lunedì 4 marzo 2013

L'AFFARE MORO



La Commissione, analogamente a quanto rilevato dalla Commissione di inchiesta sulla strage di
Via Fani e sull'uccisione dell'onorevole Moro, non ha potuto non prospettarsi il problema del
significato della presenza di numerosi elementi iscritti alla Loggia P2 che rivestivano in quel
periodo ed in ordine a quella vicenda posizioni di elevata responsabilità.
Sono questi interrogativi che emergono dalla testimonianza, ad esempio, del sottosegretario
Lettieri, che di fronte a quella Commissione ha rilevato come le riunioni al Viminale del Comitato
di coordinamento tra le forze dell'ordine vedevano presente intorno allo stesso tavolo una
maggioranza di iscritti alla Loggia P2, tra gli organi tecnici di ausilio ai responsabili politici. Dagli
appunti del sottosegretario Lettieri risultano infatti presenti a queste riunioni, oltre ai ministri
interessati e ai vertici della Polizia e dei Carabinieri, i seguenti affiliati alla Loggia P2: i generali
Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, nonché, ad una di esse, il colonnello Siracusano.
Questa constatazione pone il quesito se l'inadeguatezza degli apparati informativi e di polizia
dello Stato, sulla quale si è registrato un ampio consenso tra le forze politiche, abbia avuto a suo
fondamento, motivazioni di ordine esclusivamente tecnico, o sia invece da riportare ad altro
ordine di considerazioni. Questa problematica non ha trovato nel corso dell'indagine ulteriori
riscontri, fatta eccezione per la deposizione del commissario di Pubblica Sicurezza Elio Cioppa,
vice del generale Grassini al SISDE, il quale ha confermato la testimonianza resa di fronte al
magistrato di aver successivamente ricevuto dal suo superiore, all'epoca del suo arrivo al Servizio,
l'incarico di effettuare ricerche nell'ambito dell'ambiente della sinistra, sulla base di informazioni e
valutazioni, e tra queste anche valutazioni relative alla vicenda Moro, che il suo superiore aveva
recepito direttamente da Licio Gelli con il quale si incontrava saltuariamente, nell'interesse
esclusivo del Servizio.
La testimonianza non viene smentita dal generale Grassini il quale, dichiarando di non ricordare
l'episodio riferito dal Cioppa, afferma peraltro che, se lo aveva riferito Cioppa – funzionario serio e
competente - doveva essere senz'altro vero. Aggiunge che, se aveva ricevuto informazioni da Gelli,
ciò era avvenuto non in occasione di una riunione alla quale Gelli era presente, ma in un incontro
fra lui e lo stesso Gelli.
Il problema, sul quale si è soffermato a lungo il Commissario Flamigni, si pone, al di là dei
supporti documentali e testimoniali in nostro possesso, nei termini di accertare se un episodio di
così tragico e rilevante momento possa essere inquadrato nel contesto dei rapporti che Licio Gelli
intratteneva con i suoi affiliati.
Su tale ordine di problemi quello che la Commissione è in grado di affermare, facendo riferimento
al patrimonio conoscitivo che le è proprio, è che, mentre si pone come dato sicuro l'interesse attivo
e politicamente determinato delle relazioni che Gelli intratteneva con gli ambienti militari della
Loggia, come è ampiamente documentato nel corso della presente relazione, per eventi e situazioni
di ben minore portata rispetto a questo tragico evento, per contro, allo stato degli atti, non si hanno
sicuri riscontri sul collegamento tra questo livello qualificato di rapporti e la vicenda
specifica in esame.
Queste considerazioni relative alla precisa valenza politica che Licio Gelli attribuiva ai rapporti
instaurati con quegli ambienti vanno pertanto a porsi in aggiunta alle osservazioni ricordate sulla
insufficienza dimostrata dagli apparati e lasciano aperti, in un più ampio contesto, gli interrogativi
da più parti sollevati. Interrogativi in ordine ai quali la Commissione non è in grado di fornire
risposte certe ma che peraltro, attesa la delicatezza della materia e il suo preminente rilievo
politico, non ritiene, alla luce soprattutto dell'ambiguo rapporto identificato tra Licio Gelli ed i
Servizi segreti, di poter sottacere.

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