto invero
inusuale per un personaggio che si era dimostrato quanto mai restio a simili passi. Così ancora è
nel 1979 che i Servizi segreti consegnano a Pecorelli l'informativa COMINFORM perché questi ne
faccia uso: senza anticipare le conclusioni che su questo punto verranno tratte nel capitolo
apposito, è questo un atto che non sì può non interpretare come indubbio segno di incrinamento
nel rapporto tra Gelli e questo apparato.
Così ancora infine è nel 1979, secondo le testimonianze, che compare presente in Italia Francesco
Pazienza, uomo legato ai Servizi segreti in ambienti internazionali, di non ben certa origine; il
Pazienza è elemento comunque sicuramente legato ai Servizi segreti italiani, ed in particolare al
generale Santovito, e ricopre un ruolo che non si riesce ad interpretare chiaramente se si ponga in
termini di vicarietà o successione, consensuale o meno, rispetto a Licio Gelli. In questa prospettiva
il Commissario Crucianelli ha sottolineato l'autonomia acquisita dalla Loggia P2, come struttura
obiettiva che ha messo in moto meccanismi che prescindevano anche dagli stessi protagonisti
soggettivi: tale appunto Francesco Pazienza che vediamo subentrare a Gelli, quasi
automaticamente, nei rapporti con Roberto Calvi e con il generale Santovito.
L'elemento connotativo di questa situazione, nella quale il potere del Venerabile sembra patire
elementi di disturbo, se non di cedimento, è certamente l'intervista che Licio Gelli rilascia al
Corriere della Sera nel 1980, una iniziativa invero sorprendente per un uomo che si era sempre
mosso nella riservatezza più assoluta e che in essa aveva trovato una delle armi più efficaci.
L'intervista di Gelli, letta attraverso l'ostentata sicurezza delle dichiarazioni, sembra in realtà un
messaggio che il capo della Loggia P2 invia all'esterno come all'interno dell'organizzazione; di
quell'organizzazione che aveva cautelato con gli stratagemmi che abbiamo studiato nel precedente
capitolo, è ora egli stesso a svelare l'esistenza ed i contenuti, quasi a voler avvertire che il riserbo di
cui tutti si erano sino ad allora giovati poteva un giorno, in parte od in tutto, cadere ad opera del
suo stesso artefice.
Il quadro dì eventi che abbiamo disegnato fa da cornice alla perquisizione di Castiglion Fibocchi
ordinata dai giudici di Milano, titolari dell'inchiesta su Michele Sindona, ai quali l'avviso della
pista Gelli, inserito in un ampio contesto istruttorio testimoniale e documentale, era stato fornito
da un personaggio notoriamente legato al finanziere siciliano per il quale aveva gestito in Sicilia
l'operazione di finto rapimento. Quale segno sia da attribuire a questa iniziativa nei confronti di
Gelli non può essere chiarito, ma certo essa si iscrive nel complesso rapporto Gelli-Sindona,
mostrando che la collaborazione tra i due si era seriamente incrinata: l'interrogatorio reso da
Miceli Crimi, in data 26 febbraio, ai giudici milanesi, mostra, al termine di una lunga, ostinata
reticenza, la chiara volontà di denunciare il Gelli.
Prendendo adesso in esame il materiale sequestrato proveniente alla Commissione come frutto
dell'operazione eseguita a Castiglion Fibocchi, un dato sopra ogni altro colpisce l'attenzione
dell'osservatore: la constatazione che il nucleo della documentazione avente valore fondamentale
ai fini dell'indagine non era contenuto nella cassaforte dell'ufficio, suo naturale luogo di deposito,
ma in una valigia. Questa valigia conteneva, oltre ad una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta
una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era
implicata; si noti che qualora infatti la Guardia di Finanza avesse provveduto al sequestro del solo
materiale contenuto nella cassaforte - nella quale erano altre copie dei soli elenchi - il dato
conosciuto agli investigatori sarebbe stato soltanto quello relativo all'appartenenza ad una Loggia
massonica di un certo gruppo di eminenti personalità.
Il materiale contenuto nella valigia ha invece la natura di denunciare al contempo l'esistenza della
Loggia, poiché contiene una ulteriore serie di elenchi, nonché la sua valenza politica, per la natura
dei documenti a quegli elenchi annessi. Rimane pertanto dimostrato che il blocco di
documentazione a noi pervenuta ha una intrinseca reciproca funzionalità, perché la valigia che li
conteneva, oggetto invero strano per collocare materiale di tal fatta, aveva un suo autonomo
valore di eccezionale significato.
Avendo riguardo a queste considerazioni, l'importanza intrinseca dei documenti contenuti nella
valigia, esaminati nella loro reciproca correlazione, porta a ritenere che questo materiale era
verosimilmente inserito in un processo di trasferimenti dell'archivio di Licio Gelli, che l'incerta e
contrastata ultima fase della vicenda del Venerabile, prima tratteggiata, rende attendibile ed al
quale siamo indotti a pensare sia per la costituzione, da far risalire a questo periodo., della
cosiddetta Loggia di Montecarlo, intesa da Gelli come alternativa alla localizzazione italiana del
centro delle sue attività, sia dall'esistenza di una duplicazione dell'archivio in questione nella
residenza uruguayana del Venerabile.
Questa ricostruzione, che non possiamo collocare nell'ambito delle certezze acquisite per
l'incompletezza di informazioni su tale ultimo periodo, peraltro riveste certamente connotati di
estrema attendibilità. Quel che è fuori dubbio è che comunque essa ci consente di affermare che la
documentazione in possesso della Commissione non può che essere presa in attenta e seria
considerazione per la primaria constatazione che essa si trovava al centro di un complesso gioco
nel quale i protagonisti le attribuivano altissimo valore, e tra essi va ricordato il Comandante
generale della Guardia di Finanza, autore del maldestro tentativo di insabbiamento già ricordato.
Le considerazioni esposte sono riferite naturalmente agli attori espliciti di questa vicenda ed ai
suoi retroscena, ed in nulla attengono alla integrità ed attendibilità dell'inchiesta giudiziaria e
della operazione di sequestro in sé considerata, come si evince se non altro dalle modalità di
esecuzione predisposte dall'organo inquirente ed attuate da quello procedente, delle quali è
testimonianza eloquente la denuncia che il colonnello Bianchi effettuò dell'indebita ingerenza
tentata nei suoi confronti dal superiore gerarchico.

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